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diretto da Romano Luperini

Attraversare “Satura”. Un percorso di lettura per il quinto anno

Montale a scuola: una lettura cristallizzata

Confinata nelle ultime settimane della classe quinta, approdo conclusivo di un percorso che, a marce forzate, da Leopardi (o Verga, se si considerano gli Istituti tecnici e professionali) conduce alla letteratura del secondo dopoguerra, Satura è considerata una propaggine minore del Montale più noto, degli Ossi di seppia, e di quello difficile e tragico delle Occasioni e de La bufera e altro. Le scelte antologiche, ancora importanti per orientare gli itinerari di apprendimento dei docenti, si attestano per Satura su proposte ormai cristallizzate: l’inflazionatissima poesia alla moglie Drusilla Tanzi, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, presente già nelle antologie del primo grado, oppure la lirica La storia, che si articola in due momenti ed è considerata il manifesto dell’antistoricismo del poeta ligure.

Quali sono, a mio avviso, le reticenze nell’allargare questo corpus di letture negli itinerari di classe quinta? In primo luogo, per comprendere appieno Satura bisogna padroneggiare il contesto storico e culturale del secondo dopoguerra, purtroppo raramente approfondito negli ultimi mesi del quinto anno; fenomeni come la massificazione dei consumi in Italia ed eventi quali, per esempio, il colpo di Stato in Grecia nel 1967, le contestazioni del Sessantotto e gli scioperi del cosiddetto “autunno caldo” del 1969 recano echi evidenti nella quarta raccolta di Montale, ma per comprendere la posizione del poeta ligure vanno conosciuti al di là del mero dato cronachistico.

In secondo luogo, nuoce all’approfondimento di Satura una certa immagine di Montale come poeta del «male di vivere», emblema della condizione dell’intellettuale durante il Ventennio Fascista e la seconda guerra mondiale; insomma, una sorta di Dante del XX secolo, diviso tra l’amore per la giovane studiosa americana Irma Brandeise la povera Drusilla Tanzi, che minacciava il suicidio se non si fosse troncata la relazione con Clizia; tutti elementi che avvalorano la definizione di Montale come classico del Novecento, esponente di una linea tragica che ben si realizza nei testi delle prime tre raccolte scritti, usando le parole dell’autore in un’intervista, «in frac», mentre la produzione successiva, da Satura in poi,è definita «in pigiama, o diciamo in abito da passeggio».

In realtà è proprio questa eterogeneità di temi e di linguaggio, così come di contenuto, a fare di Montale l’autore più vicino a Dante: come il poeta medievale è capace di toccare picchi di raffinatezza formale e di stile elevato, oltre ovviamente nel Paradiso, ad esempio nelle canzoni del Convivio, attraverso l’inserimento di complessi riferimenti teologici e scientifici, per poi toccare punti più bassi in alcuni sonetti osceni, come quelli della famosa tenzone con Forese Donati, lo stesso fa Montale, autore di liriche tragiche (usando l’aggettivo nel senso della divisione dei generi medievale) come Iride e La primavera hitleriana e Il sogno del prigioniero, ma capace di discese verso il basso come quelle che vedremo in Satura. È su questa commistione di stili, testimoniata anche dal titolo della quarta raccolta che, in uno dei «tre o quattro significati» proposti da Montale in un’intervista del 7 febbraio 1971 al «Corriere della Sera», farebbe sicuramente riferimento alla satura lanx dei Romani, ovvero al piatto miscellaneo offerto ritualmente agli dèi, che si possono istituire percorsi inter e intra testuali, se si considera la produzione di Montale, giustamente, una sorta di “poesia-mondo” capace di racchiudere in sé sguardi sulla realtà impensabili in autori a lui coevi.

Satura e la risorsa della varietà

Satura è davvero, come scrisse Pietro Citati nel suo Il tè del cappellaio matto, «un libro delizioso: che uno può meditare nel silenzio del proprio studio e leggere in treno: che si consulta come un oracolo e come una «guida Hachette» (P. Citati, L’ultimo Montale, in Id., Il tè del cappellaio matto, Mondadori, Milano 1972, p. 208). In Satura viene realizzata appieno quella varietà tematica che era già visibile nel titolo della terza raccolta, La bufera e altro; come sottolinea infatti Niccolò Scaffai nel saggio Montale e il libro di poesia, «le modifiche portate al progetto iniziale devono aver convinto Montale a cambiare il titolo ‘rematico’ previsto, Romanzo, con uno ‘tematico’ che ponesse l’accento non sulla continuità narrativa, ma anzi sulla varietà e in un certo senso sulla discontinuità della materia trattata. […] La bufera e altro, infine, sarà sembrato più adeguato ad una trama che, pur sviluppandosi dall’evento cruciale della guerra, non si esaurisce in esso» (N. Scaffai, Montale e il libro di poesia («Ossi di seppia», «Le occasioni», «La bufera e altro»), Pacini Fazzi, Lucca 2002, pp. 141-142).

Satura, costituita da 103 componimenti, è scandita in due momenti: le prime due sezioni, dal titolo Xenia I e Xenia II sono caratterizzate dal ricordo della moglie, Drusilla Tanzi, morta il 20 ottobre 1963; più difficile riassumere invece i contenuti della seconda parte dell’opera, che si snoda nelle sezioni Satura I e Satura II; come scrive Franco Fortini in «Satura» nel 1971, pubblicato in Nuovi saggi italiani e ora inserito in appendice all’edizione Mondadori col commento di Franco Castellana, la seconda parte è «un piatto misto di spunti sulla storia, la religione e la poesia, di sfoghi contro gli ignobili luoghi comuni e le imposture dialettiche del nostro tempo». Insomma, per riprendere sempre Fortini, un mondo «dove si comunica con le ombre o in disturbati colloqui telefonici, un mondo nel quale si trascina da sempre insolubile il “lungo inghippo dei nostri commerci con l’Altro”» (F. Fortini, «Satura» nel 1971, in E. Montale, Satura, edizione commentata da Riccardo Castellana, Mondadori, Milano 2019, pp. 316-317).

Una poesia, quella di Satura, dai toni apparentemente dimessi, con «un linguaggio d’oggi», come sottolineava Maria Corti nell’intervista con l’autore pubblicata nel marzo del 1971 su «L’Approdo Letterario», ma tutt’altro che facile da interpretare, anzi «difficile», se l’aggettivo è inteso nella definizione che ne diede sempre Fortini nell’articolo Oscurità e difficoltà, uscito nel 1991 sulla rivista «L’asino d’oro»: la poesia oscura è quella scritta per non essere capita fino in fondo, nella quale rimane sempre un margine di indecifrabilità; quella difficile è invece tale perché il poeta non rivela alcuni elementi (della sua vita privata, per esempio), ma vi allude indirettamente. La poesia difficile, invece, a differenza di quella oscura, che «non può né deve mai […] essere ‘vinta’ o ‘superata’ perché la sua ragione è di essere, in definitiva, una particolare categoria di ‘figura’», può però essere sempre spiegata: è come una porta che è possibile aprire una volta trovata la chiave giusta; per Fortini la difficoltà è «un tratto di oscurità che non si pone come costitutivo ma solo come momentaneo e che può essere risolto da un dato grado di competenza del lettore» (F. Fortini, Oscurità e difficoltà, in «L’asino d’oro», II, 1991, n. 3, p. 87). Non è un caso che Fortini indichi come esempio di poesia difficile,ma non oscura, Montale: la sua produzione ha bisogno del docente mediatore per essere compresa e interpretata dalla comunità di lettori ma, una volta chiarita, può dare vita a percorsi dentro e fuori la sua opera straordinari e assai fruttuosi.

Attraversare Satura: percorsi tematici nell’opera

Dopo il doveroso preambolo di inquadramento dell’opera, è opportuno passare a una parte più operativa; se le proposte antologiche di Satura si caratterizzano, nei manuali di letteratura del triennio, per la poca originalità nelle scelte, va anche detto che tra i 103 componimenti dell’opera va fatta una selezione che li porti a essere sfidanti per la classe e anche utili per essere valorizzati in occasione della prima prova scritta e del colloquio orale d’Esame. Ho quindi deciso di selezionare, nell’ampio corpus di Satura,dei testi che potessero soddisfare i seguenti criteri: collegamento con autori del percorso di apprendimento di classe quinta (non solo di italiano), interconnessioni con le discipline storiche e letterarie, possibilità di instaurare percorsi di Educazione Civica. Il quinto anno, infatti, con le molteplici attività (giustamente) legate all’orientamento post-diploma degli studenti, sta diventando molto complesso da gestire per il docente di italiano: le ore di didattica effettiva sono sempre più ridotte e dunque, anche in vista del colloquio orale, che parte da un materiale «finalizzato a favorire la trattazione dei nodi concettuali caratterizzanti le diverse discipline e del loro rapporto interdisciplinare» (cfr. Ordinanza n. 45 del 9 marzo 2023, p. 28, reperibile qui), è opportuno lavorare a livello di consiglio di classe per la creazione di percorsi tematici che intercettino più discipline; come docente di italiano, a mio avviso, è necessario poi prevedere, in sede di programmazione annuale, contenuti e, soprattutto, testi antologizzati che consentano queste connessioni.

Per Satura ho quindi pensato a due percorsi attraverso l’opera: il primo è di natura metaletteraria e si concentra sull’idea di poesia per Montale; un secondo si collega invece alla moderna civiltà dei consumi e dialoga con la società e la produzione letteraria e filosofica coeva. Ci si scusa in anticipo per eventuali mancanze, nella consapevolezza che sarà sempre l’idea di letteratura del docente a guidare eventuali alternative.

Riflessioni metaletterarie in Satura

Ottenuto nel 1975 il Premio Nobel per la Letteratura, Montale, davanti all’Accademia Reale di Stoccolma, recita la prolusione dal titolo È ancora possibile la poesia, nella quale si domanda se «potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa»; la risposta che dà è affermativa, sottolineando d’altra parte, nel finale dell’intervento, che «Molta poesia d’oggi si esprime in prosa. Molti versi d’oggi sono prosa e cattiva prosa». Il percorso che si propone attraversa Satura intercettando cinque liriche: Il tu, lirica incipitaria stampata in corsivo come le poesie iniziali degli Ossi di seppia e delle Occasioni, Dicono che la mia.., La poesia, Le rime e infine Le parole. Si tratta di componimenti dal respiro breve e analizzabili come una sorta di macrotesto di tipo metaletterario; le riflessioni di Montale possono essere anche produttive per un confronto con altri autori del canone che si interrogano sul significato della poesia, come per esempio il Saba di Quel che resta da fare ai poeti.

Il tu è una lirica in cui Montale riflette sulla scrittura poetica e sui suoi limiti, ma il tema nascosto, come scrive a Silvio Guarnieri, è quello dell’identità, strettamente collegata con la letteratura; il poeta, nei versi iniziali, si rivolge ai «critici», «depistati» dalle sue dichiarazioni, sottolineando «che il mio tu è un istituto». Egli aggiunge che «in me i tanti sono uno» e, come sottolinea Castellana nel commento, «i tanti “tu” sono in realtà le molteplici proiezioni di un’unica identità (l’io); tale è il risultato di quel gioco di specchi che è la poesia» (E. Montale, Satura. Edizione commentata da Riccardo Castellana, Mondadori, Milano 2007, p. 4, riferimento per tutte le citazioni del presente articolo). Il Satura di Montale offre quindi agli studenti un esempio concreto del rapporto tra il poeta e i suoi critici, proponendo una riflessione sul legame tra scrittura di un testo e sua interpretazione: sono sempre corrette le chiavi interpretative che cercano di “vivisezionare” un’opera? Non sono invece talvolta indebite incrostazioni che tolgono il piacere del testo e, addirittura, ne possono tradire la lettera? Molto bella è la metafora venatoria, d’altra parte archetipica nella letteratura italiana (si veda, a tal proposito la nuova interpretazione che delle «penne» e del «nodo» presenti nel canto XXIV del Purgatorio ha dato Lino Pertile nell’articolo, Il nodo di Bonagiunta, le penne di Dante e il Dolce Stil Novo, in «Lettere Italiane», XLVI (1994), pp. 44-75), secondo la quale il poeta è paragonato a un uccello catturato dalle reti tese dagli esegeti moderni.

Ultimo testo di Xenia I, Dicono che la mia… è una lirica anepigrafa giocosa, nella quale Montale ricorre al calembour: nel distico iniziale il poeta riporta l’opinione comune secondo cui la sua sarebbe una «poesia d’inappartenenza», ossia disimpegnata, ribadendo, invece, avvalendosi del significato letterale del termine, che appartenga a qualcuno, ovvero a Mosca. Nei versi successivi riporta poi un altro luogo comune, secondo cui «la poesia al suo culmine / magnifica il Tutto in fuga» (vv. 5-6), ma a queste affermazioni si contrappone la morale di Mosca, suo punto di riferimento, consapevole che il movimento «non è diverso dalla stasi, / che il vuoto è il pieno e il sereno / è la più diffusa delle nubi» (vv. 10-12). Il componimento presentato, steso nel dicembre del 1965, si riallaccia al severo giudizio di Pasolini che, in Passione e ideologia, «aveva accusato Montale di essere un poeta “disingaggiato”, per usare un termine montaliano, ovvero non attento, nella propria opera, ai reali problemi del suo tempo» (P. Gibellini, Prove di commento a Montale: i primi “Xenia”, in Studi di storia e critica della letteratura italiana dell’Ottocento e del Novecento in onore di Giuseppe Farinelli, Milano, Otto/Novecento, p. 769). Dicono che la mia, specie se affiancata alla Lettera a Malvolio, componimento appartenente a Diario del ’71 e del ’72 che si configura come la risposta polemica di Montale a Pasolini e ai critici che lo avevano accusato di non prendere posizione sulle controversie contemporanee, permette al docente di italiano di effettuare con la classe confronti tra la poesia di Montale e la letteratura a lui coeva, in particolar modo con quella del Neorealismo e militante. Del 1964, un anno prima della stesura della lirica di Satura, è infatti la Prefazione alla seconda edizione del Sentiero dei nidi di ragno, nella quale, a distanza di anni, Calvino documenta quanto fosse presente a fine anni Quaranta l’esigenza dell’“impegno” e forte l’urgenza ideologica di un messaggio anche politico nel testo letterario. Proficua di interconnessioni con la letteratura straniera è la riflessione con la classe sul ruolo dell’intellettuale engagé nel Novecento, con riferimenti obbligati a letterati quali George Orwell, Walter Benjamin, Jean-Paul Sartre, Albert Camus, da valorizzare con la collaborazione dei docenti di lingua straniera e filosofia.

Inserito in Satura I è il componimento intitolato La poesia, che si articola in due parti, anepigrafe, L’angosciante questione e Con orrore, composte nel 1969: nella prima Montale dichiara che è inutile chiedersi da dove derivi la poesia e se nasca dalla passione o dalla riflessione, perché l’unica cosa che conta è che esista ancora e che sappia interrogarsi sul suo ruolo nella civiltà dei consumi. La seconda parte, invece, propone al giovane lettore un’idea nuova di poesia: essa non può bastare a sé stessa né a chi la scrive, ma vive nella lettura che se ne fa. Da rilevare, in questa lirica, l’uso del sostantivo «orrore» in apertura di poesia, così come del termine «scoliasti», riferito ai commentatori contemporanei, paragonabili, per precisione e puntiglio, a quelli medievali dei classici latini e greci; nella seconda parte, con la congiunzione «Ma» si inaugura una riflessione sulla scrittura poetica e sul poeta, paragonato a un «trovarobe», ossia all’addetto che reperisce materiale scenico per gli allestimenti teatrali. Interessante, nell’ottica dell’intertestualità, è far riflettere la classe sul confronto con un altro testo solitamente antologizzato nei manuali del triennio, Chi sono? di Aldo Palazzeschi, in cui si ribalta l’immagine del poeta-letterato contrapponendogli quella di un poeta che si definisce «saltimbanco dell’anima mia» (per la diffusione dell’immaginario circense nella letteratura dell’Ottocento imprescindibile è la lettura di J. Starobinski, Ritratto dell’artista da saltimbanco, trad. di Corrado Bologna, Editore Boringhieri, Torino 1984, analizzato su questo blog da Luisa Mirone).

Si affaccia in qualche antologia e storia letteraria, invece, il componimento Le rime, interessante da proporre agli studenti anche in apertura del modulo sulla poesia del Novecento, per introdurre, usando le categorie pasoliniane, la cosiddetta linea “novecentista” e “antinovecentista”. Nella lirica di Satura le rime sono definite insistenti come delle dame di carità, difficili da respingere; se la poesia stessa si identifica sin dalle origini con l’istituto della rima, il «poeta decente» (v. 5), ovvero Montale, non ne rivendica la necessità: può evitarle, nasconderle, barare, ovvero inserire, al loro posto, assonanze o rime ipermetre. La lirica si presta bene a un confronto con la nota Amai di Saba, nella quale il poeta triestino sottolinea il valore della rima «fiore / amore, / la più antica difficile del mondo» che usa anche nel XX secolo e la cui difficoltà consiste nel sapervi ricorrere caricandola di valori aggiunti e nuovi significati, legati alla temperie culturale e storica coeva.

Chiude questo modulo metaletterario Le parole, poesia-manifesto del quarto Montale: alla scomparsa del poeta come vate nel senso dannunziano del termine, nume che abita il divino, corrispondono l’informalità e la prosaicità dell’espressione poetica; la lirica si presta a interconnessioni con il percorso letterario già affrontato in classe quinta: si pensi a testi chiave come Perdita d’aureola di Charles Baudelaire, inserita nello Spleen di Parigi, ma anche alla prosa Il fanciullino di Giovanni Pascoli. La lirica si snoda in sette strofe che iniziano tutte con il titolo del componimento: qui Montale sottolinea che, nel mezzo della comunicazione quotidiana, le parole possono risvegliarsi dal grigiore della conversazione quotidiana solo se sono composte «sul retro / delle fatture, sui margini / dei bollettini del lotto, sulle partecipazioni / matrimoniali o di lutto» (vv. 11-15) e, una volta vergate su questi supporti triviali, preferiscono l’anonimato e il silenzio del messaggio imbottigliato del naufrago a una condizione da merce da esposizione. Si può solo immaginare, dunque, l’orrore che il poeta ligure avrebbe avuto nei confronti dei festival di poesia che affollano le nostre città, specialmente nei mesi estivi!

Montale e la moderna civiltà dei consumi

Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta l’Italia attraversa un boom economico che comporta il passaggio da una società fondamentalmente ancora rurale a una urbana; affluiscono i modelli americani e si sviluppa una civiltà dei consumi che sarà il bersaglio polemico di Pasolini nei suoi Scritti corsari (si pensi, a titolo esemplificativo, all’articolo uscito nel 1975 sul «Corriere della Sera» con il titolo Il vuoto del potere in Italia, conosciuto come L’articolo delle lucciole). Anche Montale prende posizione, specie nei suoi scritti giornalistici, contro questa civiltà, che mette in secondo piano i valori della cultura, esprimendo la sua preoccupazione nella lirica che, significativamente, chiude la sezione Xenia II, ovvero L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili, poesia straordinariamente moderna dopo l’alluvione che ha devastato nel maggio scorso l’Emilia-Romagna. L’esondazione dell’Arno, che travolse Firenze nel novembre del 1966, provocò 35 morti, feriti, migliaia di alluvionati, devastazioni di edifici e opere d’arte e comportò, per quanto riguarda l’ambito letterario, la distruzione di interi patrimoni librari, come quello della Biblioteca Nazionale, collocata in prossimità del corso del fiume. Fuor di metafora, l’alluvione che «ha sommerso il pack dei mobili / delle carte, dei quadri che stipavano / un sotterraneo chiuso a doppio lucchetto» (vv. 1-3) rappresenta però l’invasione della cultura di massa che ha travolto la società italiana e contro la quale tutti gli oggetti che il poeta elenca («il timbro a ceralacca con la barba di Ezra», «il Valery di Alain», «l’originale dei Canti Orfici», tanto per citare quelli più marcatamente letterari) cercano di lottare, in un duello destinato però alla sconfitta. Andrà fatta notare alla classe come nella prima parte di questa lirica il poeta ligure faccia riferimento a un’esperienza precedente, quella del Modernismo, di cui, usando le nuove categorie interpretative di Luperini (espresse nell’articolo Modernismo e poesia italiana del primo Novecento, «Allegoria», 63, 2011, pp. 92-100), faceva parte anche lui, insieme a Ungaretti e Saba. Montale, come riporta anche in un’intervista del 1973, si sente «assediato» dagli «eventi di una realtà incredibile e mai creduta» (v. 17): lo stile comico di Satura nasce quindi perché «Nel caso in cui l’uomo sia assediato dalle cose (è la mia attuale situazione) la voce non può dialogare che con esse, magari per tentare di esorcizzale» (E. Montale, Se l’assedio dura, in Id., Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano 1996, p. 1503).

Legato allo xenion II 14, è anche Lettera, datata da Montale al 1969 e collocata anch’essa in posizione liminale, ad apertura di Satura II; da L’alluvione riprende il tema del tramonto della civiltà degli anni Trenta, in un contesto veneziano (reso esplicito dall’epigrafe «Venezia 19..») che ricorda un po’ quello del mottetto La gondola che scivola in un forte, inserito nelle Occasioni. La lirica è interessante per il contrasto tra l’atmosfera dei primi 26 versi, che rievoca una civiltà raffinata, fatta di hotel di lusso, teatro, cinema frequentati da un’aristocrazia dello spirito e quella dei versi successivi, in cui si fa largo la prosasticizzazione di quel mondo. All’imperfetto della prima parte si sostituisce il presente del v. 30, «Ora all’albergo giungono le carovane», con un riferimento a uno dei fenomeni tipici della civiltà moderna e, aggiungo io, contemporanea: il turismo di massa, mordi e fuggi, che assalta gli alberghi di Venezia un tempo presidio di questa aristocrazia intellettuale, degradandoli a «spurgo» di liquami nel canale.

Sempre legato a queste tematiche è la celebre Piove, parodia della Pioggia nel pineto dannunziana e databile anch’essa al 1969: le otto strofe polimetriche si aprono tutte con l’anafora di «piove» e la pioggia rappresenta metaforicamente il potere omologante della società di massa, che confonde ogni cosa in uno «stillicidio / senza tonfi / di motorette o strilli / di bambini» (vv. 1-4). Nella lirica emergono elementi tipici della società di massa, a cui Montale guarda con occhio critico: lo «sciopero generale» (vv. 10-11), non strumento di protesta, ma visto in modo sospettoso e scettico come occasione per poltrire; il «progresso della contestazione» (vv. 47-48), ovvero le proteste dei giovani nel Sessantotto; la «cartella esattoriale» (v. 22-23) e la «greppia nazionale» (v. 25), ovvero lo sperpero delle risorse pubbliche operato ai danni della collettività. Se si considera Satura una raccolta con cui “attraversare il secondo Novecento”, non possono che venire alla mente la posizioni di Pasolini sul Sessantotto e, nello specifico, sugli scontri di Valle Giulia, affidate ai versi del poema Il PCI ai Giovani!, pubblicato il 16 giugno su «L’Espresso», ma anche tutta la produzione romanzesca sul tema delle proteste di quel caldo 1969, in cui è ambientato il recente romanzo di Chiara Ingrao, Dita di dama, uscito nel 2014.

Chiude questo percorso sul rapporto tra Montale e la civiltà dei consumi Sono venuto al mondo, in cui la storia pubblica si intreccia con quella privata e si stabilisce un confronto tra l’età delle dittature, nella quale era nato il poeta, caratterizzata da assenza di libertà ma dalla possibilità di condividere i valori della cultura e quella presente, contraddistinta sì dalla libertà, ma dall’incapacità di ricreare quel consorzio intellettuale che era vivo e forte durante gli anni Trenta e Quaranta. Ora, afferma Montale, nel presente del boom economico e del trionfo del materialismo, «non c’è neppure / il modo di evitare le trappole. Sono troppe» (vv. 11-12), non è possibile avere compagni con cui «tenersi per mano, / riconoscersi» (vv. 7-8); sugli uomini aleggia un «burattinaio» (v. 15), ovvero una divinità annoiata e indifferente nei confronti del genere umano.

Attraversare il secondo Novecento con Satura

Le proposte di lettura qui presentate sono solo alcune di quelle possibili in una raccolta eterogenea nei temi come Satura; a titolo di esempio, si potrebbero indagare il rovesciamento di testi celebri delle raccolte precedenti in liriche come I falchi, in cui si riprende Spesso il male di vivere oppure Gli uomini che si voltano, vero e proprio ribaltamento dell’osso breve Forse un mattino andando. Un altro filone da approfondire con gli studenti è quello delle figure femminili dell’opera, che non si riducono alla Mosca dedicataria delle prime due sezioni, Xenia I e Xenia II, ma accolgono, per esempio, anche il ricordo di Clizia nella lirica Senza salvacondotto, in cui il riferimento all’amica Hannah Kahn fa luce sull’atmosfera fiorentina degli anni più bui dei Fascismo e permette una riflessione sul ricordo dei cosiddetti “sommersi”, per usare un termine di Primo Levi.

Emerge, nel complesso, un’opera capace di dialogare tanto con la produzione letteraria coeva più o meno nota (d’Annunzio, Pasolini, Calvino, Saba), quanto con la contemporaneità: è essenziale affrontare con gli studenti aspetti che possano essere vicini al loro orizzonte esperienziale e le liriche di Satura, approfondendo temi quali la massificazione della società, l’avvento del consumismo, il progressivo dissolversi della religione e la perdita di valore della cultura appaiono molto più moderne di quanto non dica la loro data di pubblicazione.

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