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Non sono reazionario: è che mi disegnano così

Intorno all’introduzione del curriculum dello studente si è riaccesa la battaglia per il Progresso e contro la Reazione. Sembrerebbe una cosa seria: in realtà è solo una sua parodia.

Polemica prima

L’articolo di Tomaso Montanari sul classismo del curriculum dello studente, che certifica attività extrascolastiche non alla portata di tutte le famiglie, dice almeno altre due cose rilevanti, che non mi pare siano state notate. Seppur di sfuggita, Montanari ricorda come nello staff di Mario Draghi siano stati chiamati l’economista neoliberista Francesco Giavazzi[i] e Serena Sileoni dell’istituto Bruno Leoni, che propugna «Idee per il libero mercato». Queste presenze nella compagine di governo danno anche all’azione del ministro Patrizio Bianchi un’inquietante connotazione «paleoliberista», scrive Montanari, che rileva anche il progressivo svuotamento del valore legale del diploma, affiancato, o accerchiato, da queste nuove forme di certificazione degli apprendimenti.[ii] Infine Montanari denuncia il carattere meritocratico dell’operazione, naturalmente nel senso originario, negativo, della parola “meritocrazia”.

(Dove seguo meno Montanari è nel richiamo all’ancien régime, nell’equiparazione di meritocrazia e aristocrazia: le forme di diseguaglianza e di oligarchia tipiche delle società capitalistiche hanno caratteristiche specifiche che non permettono di assimilarle alle aristocrazie pre-moderne. Ma ora questo distinguo è irrilevante). Quello che mi interessa è il trattamento che Tomaso Montanari ha meritato in un articolo a firma di due esponenti dell’associazione Condorcet, Marco Campione e Valentina Chindamo (l’area politico-culturale è quella del Partito democratico): articolo che è poco definire aggressivo, perché ha tratti di vera e propria strafottenza.

Campione e Chindamo difendono il curriculum dello studente nel nome di una pedagogia progressista attenta alla dimensione globale degli apprendimenti: non solo quelli formali, ma anche quelli non-formali e informali. Richiamando Destra sinistra di Giorgio Gaber, liquidano sarcasticamente tale distinzione politica come un patetico rimasuglio novecentesco. Ma c’è di più. Chi accusa il governo di essere liberista, camuffa in realtà il proprio nero cuore di reazionario. Reazionario è Montanari, reazionari sono molti insegnanti: perché impediscono alle giovani generazioni di vedere riconosciuti i loro talenti extrascolastici, perché si oppongono ottusamente ai test Invalsi e ai test Pisa, perché amano la scuola dell’Ottocento fatta da «voti, materie, nozioni» (il Novecento in questo caso non è abbastanza reazionario e va scavalcato a destra, anzi alle spalle).

Il ridicolo

Ricapitolo. Criticare la presenza di forze neoliberiste dentro il governo: politica reazionaria. Criticare lo svuotamento del valore legale del titolo di studio e la sua progressiva sostituzione con un sistema di valutazione esterno alla scuola e centralistico: politica reazionaria. Criticare l’impianto meritocratico della nostra società, con il suo portato di ossessione valutativa e certificatoria e competitività: politica reazionaria. Difendere la distinzione tra destra e sinistra e non chiudere gli occhi di fronte all’alleanza storica, oggettiva, tra sinistra liberal e neoliberismo tout court: politica reazionaria. Vien davvero voglia di indossare culotte e parrucca e fondare un’associazione nel nome di Joseph De Maistre. Così, per sfregio.

L’etichetta “reazionario”, con le sue varianti più graziose e gentili di “conservatore”, “passatista”, “retrotropico”, “nostalgico”, “laudator temporis acti”, “uomo dell’Ottocento”, “prigioniero delle gabbie del Novecento” non è una cosa seria da un pezzo. È una ben nota strategia retorica:

Il ridicolo è l’arma potente di cui l’oratore dispone contro quanti minacciano di annientare la sua argomentazione, rifiutando senza ragione di aderire all’una o all’altra premessa del suo discorso» (Perelman – Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione).

C’è chi non vuole che le premesse (politiche, ideologiche, storiche) che dà per indimostrate siano esposte a critica: così esclude l’avversario dal novero delle persone che possano essere prese sul serio. La sinistra liberal non ama esporsi a questo genere di critica e rovescia il proprio disprezzo alla sua sinistra.

Polemica seconda

Nient’affatto aspra nei toni, ma ugualmente polarizzata nella sostanza, è la seconda polemica sul curriculum dello studente, che ha visti contrapposti Ernesto Galli della Loggia, in un articolo sul Corriere, e Giorgio Vittadini, in una lettera al Corriere e in un articolo sul quotidiano online Il Sussidiario. Il primo è editorialista noto; il secondo ha forse bisogno di una presentazione: è presidente della Fondazione per la sussidiarietà, lobbista di lungo corso, di area Compagnia delle opere/Comunione e liberazione.

Galli della Loggia polemizza con l’ideologia del capitale umano, che piega la scuola allo scopo di «istruire e valutare gli studenti in vista specialmente del loro futuro impiego come ingranaggi della macchina produttiva, come esecutori di mansioni» e osserva come le “character skills” (“coscienziosità”, “capacità di collaborare”, “apertura alle esperienze”, “percezione della propria responsabilità nel prodursi degli eventi”, “spirito d’iniziativa”) siano «le qualità considerate positivamente dai questionari di una qualunque Direzione aziendale del personale che debba assumere un dipendente». Denuncia anche il «fissismo quasi genetico» della pretesa di misurare le caratteristiche personali di chi è giovane e ancora largamente “in potenza” e il classismo del curriculum dello studente.

Giorgio Vittadini, che è anche autore di un libro sulle “character skills”, da parte sua le difende con gran dispiego di argomenti altisonanti. Valorizzare queste capacità farebbe superare le angustie riduzionistiche di una scuola legata alle nozioni e allo sviluppo delle sole facoltà cognitive – e qui ci si aspetterebbe la citazione da Plutarco sui vasi da riempire e le fiaccole da accendere: che infatti arriva. Non bastasse questo, le “character skills” sono democratiche, inclusive, costituzionali: «La scuola deve offrire ora a tutti la possibilità di presentare le proprie capacità, che si nasca con la mente di Steve Jobs (senza grandi mezzi) oppure no»; «“La scuola è aperta a tutti”, stabilisce la Costituzione, “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”», «indipendentemente dal genere, dall’etnia, dalla religione e dalla classe sociale».

Peccato che Vittadini incorra in grossolani errori. Ecco quindi che una capacità come la lettura e una disciplina come la matematica diventano “nozioni”:

Nell’era digitale la scuola non può limitarsi a insegnare solo nozioni, sia pure fondamentali, come la lettura o la matematica.

Sarà ignoranza o malafede, di certo le pesanti connotazioni negative della parola “nozioni” stingono sulla scuola che si ostina a fare sempre le stesse cose e fanno pregustare il futuro di un’educazione tutta benessere psicologico e utilità sociale, capace di portare poveri e immigrati a diventare i futuri leader della Silicon Valley.

Ma la cosa che più irrita di questa furbizia spacciata per progressismo è il grado di mistificazione di cui è capace:

È emerso ad esempio che, per la stabilità interiore (coscienziosità e apertura all’esperienza), all’incremento di un punto corrisponde un aumento di 12 punti sul punteggio Invalsi; all’incremento di un punto della stabilità emotiva corrisponde un aumento di 3 volte sul voto Invalsi.

Si misurano fantasmi come la “coscienziosità” e la “stabilità emotiva”, li si correla ai risultati negli apprendimenti; eppure, la cattiveria riduzionistica e positivistica è interamente attribuita alla scuola:

la soluzione [contro l’analfabetismo funzionale] non può essere quella di aumentare il carico di nozioni (da valutare magari con dei test a crocetta). L’insegnamento non può essere ridotto solo a questo aspetto, fondamentale ma non esclusivo, che lo ridurrebbe oltretutto a logiche efficientistiche e aziendalistiche.

Siamo all’asino che dà del cornuto al bue: chi mette le crocette all’anima accusa la scuola “nozionistica” di farlo. Ma siamo anche al gioco delle tre carte: è un potente organismo economico come l’Ocse che sta imponendo all’agenda di tutte le politiche scolastiche la misurazione delle “soft”, “character”, “non cognitive skills”; eppure, ad essere responsabile di riduzionismo economico, sarebbe l’insegnamento delle “nozioni”. Onestà intellettuale portami via.

Non sono reazionario: è che mi disegnano così

Nella modernità capitalistica il reazionario è stato il nemico sia del borghese che del proletario: di qui l’allarme di fronte a tutto ciò che sia, appaia, o venga fatto apparire artatamente, “conservatore”. Inoltre da quando, giusta un verso di Gaber che Campione e Chindamo si sono guardati bene dal citare perché li descrive, «il pensiero liberale [che] è di destra […] è buono anche per la sinistra», chiunque abbia obiezioni alle magnifiche sorti e progressive delle liberal-democrazie è trattato come un imbecille il cui orologio della storia si sia fermato. Lo spazio vitale di questo progressismo liberale, avido di ottenere ragione nei cuori di tutti, è tanto vasto che gli obiettori sono costretti nelle nicchie di quello che viene rappresentato come anacronismo storico. Così Montanari e i docenti diventano reazionari da sfottere, ma io, sinistra liberal, posso condividere la stessa idea di scuola della Compagnia delle Opere, di chi riesce a unire fede trascendente e lobbismo immanente, Dio e Mammona: pretendendo, nonostante questo, di essere perfettamente progressista.

Dare del “conservatore” a qualcuno è troppo facile. Per comprendere un posizionamento politico degno di questo nome non bastano le antinomie moralistiche. Occorre aggiungere più concrete determinazioni storico-politiche: quale sia la tua idea di democrazia, di libertà e di eguaglianza; che tipo di sapere vorresti vedere appreso a scuola; che cosa pensi del “libero” mercato e del capitalismo. Per ciascuna di queste domande c’è una costellazione di risposte possibili. C’è chi pensa che la democrazia sia il capitalismo e viceversa e chi pensa che essi si escludano a vicenda (in mezzo, un’infinità di sfumature); c’è chi fa un uso autoritario della cultura scolastica e chi la usa come strumento di emancipazione; c’è chi presta attenzione agli aspetti socio-emotivi dell’apprendimento e al benessere psicologico degli studenti, rifiutando però categoricamente che questi siano behaviouristicamente misurati.

Tomaso Montanari perciò non è il conservatore Galli della Loggia, nonostante sul tema del curriculum dello studente ci sia tra i loro pezzi una convergenza oggettiva. Sarò generoso: Campione e Chindamo non sono Giorgio Vittadini, anche se sulla scuola hanno le stesse idee.

Ma per trovare spazi di azione politica per una sinistra (intelligentemente) anti-capitalistica, alternativa alla sinistra perfettamente acclimatata alle linee guida della governance globale dell’educazione, è necessario scrollarsi di dosso etichette infamanti che cercano solo di irridere, spaventare, isolare.

[i] Chi l’ha letto sul Corriere della sera nei molti articoli firmati insieme ad Alberto Alesina non può avere dubbi sulla pertinenza dell’etichetta “neoliberista”. Ma forse basterà citare l’eloquente titolo del libro a quattro mani, sempre con Alesina, Il liberismo è di sinistra, 2007.

[ii] Aggiungerei che l’effetto di svuotamento sarà presto rafforzato dall’obbligatorietà delle prove Invalsi di quinta, che non sono attualmente vincolanti per accedere all’Esame di Stato solo per una momentanea parentesi di cautela politica, dovuta alla pandemia.

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