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diretto da Romano Luperini

Text to speech e BES. Riflessioni a margine delle prove Invalsi

La situazione attuale

Da quando le prove Invalsi vengono svolte in formato CBT, come è noto, per quanto riguarda i test di italiano sono previste una serie compensazioni in formato digitale per gli alunni con BES (bisogni educativi speciali). Le misure compensative (e dispensative) sono previste anche per le altre prove, ma qui ci soffermeremo esclusivamente su quelle di italiano. Nella scuola secondaria di primo grado per gli alunni in possesso di un PEI (Piano educativo individualizzato) è prevista la possibilità di esonero da una o più parti della prova o anche la possibilità di predisporre una prova alternativa, sulla base della quale però l’istituto Invalsi non rilascia la certificazione. Gli alunni con PEI sono ammessi all’esame indipendentemente dal tipo di prova che svolgono. Per gli alunni con DSA esiste la possibilità di essere dispensati dallo svolgimento della sola prova di inglese, mentre sia per loro sia per gli alunni con PEI che svolgono normalmente la prova di italiano, sono previsti un tempo aggiuntivo di quindici minuti e la possibilità di avvalersi del programma text to speech, ossia della sintesi vocale. Da quest’anno, inoltre, le misure compensative (ma non quelle dispensative) sono state estese anche a tutti gli alunni in possesso di un PDP, quindi anche a ragazzi con bisogni educativi speciali non riferibili ad alcuna certificazione. In un’ottica di maggiore inclusione si è dunque deciso, giustamente, di allargare lo spettro delle situazioni in cui gli alunni possono usufruire di strumenti compensativi. Tuttavia, occorre chiedersi quanto questa tanto ricercata inclusività sia effettivamente realizzata dalle compensazioni che vengono previste o quanto non resti lettera morta, come troppo spesso accade anche nell’attuazione degli stessi PDP durante l’anno scolastico. 

Utilità della sintesi vocale

Come detto, gli studenti in possesso di un PDP possono avvalersi di un tempo aggiuntivo di quindici minuti, che è certamente una misura importante per chi ha tempi lunghi di processazione dei compiti. L’altra compensazione è la possibilità di avvalersi della sintesi vocale per l’ascolto dei testi sui quali sono formulati i quesiti di comprensione del testo; la scuola ha l’obbligo di comunicare per tempo quanti sono gli alunni che necessitano di questo strumento.

I software per la sintesi vocale sono ormai decine e decine e vanno dai più semplici e rudimentali, scaricabili anche gratuitamente, a quelli più costosi e sofisticati. Il grande vantaggio spesso sottolineato in riferimento all’uso del sintetizzatore vocale sta nel fatto che trasforma il testo scritto in parlato, con la possibilità di seguire comunque l’ascolto anche attraverso l’evidenziazione della parola sul testo in formato digitale, rendendo così autonomi nell’attività di lettura e comprensione del testo gli alunni con DSA (o con altri BES). Tuttavia, occorre preliminarmente precisare che non tutti gli alunni con DSA sono favoriti da questa modalità, dal momento che alcuni ragazzi rifiutano decisamente di utilizzare l’ascolto in sostituzione della lettura, affermando che l’audio li confonde. In secondo luogo il programma per la sintesi vocale — e veniamo qui alle prove Invalsi — deve essere scelto con una certa cura, perché un programma inadatto può aggiungere problemi anziché risolverli e danneggiare i ragazzi invece che aiutarli. Dialogando con alcuni alunni al termine delle prove somministrate quest’anno nel mese di aprile, l’impressione che si ricava è proprio questa, sostenuta anche dall’esperienza diretta di ascolto condotta dai docenti. Molti ragazzi che hanno usufruito del programma di sintesi vocale hanno infatti dichiarato di averlo abbandonato nel corso della prova, per motivazioni che appaiono estremamente convincenti. Il primo disagio che hanno lamentato è il tono eccessivamente robotico della sintesi vocale. A questo si aggiunge il mancato rispetto della prosodia, per cui molte parole vengono legate in modo inappropriato le une alle altre, con il risultato che è quasi impossibile discriminare l’unità lessicale. E ciò nonostante la parola letta sia evidenziata sullo schermo. Si crea quindi la situazione paradossale in cui finisce per essere la parola evidenziata (e quindi letta) a consentire di discriminare la parola ascoltata, quando dovrebbe invece essere il contrario. Infine, ciliegina sulla torta, il text to speech dell’Invalsi, in un evidente eccesso di zelo che farebbe invidia perfino ai robot di alcuni racconti di Isaac Azimov, legge addirittura i segni di interpunzione — tutti — producendo ulteriore confusione. Vero è che occorre educare gli alunni all’uso della sintesi vocale (ad esempio, regolando in primo luogo la velocità) ma il materiale fornito dall’istituto Invalsi sembra inservibile anche per gli alunni meglio addestrati. 

La cornice generale

Il discorso relativo alla gestione degli alunni Bes e delle misure dispensative e degli strumenti compensativi sarebbe certamente lungo, e qui ci si è voluti soffermare su un aspetto specifico, indipendente dalle possibilità di intervento degli insegnanti. Si noti però, almeno incidentalmente, che anche per i docenti più volenterosi, nella quotidiana didattica d’aula, sta diventando sempre più difficile garantire le compensazioni, se non a prezzo di un esorbitante — per quanto necessario e imprescindibile — lavoro aggiuntivo. Ciò anche laddove il docente pratichi una didattica pienamente inclusiva, indirizzata a tutta la classe. Uno degli aspetti maggiormente onerosi, ad esempio, è rappresentato dalla necessità di progettare prove personalizzate e individualizzate (in quest’ultimo caso ci si dovrebbe confrontare anche con il docente di sostegno), poiché costruire una prova in formato chiuso, come spesso è richiesto dalle certificazioni, necessita anche di ore di lavoro. La crescita costante del numero degli alunni con BES, che non hanno mai profili sovrapponibili e che spesso hanno bisogno di prove diverse tra loro, rende difficile gestire gruppi classe troppo numerosi in cui a volte anche la metà dei ragazzi è certificata, o comunque in possesso di un PDP. Decisiva anche da questo punto di vista sarebbe una drastica riduzione del numero degli alunni per classe, obiettivo che invece lo Stato italiano persegue in senso opposto. E i disagi aumentano anche per le famiglie. Se fino a diversi anni fa i tempi di attesa per una valutazione presso le competenti strutture del sistema sanitario nazionale (attualmente nella Regione Lazio i servizi TSMREE, Tutela salute mentale e riabilitazione età evolutiva) erano molto lunghi, oggi è praticamente impossibile poter effettuare una valutazione in una struttura pubblica e si arriva ad attese anche di anni. La conseguenza inevitabile è che le famiglie sono costrette a rivolgersi ai centri privati e a sborsare centinaia e centinaia di euro, se non migliaia, per arrivare a una certificazione, che poi negli anni necessita di essere aggiornata. Dunque, mentre lo Stato prepara note per favorire l’inclusione degli alunni durante le prove Invalsi, ricordiamo almeno che la cornice in cui lo fa, e che esso stesso costruisce, è quella indecente appena delineata per sommi capi.

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