
Un Houellebecq normalizzato?
Cari lettori e lettrici, la redazione di LN si prende una pausa estiva. Durante questo mese, ripubblicheremo alcuni articoli già usciti nel corso dell’anno. Ci rivediamo a settembre.
Houellebecq è noto, nel mondo letterario, per il suo cinismo e per il terribile nichilismo, a partire da Le particelle elementari, il suo capolavoro, sino al recente Sottomissione, che mostra la facilità con cui la società francese si sottomette alle consuetudini e alle leggi imposte dall’Islam. Ora con Annientare (la Nave di Teseo) Houellebecq si sposta nel mondo della politica francese, immaginandolo nei momenti che precedono le elezioni presidenziali. Il protagonista Paul è uno stretto collaboratore del ministro della economia, un suo amico, Bruno, ma viene chiamato a collaborare alle indagini della Direzione generale per la Sicurezza interna, dopo alcuni misteriosi attentati organizzati da terroristi digitali. Come si vede, l’autore proietta nello immediato futuro della Francia situazioni attuali. Nonostante il suo carattere scettico e apatico, Paul è tuttavia capace di nutrire, come dire?, buoni sentimenti nei confronti dell’amico, dei familiari più stretti (i fratelli, la sorella, il padre, che in passato aveva diretto lo stesso ufficio governativo), la moglie Prudence, da cui però si è allontanato negli ultimi anni (d’altronde anche l’amico non ha più una relazione stabile con la propria cui ha chiesto il divorzio). Ecco, il fatto nuovo sono proprio i buoni sentimenti, che il lettore di Houellecq non era abituato a trovare nei suoi romanzi. Nonostante il titolo sparato in copertina, Annientare non ha dunque niente di terribile. E anche sotto l’aspetto stilistico e formale è più vicino al romanzo di consumo che a quello problematico, il che ha indotto alcuni recensori a stroncarlo (Pierluigi Pellini, Romanticismo reazionario. La verità di Houllebecq, in Le parole e le cose², e Daniele Giglioli in un’intervista a Radio Tre; di diverso parere Gilda Policastro che, invece, lo ha difeso in Annientare la trama (e la critica?): note sull’ultimo romanzo di Michel Houllebeq, in Le parole e le cose²).
E in effetti non mancano cedimenti verso il patetico. In fondo il romanzo racconta una storia di amore fra marito e moglie, dopo anni di gelo e di distanza. Tutto il resto (gli attentati, la propaganda elettorale, ecc.) è solo il contorno un po’ sbiadito. Tuttavia la terribilità del male resta, soprattutto nelle ultime duecento pagine di questo romanzo, forse troppo lungo e addirittura fluviale (800 pagine), mescolandosi qui con l’orrore del cancro alla mascella che ucciderà il protagonista e alla tenerezza con cui viene assistito da Prudence. Allo sgretolarsi della società corrisponde quello della morale comune, ma l’amore sembra conservare ancora un proprio potere consolante. Anzi la prossimità di amore e morte e la inevitabile prevalenza di quest’ultima costituiscono il grande tema della conclusione, in cui riaffiora il nichilismo dell’autore, per il resto ristretto a pochi episodi (per esempio, quello in cui Paul scopre nella prostituta con cui si sta intrattenendo una propria parente).
Insomma si tratta di un romanzo di passaggio. L’autore sta lentamente virando verso il romanzo di consumo, mantenendo tuttavia alcuni suoi tratti caratteristici. E d’altronde chi potrebbe sostenere che i grandi romanzi devono solo mostrare il male e la negatività? Anche per questo sulle conseguenze artistiche di questa evoluzione (o involuzione) è ancora troppo presto per esprimere un giudizio definitivo.
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