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diretto da Romano Luperini

La gioia contro la logica produttivistica

«Una cura per le malinconie del presente»

Uscito nel 2021 per Ponte alle Grazie, Filosofia della gioia di Isabella Guanzini, non vuole essere un libro sentimentale, né un vademecum o un prontuario per una facile via alla felicità, è semmai un tentativo di definire il concetto di gioia inteso come sentimento di apertura alla vita. Intenzione del libro è infatti smorzare la durezza del presente e l’angoscia nella quale sembra precipitato il mondo nel quale viviamo, per offrire un’immagine, una parola, o un concetto, in senso deleuziano, della gioia, capace di rendere più leggera la pesantezza che sembra avvolgere tutto. Vuole essere, insomma, una protesta contro la mortificazione e l’inerzia, contro l’opacità del mondo nel quale stiamo vivendo e proporre un’alternativa a questa realtà che sembra essersi fatta di pietra: 

In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa.

È infatti con questa metafora, tratta dalle Lezioni americane di Calvino, che si apre l’opera di Guanzini nella quale l’immagine della medusa che pietrifica tutto con la sola forza dello sguardo rimanda alla durezza di molte situazioni del nostro presente. L’eroe che ci viene in soccorso è ancora una volta Perseo, che con i suoi sandali alati vola con leggerezza sui venti e si solleva sulla pesantezza del mondo senza tuttavia rimuoverla, ma assumendola su di sé come fardello.

La leggerezza può dunque vincere la pietrificazione e l’inaridimento dei nostri giorni, può affrontare l’orrore facendosene carico e aprendo anche uno spazio al gioco. Del resto i ramoscelli acquatici che vengono a contatto con la testa della Gorgone si trasformano miracolosamente in coralli e le ninfe accorrono divertite come per un gioco, e desiderose di vedere ripetersi il prodigio.  Nell’immagine delle ninfe è possibile scorgere la stessa gioia, lo stesso slancio vitale che i bambini, prima dei filosofi, ci insegnano, perché loro sono effettivamente capaci di rendere nuovo tutto ciò che entra in contatto con il loro mondo e con la loro creatività.

La gioia come «atto di resistenza»

Dai bambini, sembra volerci ricordare Guanzini, possiamo imparare molto, perché anche solo osservare un bambino che gioca dà gioia. Attraverso il gioco, il bambino esprime quell’élan vital che secondo Bergson è il movimento che circola in ogni vita e che si inscrive nella natura; è la forza, nemica di ogni fissità e di ogni chiusura, capace di scardinare la compattezza della materia e di allargare la realtà «creando passaggi sotterranei anche dentro ciò che è di pietra, premettendo l’apertura e lo sconfinamento nel futuro». Mettendo dunque in moto questa corrente di vita e sentendosi liberi di accostarsi al mondo che li circonda, «i bambini sembrano aperti a un’esperienza di felicità che agli adulti, abitatori di un regno segnato dalla “maledizione di essere utili”, sembra essere ormai preclusa». Gli adulti hanno ormai perso, proprio perché schiavi della produttività e dell’utilità, il contatto diretto con il flusso di vita che abita il mondo. Antepongono l’angoscia di «essere-chiusi» e la necessità di conoscere sempre l’ultima parola sul senso delle cose alla meraviglia di «essere-aperti» e di poter inventare nuove parole per le cose. Ogni azione è gravata dalla pesantezza dell’utilità, mentre la leggerezza creativa dei bambini permette loro, attraverso il gioco, di risignificare la parola e la cosa, e dunque di scorgerne la magia che potenzialmente le abita. Il gioco è insomma uno spazio in cui saltano le certezze e l’uso convenzionale del mondo è «uno spazio di possibilità nella realtà: come il Regno dei Cieli che ha promesso il Messia». Non per niente proprio ai bambini è stato riservato da Gesù il suo Regno.

Anche al centro della Bibbia, sembra volerci ricordare l’autrice, c’è dunque il tema della forza vitale e l’affermazione della gioia, e non la repressione moralistica di questo aspetto. Per dimostrarcelo Guanzini si serve di una molteplicità di fonti e di riferimenti letterari e filosofici che riesce ad accostare e a mescolare con agilità e senza nessuna intenzione provocatoria: passando dai riferimenti biblici alle opere di autori rigorosamente atei come Nietzsche e Deleuze, ci racconta un concetto di gioia che è essenzialmente una forma di resistenza all’opacità e alla pesantezza della realtà contemporanea, al nichilismo e all’insensatezza dell’esistenza, perché:

scrivere sulla gioia significa cercare di entrare nella tristezza e nella rabbia del presente compiendo un atto di resistenza contro il risentimento, la desolazione e l’incupimento. È un atto di fede nella possibilità di una ripresa materiale e morale della vita comunitaria oltre il sospetto e l’angoscia generati dalla pandemia.

Un antidoto contro il potere

Quest’opera, nata come una protesta nei confronti di una situazione di rassegnazione e di paura che ha avuto probabilmente l’apice con la crisi legata alla pandemia, guarda oltre, attribuendo l’origine dell’inerzia e dell’incapacità di fare ancora l’esperienza della felicità, al periodo tardo capitalistico che ha preceduto questa crisi. La pietrificazione messa in atto dalla Gorgone e che stiamo vivendo nel mondo attuale è dunque essenzialmente una conseguenza del sistema sociale e politico che ha inaridito i rapporti e che ha creato una polarizzazione tra passioni fredde e passioni calde che si fronteggiano e in cui irrompe, sotto forma di Perseo e della sua leggerezza, la gioia. Filosofia della gioia è quindi un libro che parla anche di politica, e lo fa attraverso la lettura che Deleuze dedica a Spinoza, il «“principe dei filosofi”, ossia colui che ha fatto della gioia un concetto fondamentale per comprendere la vita e il senso del tutto, come un lampo improvviso e potente nella notte nera, in cui appare e scompare d’un tratto il segreto del tutto».

L’Etica di Spinoza, centrale nell’opera di Guanzini, attraverso la gioia ci parla infatti della politica. La gioia e la tristezza sono le due modalità fondamentali di incontro con il mondo da parte di un soggetto. Mentre la gioia ci consente di percepire e di prendere coscienza della nostra potenza, di ciò che possiamo essere, o di ciò che può essere il mondo, la tristezza è ciò che tende a separarci dalla nostra potenza, ed è in questo senso che gioia e tristezza diventano due modalità fondamentali politiche e sociali. Le società chiuse, cioè i regimi, i sistemi dispotici, desiderano infatti uomini tristi, perché la tristezza, direbbe Deleuze, non ci rende intelligenti e ci separa dalla nostra potenza, da noi stessi e dai desideri, e quindi anche dagli altri, e una società di soggetti separati è più  facilmente dominabile di una società in cui circolano passioni e desideri. Insomma, una società in cui circolano affetti e non sentimenti passivi è difficilmente governabile da un regime. È una società aperta all’incontro e quindi democratica. Ogni incontro può infatti aumentare o meno la nostra intensità di vita, e ci permette di aprirci o viceversa di chiuderci rispetto all’esistenza: «È dall’incontro con un corpo, con un pensiero o con un evento che ben si compone con noi stessi, che nascono idee comuni e da esse una forma più adeguata d’esistenza. Perché la gioia nasce sempre dall’incontro non con un corpo muto, con un oggetto inerte, ma con una realtà che ci parla e ci invita a creare nuove connessioni e associazioni. Quando nell’incontro fra corpi si genera qualcosa di comune, quando emerge un’unità di composizione, in cui si avverte una particolare consonanza, aumenta la potenza di capire e di sentire, che genera a sua volta passioni gioiose».   

La gioia mette dunque in contatto con ciò che si può, con la nostra potenza, mentre i poteri separano, rendono impotenti. A questo proposito Guanzini fa nuovamente ricorso a Deleuze, per dimostrare, attraverso l’esempio del pittore che ha catturato il colore, non un incontro che è solo esperienza di autocompiacimento, ma che diventa intensificazione della vita, esperienza  che mette in contatto con ciò che si desidera davvero e fa sì che la vita si faccia più forte e più aperta. Dal contatto si aprono insomma altri contatti e si mette in moto una corrente di relazioni che costituisce l’essenza della vita e indirizza verso la gioia.

La gioia, questa parola che, insieme all’antagonista tristezza, sembra oggi esposta a una deriva retorica e sentimentale che la fa apparire ingenua o addirittura provocatoria rispetto al mondo attuale, è invece per Guanzini un modo per curare la società, e allo stesso tempo è una protesta     contro la vita mortificata. Perché la gioia non è semplicemente un’esperienza di spontaneità di sentimenti, o mero sentimentalismo, ma l’effetto di una conquista, come quella del pittore che cattura la luce.

Questo libro, Filosofia della gioia, dipende nella sua impostazione filosofica dal pensiero di Deleuze e dalla linea della scuola francese che da Derrida giunge a Lacan. Ma la passione che lo anima non è tanto filosofica quanto politica: non solonon si limita a denunciare la realtà del presente mostrandone l’assenza di vita e di gioia, ma, in linea con l’etica spinoziana, tenta anche di offrire un’alternativa a un mondo ormai troppo stanco, dove l’imperativo della produttività induce a perdere di vista il senso delle nostre scelte e a fare domande che non prevedono altro se non allegare un curriculum, come si legge in una poesia di Szymborska:

Che cos’è necessario?

È necessario scrivere una domanda,

e alla domanda allegare il curriculum

…..

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