Saveria Chemotti, Ci darà un nome il tempo, Roma, Iacobelli 2022
Per Iacobelli Editore è di recente uscito il nuovo romanzo di Saveria Chemotti, Ci darà un nome il tempo. Ne pubblichiamo un estratto, ringraziando autrice ed editore della disponibilità.
Quando Marta aveva annunciato che sarebbe andata a vivere, per un periodo di prova, in un monastero di clausura in Umbria, al fine di interrogarsi sul senso della vita e sulla sua persistente e palese frustrazione, tutti l’avevano presa per una delle sue famose piazzate.
In paese si erano diffuse da tempo decine di pettegolezzi e bisbigli scandalizzati. […]
Nessuno credeva davvero che Marta sarebbe riuscita a resistere salmodiando tra le mura di un convento di clausura, lontano dalla famiglia, dagli amici, dal lavoro e dall’intensa attività di relazioni sociali che si era costruita.
Stare in silenzio, poi…
Per farla tacere, quando si infervorava nelle riunioni pubbliche, bisognava minacciare di tapparle la bocca con gli sgraoi del zaldo, (i torsoli del granturco) per riuscire a prendere la parola.
Era una bella ragazza, Marta. Capelli neri ricci, il viso tempestato di lentiggini, un sorriso cangiante, un corpo snello. Solo gli occhiali da miope le conferivano un’aria più severa di quella che il suo carattere estroverso diffondeva attorno a sé.
Quella decisione paradossale, lanciata una sera dopocena, come una freccia avvelenata nel tepore protetto della cucina, aveva gettato i suoi genitori in una profonda disperazione.
– Sono disorientata. Dentro di me si accavallano voci che mi spingono a scegliere un nuovo progetto di vita – aveva spiegato Marta a suo padre Quirino, che la scrutava con uno sguardo scandalizzato e disilluso, tormentandosi gli occhi per nascondere le lacrime nervose.
– Un altro esperimento? La laurea, l’insegnamento, le lezioni di canto, il giornale, il sindacato. Tutte buche. Sei viziata ed egoista. Adesso che avremmo bisogno di te perché diventiamo vecchi, te ne vai? In questa stagione, poi, che ci aspetta il raccolto delle patate e dell’uva? Le foglie di tabacco sono già grandi e pronte per essere essiccate. Come facciamo noi due soli? A dire il vero io ho sempre pensato che a te piacesse aver le mani pulite e le unghie pitturate. Altro che lotte per i contadini e sceneggiate da rivoluzionaria. Non ti va mai bene niente. Niente! –
– Non potrebbe essere una chiamata del Signore, questa? –
– Il Signore? Poveretto! Lascialo in pace. Non ha bisogno di altre teste calde. Ne ha viste di tutti i colori, ma una come te, credo, lo costringerebbe a farsi inchiodare di nuovo sulla croce. – […]
Non era una zitella Claudia Ermini.
Vestita sempre molto sobriamente, tailleur pantaloni con una spilla sul bavero della giacca, capelli lunghi castani raccolti in una crocchia, orecchini di perle, niente trucco.
Solo un leggero rossetto, per qualche occasione speciale.
Non era davvero una donna inacidita e priva di empatia, come poteva apparire ai più. Soprattutto agli studenti che commentavano aspramente la sua distaccata severità.
Anzi. […]
Il Po per lei era padre e madre anche se adesso il garrito dei gabbiani che l’accoglievano volando in cerchio sopra di lei, assomigliava a strida d’aiuto strozzate che affioravano dall’acqua.
Il casolare restava chiuso, quasi sempre sbarrato. […]
Tornare sul Delta era l’occasione di osservare la natura che riprendeva lentamente vita. Quando la superficie dell’acqua luccicava al chiarore della luna quel luogo sembrava magico e aveva l’impressione di essere sola sulla terra.
L’oro del cielo, l’odore di salsedine, le estreme propaggini del grande fiume in continua metamorfosi le provocavano ancora un brivido. Riaffiorava la nostalgia per la gastronomia pregiata, i prodotti tipici degli orti e del mare. Il radicchio, il vino, i pesci, i molluschi. Scardovari era famosa per i suoi molluschi.
Sopportava perfino le nuvole di zanzare che a sera sibilavano e pungevano. […]
In un pomeriggio uggioso, dedicato a sbrigare la corrispondenza, Claudia aveva trovato, nella sua casella di posta, un’e-mail con l’intestazione di un Monastero che l’aveva fatta sobbalzare sulla sedia per la sorpresa.
Chissà perché non aveva premuto Canc.
Gentile prof. Ermini, – diceva – Stamattina ho letto sull’«Avvenire» che lei sta organizzando a Padova un importante convegno sul rapporto tra donne e sacro. Quando ho visto il suo nome ho chiesto alla Madre Superiora se potevo scriverle perché lei è la docente con cui mi sono laureata, parecchi anni fa, con una tesi su Leopardi progressivo e il pessimismo eroico.
Allora mi ripresento.
Sono Marta Piccoli, la studentessa trentina che l’ha fatta arrabbiare perché metteva gli articoli determinativi davanti ai nomi propri e non solo. Le sono ancora riconoscente per le sue sfuriate. Ne ho tratto molto giovamento. Dopo la laurea ho insegnato nelle scuole, ho collaborato come giornalista con diversi quotidiani, ma a trent’anni ho deciso di entrare in convento e prendere i voti. Adesso sono una monaca di clausura e vivo in un bellissimo paese in Umbria, vicino ad Assisi, circondata da un’atmosfera francescana che mi compenetra e mi riconcilia col creato e soprattutto col suo Creatore. Per questo alla consacrazione ho scelto il nome di Suor Serena.
Mi piacerebbe molto avere sue notizie e anche qualche informazione in più sulla sua attività sempre così frenetica, come ho scoperto navigando in rete.
Mi scuso se l’ho disturbata, ma spero in una sua risposta, mentre mi permetto di ricordarla nelle mie preghiere.
Sr. Serena Osa
PS. Osa significa Ordine suore agostiniane, ma io lo considero un invito, uno stimolo a scegliere, a reagire col bene.
Claudia era distante mille galassie dall’idea di fede e di vocazione. La scelta della clausura poi le era apparsa, da sempre, una fuga dalla realtà, un esilio dentro di sé e da sé. Improponibile, a ripensarci, per quella allieva infervorata e bizzarra che l’aveva costretta a ingaggiare una severa polemica sul metodo e il merito di una ricerca.
Per di più, la religione, con una formulazione essenziale e certo riduttiva, era catalogabile, a suo avviso, come patrimonio di persecutori e vigliacchi che imponevano il rispetto dogmatico a una serie di norme autoritarie, pena la condanna eterna. Una singolare polizza assicurativa per l’eternità, ma soprattutto un luogo feroce di conflitti tra opposte derive.
Impossibile una mediazione.
– Una suora. Marta. La Marta. Una comunista in clausura. Dev’essere andata fuori di testa. –
Rimuginava da giorni. […]
Le parole di Marta ora la costringevano a un imprevisto giro di giostra tra passato e presente, a cui non era preparata anche se, organizzando il convegno, si era proposta di approfondire l’antropologia biblica, cristiana e delle altre dottrine storiche per avviare un dibattito, senza forzature polemiche, su un argomento molto complesso e ancora aggrovigliato che coinvolgeva tutte le religioni rivelate, tutte le Chiese che avevano escluso e reso le donne reiette, negando loro un dialogo e un confronto reale con Dio.
Poteva discutere tutto questo con Marta-Suor Serena?
Poteva scriverle mascherando la sua profonda avversione verso tutto quello che oggi cozzava contro la sua idea di una società laica di uguali, senza prescrizioni disumane, imposte da un concistoro di maschi in gonnella, neri, rossi e bianchi?
[…] Ne era scaturita una lettera puntuta, severa quanto bastava, ma anche disponibile a un confronto se i tempi e i modi della clausura lo avessero consentito, rispettando la regola e i suoi dettati. Una scommessa e una provocazione che avrebbero potuto però anche interrompere la loro corrispondenza sul nascere.
Carissima Marta,
non è facile, per me, iniziare questo colloquio a distanza perché le mie convinzioni politiche poggiano oggi su una critica spietata alla Chiesa come istituzione. La mia idea di Dio nel periodo della mia fanciullezza e adolescenza era addirittura dogmatica, alimentata da paure e divieti, tridui, processioni, canti mariani […].
Quando sono cresciuta, ho studiato, ho riflettuto, ho partecipato alle lotte operaie e studentesche e ho maturato progressivamente l’idea che la Chiesa sia diventata solo uno strumento coercitivo, di annientamento della soggettività, di rassegnazione alla sofferenza e ai soprusi, di sottomissione al potere, anzi, sempre pronta a schierarsi con il potere. […]
Non ho alcun desiderio di avere una religione e neppure una fede e credo fermamente che il nostro destino non si possa risolvere tra paradiso e inferno. […]
Spero che tu non ti sconvolga, ma questo è il mio punto di vista, tenace e soprattutto sofferto. Troppe volte mi sono imbattuta nell’integralismo, nelle crociate, nel fuoco dell’Inferno brandito come arma di offesa e di difesa.
Riassumendo, io penso che il dovere di testimoniare con la propria vita e la propria condotta valga più di un credo e di un dio.
Mi piacerebbe pensare che quando lottiamo per i diritti elementari e universali della persona io e te (anche per quello che rappresenti) potessimo trovarci ancora dalla stessa parte, con i distinguo dei ruoli, non degli obbiettivi. Tuttavia credo che sia impossibile.
Messe queste carte in tavola, pensi ancora che sia il caso che noi due ci scriviamo?
Un caro saluto
Claudia Ermini. […]
Le lettere cominciarono ad assumere una cadenza mensile.
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