Contro il Merito, per una scuola e una cultura cooperative e gregarie /1
Pars destruens
1- Il nuovo governo si è formato da pochissimi giorni, mentre scrivo, e già si levano – per fortuna, aggiungo, e con mia sorpresa – voci molteplici di dissenso, allarme e perplessità su uno degli aspetti della sua composizione e dei suoi connotati e indirizzi meno appariscenti e aperti al proscenio mediatico: il sostantivo Merito aggiunto alla denominazione del ministero dell’Istruzione, ovviamente non più Pubblica: ma questo è ormai da tempo consolidato e non ci si fa più caso. Il fatto che a reggerlo sia un personaggio ben noto e connotato a destra, il senatore e professore Valditara, è del tutto legittimo, visto l’esito delle elezioni, ma ciò non toglie che l’accoppiata Merito-Valditara susciti sinistre sensazioni in chi si è fatto da tempo un’idea del primo e del secondo. Di quest’ultimo dirò solo (e poi tacerò) che il suo nome è legato indissolubilmente alla Legge Gelmini (ne è stato a suo tempo relatore e forse estensore), e che questa legge di riordino dell’Università è stata, a mio avviso, il primo episodio compiuto del processo di autonomia differenziata, devastante provvedimento realizzabile anche grazie alla dissennata modifica del titolo V della Costituzione, votata – va ricordato – dal centrosinistra. Quella legge, operando secondo astuti parametri “meritocratici”, riferiti alle istituzioni universitarie, ha di fatto pian piano definanziato e quindi ridotto il personale docente nell’insieme del sistema pubblico, a vantaggio di quello privato (pare che ci siano in Italia ben undici università telematiche; e molti posti-chiave nelle istituzioni e nella società sono detenuti da esponenti della Bocconi o della Luiss); e soprattutto ha penalizzato le università periferiche e meridionali provocandone la progressiva moria per inedia o semplicemente per decadimento di qualità e organizzazione. Certo queste ultime università, nelle quali peraltro non mancano le decantate “eccellenze”, sono meno “attrattive” di quelle del ricco Nord: volete voi che gli studenti di Milano o Bologna trovino meno possibilità d’impiego di quelli di Catanzaro o Catania? O che i primi Atenei trovino meno finanziatori pubblici e privati dei secondi? Così, «a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Matteo 25, 29). Ma i nostri cristianissimi governanti non conoscono certo il Vangelo, e se lo conoscono non lo capiscono, se lo capiscono (ma quando mai!) si guardano bene dal praticarlo. Quanto sopra, giusto per intenderci sulle tendenze di lungo periodo che portano poi alla santificazione del Merito.
2 – Ma basta con Valditara & Co. Andiamo al sodo, ossia proprio al Merito. Cerchiamo di analizzare e denudare questo sostantivo così sorprendentemente e improvvidamente aggiunto a una vecchia titolazione del ministero di Viale Trastevere 70. Cominciamo, 1) dal non detto del Merito, dal suo valore quasi sempre antifrastico: siamo in Italia, si sa, e il familismo, non saprei se amorale, vige indisturbato: il Merito in questo caso è certo l’appartenenza, la “comarca”, che vale per studenti, studiosi e istituzioni. Alcuni o molti “scandali” nei vari Atenei (su quest’argomento occorrerebbe parlare diffusamente e laicamente, e qui non è il luogo) sono stati il denotatore di una finta rivolta delle élite al potere, di sgangherate pubblicità “populiste” per la meritocrazia, di fatto per una modernizzazione conservatrice. Chi lavora nelle scuole potrebbe pensare che le questioni dell’Università non siano di interesse specifico e attuale, per loro, ma sarebbe un errore proprio per il ruolo di apripista che ha avuto la Legge Gelmini e i suoi corollari applicativi, coronamento di un lungo attacco baronale e confindustriale al sistema di formazione pubblica, che è stata lasciata così quasi senza difese ideali, sociali e culturali; il successivo attacco è stato alla scuola pubblica (e qui ci ha pensato soprattutto la “buona scuola” di Renzi), che ha creato certo dissensi e proteste ma anche, non va dimenticato, consenso fra le frazioni più ambiziose o semplicemente più stupide del gruppo sociale costituito dai e dalle docenti; certo questo secondo attacco è stato forse un po’ più difficile soprattutto a causa della maggiore materialità del rapporto formativo e alla maggiore sensibilità dei e delle docenti di questo settore della formazione, sensibilità dovuta a sua volta al più evidente processo di proletarizzazione che li ha investiti e al ruolo demiurgico e manageriale che hanno per contro assunto i “dirigenti”. Questo è dunque, ripeto, il primo e più basso livello del Merito: sei meritevole se sei un convitato d’angolo, o magari un servitore, alla mensa dei potenti: nel più puro stile clientelare d’Italia. Ma questo non si può dire, perché ancora per un po’ l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù.
3 – Mentre scrivo adocchio qualche giornale, ascolto per radio il dibattito sull’argomento, che cresce ora dopo ora. Sono indotto perciò a modificare in progress la scaletta del mio intervento, colpito dall’abbondanza delle proteste di insegnanti, pedagogisti non d’assalto, intellettuali-massa impegnati nel lavoro, proteste variamente motivate e diversamente radicali, alle quali fanno argine pronto e violento i giornalacci reazionari e un po’ più morbido quelli progressisti (i più pericolosi per il ruolo di paracolpi che assumono, come sempre, per il cerchiobottismo che ammala e ammalia raffinati giornalisti), oltre che i soliti uomini politici di destra riformatrice (!). Può darsi perciò che queste pagine giungano ad essere pubblicate fuori tempo massimo, ossia quando alcune delle posizioni che esprimo saranno senso comune, o superate dai fatti, o semplicemente cancellate dal naturale processo della damnatio memoriae. Perciò ho già abbreviato e rimaneggiato la parte precedente, e vado a segnalare i rischi concreti che la parola Merito vuol celare con la sua carica di eufemismo. Passo così al secondo punto possibile di applicazione: i giovani «capaci e meritevoli» di cui parla la Costituzione. Qui l’ipocrisia è superata, sdoganata, come si dice. Capace che diventa meritevole sarà lo studente o la studentessa modello, il Pierino o la Pierina che sgomita, che si adegua agli standard di pensiero e di rendimento (meglio performance), di comportamento dentro e fuori l’aula, spigliato/a e sicuro/a di sé, che ama il coding e sa confezionare buone ricerche sul baco da seta, segue corsi di danza o di karate, si adegua ai POF e si aggiorna nei PON (piani nazionali che puntano su competenze e ambienti di apprendimento), con mammine e babbini al fianco, che fanno a loro volta comunella con analoghe figure di docenti ed entrano negli Organi delle scuole, incalzano i pargoli da casa perché non prendano il raffreddore, danno infine del “tu” – capita anche questo – ai o alle “dirigenti”. Nessun Gianni della Scuola di Barbiana, dunque, potrà ambire alla medaglia al Merito; e non parliamo poi dei molti Franti, a meno che non siano scapestrati rampolli della buona borghesia – cittadina o paesana, poco importa: questi ultimi rientrano di diritto nella categoria enucleata nel precedente capoverso. Di questo rischio parlano e scrivono i partecipanti al dibattito in corso in queste ore. Poco o nulla mi pare invece di aver sentito dei rischi che seguono.
4 – Passiamo dunque al terzo e quarto punto di assegnazione del Merito. Il terzo riguarderà, va da sé, le e i docenti: speculari ai pargoli e ai loro genitori, aggiorneranno costantemente i loro standard e criteri di insegnamento (ovviamente al ribasso, alla riduzione del senso critico), si preoccuperanno in primo luogo della salute fisica e psichica dei giovani loro affidati non perché abbiano difficoltà sociali o di adattamento, ma perché siano più sicuri e “performanti” e non abbiano a perdere qualche ascensore verso il Successo. Tali docenti iperresponsabili o sgomitanti avranno alcune occupazioni-preoccupazioni, e forse ad esse obbediranno con dedizione, come gli asini in processione di antica e perduta memoria, che si muovevano da soli, legati l’uno all’altro da una funicella, dal punto di carico al punto di smercio, guidati dal più anziano ed esperto di loro (in Sicilia li chiamavano «scecchi ‘i cunseguenza»): dunque essi dovranno opportunamente posizionare la loro classe nei riguardi di knowledge and understanding, con particolare attenzione ad adeguati livelli di applying knowledge and understanding, soprattutto; ricordare spesso ai loro discepoli quanto sia importante la loro capacità nell’arte del making judgements nonché delle communication skills; il tutto al fine, naturalmente, di soddisfacenti esiti terminali di learning skills.
A costoro, dopo che avranno giurato coi fatti Fedeltà al Sistema, sarà consegnata la bolla di Docente al Merito, e assegnato un aumento di retribuzione di cento euro annui (lordi), con in più il compito di vigilare guidare e stimolare la massa infingarda dei loro colleghi. Siamo onesti: a scorporare, con vari incentivi, con blandizie e ricatti morali, i docenti di serie A da quelli di serie B ci hanno pensato un po’ tutti i governi degli ultimi trenta o quarant’anni, perché l’ideologia dell’affidabilità e del rendimento (ci casco sempre: meglio dire performance) fa parte integrante del progetto di spaccare le classi e i gruppi sociali, e certo non solo nella scuola. E le sinistre politiche e sociali progressiste (il progressismo, consentitemi un passaggio personale, è la mia bestia nera: colpa di letture giovanili, ormai sono incartapecorito) sono state qui peggiori e più dannose delle destre becere; e, qui come altrove, le prime hanno spietrato, disboscato, arato, concimato il terreno (quello materiale e soprattutto quello ideale), che adesso è consegnato, ben pettinato e fertile, alle seconde.
Infine un quarto probabile punto archimedeo di attribuzione del Merito è infine quello nel quale si annida il maggior rischio: esso riguarda le istituzioni scolastiche in quanto tali, e qui il Merito fa da pendant all’autonomia differenziata (e questa è la ragione per cui, inizialmente, ho tanto insistito sulla Legge Gelmini e sul ruolo di apripista delle Università). Le scuole attrezzate e moderne del Nord e del Centro, ricche di personale docente e ATA, finanziate e ben programmate (magari da dirigenti meridionali in trasferta e ben limati dal progressismo meritocratico) saranno il nuovo Stupor Mundi, se ne parlerà nei servizi televisivi, avranno fondi per migliorare il loro standard, per realizzare e implementare (si dice così?) progetti di inclusione e integrazione (ma qui, ahimé!, bisognerà poi vedere come mettere assieme le popolazioni indigene e quelle immigrate, quelle indigenti e quelle abbienti, il bisogno nordico di popolazione di colore che lavori nelle fabbriche e l’odio per gli immigrati – a meno che non siano belli e bianchi – che sarà una costante del nuovo Governo. Per quanto riguarda gli schiavi dei campi, del Sud come del Nord, non c’è problema: dispersi come sono in luoghi difficilmente controllabili, possono anche morire per 20 euro al giorno, detratti i 15 per spese di alloggio). In questo si avvarranno dell’aiuto delle Istituzioni Locali, delle Fondazioni civili, delle Banche, insomma dei Privati Disinteressati e delle Aziende che le aiuteranno a plasmare e dolcemente indirizzare la già meglio formata e disciplinata manodopera; i programmi saranno definitivamente “adeguati al territorio” (il che significa che sarà definitivamente spezzata l’unità culturale della Nazione, per quanto questo termine sia oggi di moda in senso deteriore). In tal modo il sistema delle Scuole del Merito potrà finalmente e ufficialmente benedire le nozze fra costui, il Merito, e la Sussidiarietà che di strada ne ha fatta, dai convegni di Rimini fino alle aule del Parlamento e agli assessorati lombardi alla salute, fra Cadmo e Armonia, fra esseri umani e divini. Quando gli sposi saranno trasformati in serpenti, noi che scriviamo e leggiamo saremo tutti morti, secondo l’acuta osservazione di Lord Keynes sui processi di lungo periodo. Nel frattempo, se non saremo fra i pochi invitati al Convito (perché pochi saranno comunque gli eletti, anche nel ricco Nord), ci arrabatteremo con scuole cadenti, personale insufficiente, alunni vocianti, genitori disoccupati… e buche per le strade, immondizie, e ospedali sovraffollati e così via…
L’ho fatta un po’ lunga, ma ho ancora qualcosa da dire. Spero in un prossimo futuro.
Articoli correlati
-
L’interpretazione e noi
-
Elsa de’ Giorgi, Italo Calvino e la rimozione di una donna
-
Dietro le quinte di un’amicizia letteraria: La vita dell’altro di Enrico Terrinoni
-
Su Jameson
-
Una lettura di Pellegrinaggio di Ungaretti
-
-
La scrittura e noi
-
Perché leggere (in classe) Il corpo di Stephen King
-
“La tempesta e l’orso” di Claudia Boscolo – Un estratto
-
Un antidoto alla disumanizzazione. Perché rileggere “Picnic sul ciglio della strada” dei fratelli Strugackij
-
Illuminare il lutto. Su Cenere di Mario Natangelo
-
-
La scuola e noi
-
«Segno di grandezza e nobiltà». Giacomo Leopardi oltre gli automatismi didattici
-
Umano troppo umano. Sul finale di Pinocchio: rifiuto o accettazione. Da una riflessione di Giovanni Jervis
-
Prendimi così come sono. Un percorso nella poesia di Antonia Pozzi
-
“Le parole formano il pensiero”: modi di dire sessisti nel linguaggio sociale. Storia di un percorso di Educazione civica dentro la scuola a scuola
-
-
Il presente e noi
-
La letteratura e noi a convegno. Palermo 3 e 4 ottobre 2024
-
Verso il convegno di LN /2. Svegliarsi alla verità: l’insegnamento e il freno d’emergenza
-
Verso il convegno di LN /1. Dare spettacolo o capire lo spettacolo? Prospettive sulla media education a scuola
-
La letteratura e noi a convegno. Palermo 3 e 4 ottobre 2024
-
Commenti recenti
- Eros Barone su «Segno di grandezza e nobiltà». Giacomo Leopardi oltre gli automatismi didatticiInterrogarsi sul significato e sulle conseguenze intellettuali, morali e civili della ricezione di Leopardi da…
- Luisa Serroni su Perché leggere “Quaderno proibito” di Alba De CéspedesBravissima l’autrice della recensione, sono completamente d’accordo con la sua analisi ricca e articolata, grazie!…
- Eros Barone su Verso il convegno di LN /2. Svegliarsi alla verità: l’insegnamento e il freno d’emergenzaCaro Zinato, come fa a non rendersi conto che, per il suo valore semantico e…
- Emanuele Zinato su Verso il convegno di LN /2. Svegliarsi alla verità: l’insegnamento e il freno d’emergenzaCaro Barone, apprezzo e comprendo il suo tentativo di demistificazione materialistica: tuttavia, come altre volte,…
- Maria Cristina su Esiste uno spazio per le “Cose che non si raccontano” e Antonella Lattanzi lo ha trovatoE’ un libro che spezza il cuore, bravissima la Lattanzi a mettere a nudo tutti…
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Annalisa Nacinovich, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Daniele Lo Vetere
Editore
G.B. Palumbo Editore
Lascia un commento