Vedere la storia. Un percorso didattico su cinema, propaganda, nuovi media
La proposta che presenterò sinteticamente in questo pezzo nasce da due stimoli. Da una parte, la lettura del recente intervento di Chiara Marasco, nel quale l’autrice riflette sull’intreccio fra didattica della letteratura e del cinema, insistendo sulle opportunità che offre: in particolare, per promuovere processi di inclusione e alfabetizzazione ai media come elemento strutturale del percorso formativo nella scuola secondaria superiore. Dall’altra, la stesura del programma per l’esame di Stato, strettamente legata alla riflessione su temi, documenti e questioni che potrebbero essere proposti a candidate e candidati per avviare il colloquio: un punto di arrivo volto a immaginare una degna conclusione degli anni di studio, in una prospettiva culturale che implica (per ciascun docente e gruppo di insegnanti) una valutazione di quel che si è riusciti a costruire con la classe.
Rispetto alla riflessione di Marasco sul Neorealismo, si pone in un certo senso come premessa storica, poiché è centrato proprio sull’immaginario manipolato che renderà così urgente e significativo il ritorno al realismo, nel cinema e nella letteratura del secondo dopoguerra. In prospettiva dell’esame di Stato, riprende una pratica tanto importante quanto discussa: l’incontro fra le discipline e il loro concorso nel determinare lo sviluppo di competenze di alto profilo (acquisizione di conoscenze di lungo periodo; consolidamento di abilità di comprensione e decodifica di testi di varia natura; desiderio e capacità di utilizzare autonomamente idee, contenuti e abilità per affrontare e risolvere problemi posti dalla realtà e dalla società contemporanea).
In questo quadro, le finalità dell’attività sono espressione diretta di una didattica legata a tre esigenze/ valori che mi sembrano ineludibili, nella scuola democratica di oggi:
- La costante riproposizione di una riflessione su concetti chiave dei curricoli disciplinari (in particolare nelle materie umanistiche) e della realtà sociale e umana nella quale la scuola agisce: le idee di realtà, realismo, pluralismo, autocrazia, identità, massificazione, verità, falsità, rappresentazione.
- Il lavoro su due assi portanti indispensabili per costruire un rapporto consapevole e serio fra gli argomenti di studio, il mondo fuori dalla scuola, l’interiorità dello studente: le abilità di storicizzazione e di attualizzazione
- La promozione di un’autentica consapevolezza degli strumenti e dei mezzi di comunicazione come portatori di valori, immaginari e ideologie. In quest’ambito, lo stimolo a comprendere la storicità dei media e la loro evoluzione.
TESTI, TEMI, IPOTESI CRITICHE
Argomento dell’attività è l’utilizzo del cinema come strumento di propaganda, ad opera dei totalitarismi e delle democrazie, fino alla Seconda Guerra Mondiale. In questo senso, i testi di riferimento sono principalmente tre: Camicia Nera (1933), il film girato da Giovacchino Forzano in occasione del decennale della Marcia su Roma; Olimpia (1938), che Leni Riefhensthal realizzò per celebrare la gloria tedesca attraverso la metafora dei giochi olimpici di Berlino 1936; Why we fight? (Perché combattiamo?) (1942/ 1945), la serie di film di propaganda che il Ministero della Guerra degli USA commissionò al maestro della sophisticated comedy hollywoodiana, Frank Capra, per convincere i soldati e l’opinione pubblica statunitense della bontà delle ragioni che spingevano gli americani ad abbandonare la politica isolazionista per combattere in Europa.
Questi film sono disponibili, in forma integrale o per sequenze significative, in rete. L’attività qui descritta si riferisce ad alcune semplici sequenze didascaliche: in particolare: l’inizio di Olimpia (i primi dodici minuti) e di Why we fight? (i primi sei minuti del primo documentario).
Oggetti privilegiati di attenzione e di analisi sono tre topoi fondamentali del discorso propagandistico (di ogni tempo):
- La presenza di una filosofia della storia, che interpreta gli avvenimenti in relazione al valore morale/ immorale che si attribuisce alla propria parte o a quella del nemico, e ne dà una spiegazione in termini di finalismo razionale. Ad esempio, nella sequenza iniziale di Olimpia, si costruisce sapientemente l’idea che la bellezza, la purezza e la forza rappresentate dal canone architettonico e statuario della Grecia classica trovino il loro naturale compimento nella Germania di Hitler; in Camicia Nera, Forzano collega la presunta coralità della Marcia su Roma all’eredità storica dell’arte e delle città italiane, presentandola come una sorta di prosecuzione del patriottismo risorgimentale; Capra, da parte sua, presenta la lotta contro il Nazifascismo come il compimento di un percorso storico edificato dai principali rivoluzionari del passato (fra i quali, un posto d’onore spetta a Garibaldi), e rappresenta le autocrazie italiana, tedesca e giapponese come un tentativo di riportare indietro l’orologio della Storia
- La descrizione di un mondo diviso in due metà inconciliabili, e l’associazione di una di esse al bene (al giusto, alla ragione) e dell’altra al male (all’errore, al torto). Esemplare, in questo senso, lo sdoppiamento del globo terrestre cui assistiamo all’inizio del documentario di Capra, mentre la voce narrante ricorda le parole del vicepresidente Wallace: “Questa è una lotta fra un mondo libero e un mondo di schiavi”
- La proposta di un’idea di umanità in cui la soggettività è subordinata alla massa, e si acquista un’identità riconoscendo la propria appartenenza allo Stato, una totalità di cui non si possono che condividere idee, valori, scopi. In quest’ottica, il Fascismo, nella versione celebrativa di Forzano, è la forza storica che ha risolto le esitazioni e i dubbi dei governi liberali, sostituendo ad essi lo spontaneo unanimismo dei plebisciti.
UN INTRECCIO DI SAPERI E LINGUAGGI
Lo studio del cinema di propaganda presuppone la solida acquisizione di un patrimonio di conoscenze e abilità disciplinari e interdisciplinari, e si propone come loro consolidamento, con una particolare spinta verso l’analisi e la comprensione del presente.
Nell’ambito letterario, lo studente che abbia acquisito negli anni conoscenze storico-culturali e abilità argomentative e critiche sarà perfettamente in grado di riconoscere, nelle rappresentazioni filmiche citate, nozioni, idee e logiche note: la rappresentazione antitetica di bene e male riscrive il modello epico del mondo, più volte discusso a proposito di opere fondamentali della letteratura classica e moderna, nel suo apogeo e nella sua progressiva crisi; la stessa profondità storica e concettuale caratterizza la riflessione sulla filosofia della storia, variamente declinata in termini di provvidenzialismo o di etica laica nella Commedia, nei Sepolcri, nelle poetiche manzoniana e leopardiana; il tema del rapporto fra individuo, collettività, società, riporta con particolare evidenza al romanzo psicologico del primo Novecento, ai temi dell’identità e della massificazione. Fondato sul patrimonio culturale sviluppato negli anni, lo studio di queste opere filmiche costituisce una buona base per affrontare la pluralità di prospettive del Neorealismo letterario, che rappresentano (come nel caso del suo omologo cinematografico) proprio il rovesciamento delle logiche e dei rigidi schemi intellettuali imposti dalla propaganda. E questo anche all’interno delle poetiche di autori come Rossellini, maestro del Neorealismo ma anche autore di film di propaganda, sebbene in chiave originale (per esempio, la rappresentazione della guerra dal punto di vista di una nave ospedale, nel suo primo film, La nave bianca, del 1941).
È del tutto evidente, in un lavoro simile, la naturale dimensione di interdisciplinarità, la predisposizione al dialogo e all’intreccio fra contenuti e nozioni acquisite in diverse materie (Filosofia, Storia, Storia dell’arte, Letteratura straniera). Lo stesso discorso vale per il metodo, per le abilità di comprensione e di interpretazione, che sono logicamente in parte settoriali, ma in buona misura trasversali e condivise.
Nuova, invece, e per questo motivo particolarmente stimolante, può essere l’apertura al confronto fra codici e linguaggi: se, infatti, in una certa misura è consueto e praticato l’incontro fra verbale e visivo, non altrettanto scontato è l’incontro con il linguaggio cinematografico, con le sue convenzioni e le scelte di rappresentazione dei differenti film. In questo caso, trattandosi di artisti di grande valore, lo studio delle soluzioni estetiche adottate risulta molto stimolante ed aperto ai successivi sviluppi artistici e espressivi, fino ad oggi. Colpiscono, in particolare, l’accostamento intelligente del codice documentaristico e di quello finzionale, e l’utilizzo di soluzioni grafiche di avanguardia (strepitosi, in questo senso, gli inserti di cartoni animati che, a distanza di pochi anni dalla sensazione suscitata dal primo lungometraggio Disney, servono a Frank Capra per caratterizzare le origini della democrazia e disegnare – nel vero senso della parola – la minaccia del Nazifascismo).
LE PAROLE DELLA STORIA, I LINGUAGGI DEL PRESENTE
Se il cinema di propaganda è storia, la propaganda è invece di strettissima attualità, e si manifesta ancora oggi come rappresentazione manipolata della storia e dell’informazione di fronte all’opinione pubblica.
La naturale prosecuzione di un’attività come quella appena descritta, quindi, consiste in una sua attualizzazione: nella ricerca e nello studio approfondito e critico di altri “casi” che presentino significative affinità e differenze rispetto a quelli offerti dalla storia nella prima metà del Novecento. Ogni docente sceglierà quello che ritiene più adatto a consentire un pieno dispiegamento delle abilità di attualizzazione (qualcuno parlerebbe di “competenze di cittadinanza”), che metta gli studenti di fronte a situazioni che coinvolgono le stesse idee, sentimenti, valori che allora furono tradotte in rappresentazioni filmiche.
In questa prospettiva, può forse essere utile ragionare sui risultati di un percorso di attualizzazione praticato negli ultimi anni, studiando la campagna condotta in Svizzera in occasione del referendum proposto per limitare l’accesso ai lavoratori transfrontalieri (prevalentemente italiani lombardi) nel Canton Ticino, con il titolo Bala i ratt.
Le classi che vi sono state impegnate hanno prima di tutto lavorato su una differenza: il ruolo fondamentale che ebbero i social network nel promuovere le immagini scelte dai promotori del referendum. La ricostruzione delle modalità attraverso le quali i promotori diffusero le loro idee (nei luoghi fisici, come i mercati, dove personaggi in costume recitavano scenette; nei luoghi virtuali, protagonisti di una massiccia “informazione” sul tema della disoccupazione e dell’immigrazione) ha profondamente accresciuto, nelle ragazze e nei ragazzi, la consapevolezza del ruolo che i social esercitano nelle campagne elettorali e nell’orientamento dell’opinione pubblica, e della loro opinione.
Sul piano dei contenuti e delle idee, è stato avvincente esplorare con le classi il grado di affinità fra le logiche di questa campagna e quelle che sostenevano i messaggi propagandistici dei totalitarismi: la rappresentazione della propria parte come giusta e dell’altro come emblema della perfidia e del sopruso (nella campagna referendaria, italiani, rumeni e in generale europei disegnati come topi mascherati che mangiano a sbafo il formaggio svizzero); la promozione di un senso di appartenenza alla collettività legato alla chiusura e alla paura di essere invasi, e a una presunta purezza che deriverebbe dall’appartenenza nazionale. Fino all’ingenua conclusione di uno studente che, di fronte alle accuse di razzismo rivolte da Maroni agli svizzeri, commentò: “Ma allora, qui i lombardi sarebbero meridionali!?”
Una prospettiva possibile di approfondimento è considerare episodi legati all’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo: vi si presentano infatti con tutta evidenza censure e manipolazioni raffinate, che ripropongono quelle del passato: si potrebbe partire, ad esempio, dall’analisi della logica identitaria nazionalista che anima il cartone animato proiettato ai bimbi nelle scuole elementari, per spiegare le ragioni del conflitto russo-ucraino; oppure dall’utilizzo di stereotipi narrativi televisivi e social nella “lezione sulla pace”, tenuta da Sofia, giovanissima star mediatica promossa a testimonial dal Ministero dell’Istruzione russo. Corollario indispensabile di quest’analisi sarebbe lo studio di quello che Marquez definì “fondamentalismo democratico” (Pasolini, prima di lui, “fascismo televisivo”). Con modalità diverse, e un differente grado di violenza, nei paesi democratici il dibattito pubblico sulla guerra ripropone infatti gli stessi meccanismi di rimozione e manipolazione messi in atto dalla comunicazione propagandistica promossa nelle autocrazie: la costruzione di una verità ufficiale indiscutibile, associata all’idea di valore morale; il confinamento del dissenso in un’area di sospetto e immoralità; la supposta autorità derivata dal presentarsi come portavoce della massa dei cittadini (ovviamente senza interpellarli).
La propaganda autocratica e quella democratica condividono lo stesso brodo di coltura: la progressiva trasformazione dell’informazione in intrattenimento, e la promozione pervasiva di atteggiamenti emotivi e di un superficiale sentimentalismo, anche di fronte a questioni complesse, che per essere capite e risolte richiederebbero razionalità e profondità di pensiero critico.
Comprendere la violenza del male e delle sue storie distorte e manipolate; saper leggere la banalità del male, con le sue eleganti narrazioni plastificate: non saprei immaginare un compito di realtà più urgente.
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