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diretto da Romano Luperini

Proposte per giovani lettori – “L’isola in via degli Uccelli” di Uri Orlev – 

Assaggio di lettura

La vista dal numero 78 era fantastica quanto la casa stessa. Non era facile arrivare fino all’unica finestra sul retro raggiungibile da una successione di rampe prive di appoggio, su cui poteva salire un bambino alla volta, perché non avrebbero sopportato un carico più pesante. La finestra era al secondo piano. Sopra di essa c’erano altre quattro finestre una sull’altra. In tutto, la casa aveva avuto una volta sei piani, e naturalmente di sotto c’era la cantina. […]

Al terzo e al quarto piano c’erano porzioni di pavimento che sporgevano dal muro. Un giorno uno di noi osservò che le piastrelle bianche e i resti di una credenza facevano capire che in quel punto c’erano state le cucine. In effetti, si capiva che anche la nostra finestra al secondo piano era appartenuta a una cucina; sotto alla finestra c’era quanto rimaneva di una dispensa, con la sua griglia per l’aria che dava sul settore polacco.

Molti passeri e altri uccelli venivano sempre a posarsi al quarto piano, e svolazzavano intorno come se ci fosse del cibo. Una volta mi arrampicai sui ruderi di fronte per riuscire a vedere i resti della cucina. Non ero abbastanza in alto per vedere il pavimento, ma non riuscivo a credere ai miei occhi! Attaccato al muro c’era un lavello col rubinetto che sgocciolava. Gli uccelli ci venivano a bere. Ma com’era possibile? Forse il condotto dell’acqua arrivava al ghetto dal settore polacco. Anche al terzo piano c’era un lavello ingombro di pezzi di intonaco, mattoni e assi cadute dal soffitto. E c’erano delle dispense anche a questi piani, con gli sportelli ancora chiusi. Le vedevo chiaramente.

La nostra strada non aveva preso il nome da questi uccelli, ma un giorno la mamma me lo raccontò. Molto tempo fa, prima che ci fossero le automobili, c’era un viale alberato in mezzo alla strada, all’ombra del quale passavano su e giù le carrozze tirate dai cavalli. Erano passati così tanti anni che nemmeno la mamma se ne ricordava. Solo la nonna. E lei diceva che quegli alberi erano gremiti di uccelli. A migliaia e migliaia. Per questo avevano chiamato la strada via degli Uccelli. Forse gli uccelli della nostra casa diroccata erano i bis-nipoti dei tris-nipoti di quegli stessi uccelli perché, per un uccello, una generazione è corta. (pp.40-42)

Genere: romanzo storico e di avventura per lettori 11/14 anni

La storia

Raccontato in prima persona da Alex, alter ego dell’autore, il romanzo ripercorre in 20 capitoli il tempo trascorso nel ghetto di Varsavia – tra l’autunno e l’inverno del 1943-’44 –  dopo la sparizione della madre e la cattura del padre. Rimasto solo, il ragazzino deve trovare un luogo sicuro dove rifugiarsi per far perdere le sue tracce: è necessario sottrarsi alle incursioni degli sciacalli che, dalla parte libera della città, entrano nel ghetto in cerca di cibo e beni abbandonati dagli ebrei dopo i rastrellamenti così come è opportuno non essere avvistato dagli abitanti delle case prospicienti il muro di separazione; è altrettanto impellente sfuggire sia allo sguardo dei partigiani polacchi che a loro volta cercano scampo tra le abitazioni abbandonate sia a quello dei soldati nazisti che, di tanto in tanto, tornano nel ghetto alla ricerca degli ebrei nascosti.

Alex non trova di meglio che eleggere a casa un brandello di edificio al quarto piano raggiungibile grazie a una scala di corda e legno che lui stesso costruisce e grazie alla quale può salire e scendere a seconda delle necessità senza far scorgere la sua presenza a chicchessia.

La dispensa della cucina, unica parte dell’appartamento agibile, diviene per lui il luogo dove mangiare, dormire, ripararsi dalle intemperie e dai numerosi momenti di pericolo e da dove osservare – grazie alle fessure di una presa d’aria –  i polacchi liberi che si muovono lungo via degli Uccelli o nelle case di fronte alla sua.

Tanto le avventure spensierate, come il pomeriggio trascorso a pattinare con Stashya, quanto i momenti drammatici che Alex attraversa nei cinque mesi di solitudine, come il terribile attimo in cui usa la pistola lasciatagli dal padre per uccidere un tedesco, costituiscono un’esperienza che si incide indissolubilmente nella sua mente.  

Il titolo

Il titolo del romanzo, come l’assaggio di lettura mostra, sembra rimandare in modo referenziale all’ubicazione della casa dove il giovane Alex vivrà nascosto: il suo rifugio, ricavato in quel che resta di un edificio bombardato all’inizio della guerra, dà su via degli Uccelli, nei pressi del muro che divide il ghetto polacco dalla zona libera della città. Tuttavia il termine “isola” connota il titolo in senso avventuroso: Alex, come un moderno Crusoe, deve trovare tutti gli escamotage necessari alla sopravvivenza e la forza per vincere paura e solitudine: “Era come vivere su un’isola deserta. Invece dell’oceano avevo intorno a me gente e case ma, sebbene paressero vicini, erano in realtà infinitamente lontani.” (p. 105)

I personaggi

L’isola in via degli uccelli ha come protagonista indiscusso Alex, rappresentante esemplare di ogni ragazzo e ragazza che si trovi a subire le conseguenze drammatiche della guerra nella propria vita. Lo spirito di sopravvivenza e la fiducia nel ritorno del padre aguzzano la sua intelligenza e il suo pragmatismo portandolo a costruire giorno per giorno la sua salvezza, sia quando questa passa attraverso l’isolamento prolungato nel suo rifugio, sia quando si avventura nel bunker sotterraneo per recuperare abiti e cibo.

Nel corso della storia il protagonista sperimenta la varietà dei comportamenti degli uomini nelle situazioni che mettono alla prova, a vario grado, la loro capacità di essere solidali: dalla disinteressata generosità del medico che lo aiuta a curare un partigiano polacco ferito, all’avidità del portiere che pretende il pagamento di una “tassa” per fargli attraversare il passaggio segreto che separa il ghetto dal settore polacco.

Lieve e delicata è l’unica figura femminile coetanea di Alex, Stashya, “la bambina più bella che avessi mai visto in vita mia”, che Orlev tratteggia come la compagna che condivide con Alex i primi sguardi complici e turbati da un sentimento adolescenziale.

Perché proporne la lettura

Il pregio del romanzo sta nella capacità dell’autore di trasfigurare in narrazione letteraria la propria esperienza di vita: nato nel 1931 a Varsavia, Orlev ha in larga misura sperimentato quello che tocca al suo protagonista, perdendo nel corso del secondo conflitto mondiale prima il padre e poi la madre a causa delle persecuzioni contro gli ebrei.

Come scrive nell’Introduzione “Il quartiere vuoto di cui leggerete qui è il ghetto. Non dev’essere necessariamente quello di Varsavia, dato che esistevano anche degli altri ghetti. Ma in questo ghetto le case erano state svuotate dei viveri e delle persone che vi abitavano mentre tutto il resto era rimasto uguale.”

Il modello letterario che sta alle spalle di questo romanzo per ragazzi – così ricco da essere al contempo Bildungsroman, romanzo storico e di avventura – è Robinson Crusoe di Defoe: come l’everyman che inaugura la narrazione romanzesca in Europa, Alex è un bambino qualunque travolto dagli eventi della Storia. Tuttavia l’”isola” qui è la casa sventrata dalla bomba e la sfida al protagonista non è rivolta dalla Natura ma dalla storia: il cimento che lo impegna non sta quindi nell’imponderabilità degli elementi naturali ma nella brutalità delle vicende belliche. Dalla sua “casa” misura la distanza che lo separa da coloro che possono ancora, nonostante tutto, cercare di condurre una vita normale: i coetanei che al mattino si recano a scuola, la vita degli adulti nelle case rimaste inalterate. La sua solitudine è lenita solo dalla presenza del topolino Neve e dall’attesa, non vana, del ritorno del padre.

Informazioni editoriali

Salani Editore

Traduzione di Mariarosa Giardina Zannini

Pagine 185

Illustrazione di copertina di Cesare Reggiani

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