Sulla crisi politica. Meglio un maggiordomo o un cameriere?
Il nostro Primo Ministro (ormai ex Primo Ministro) per comportamento e abbigliamento è un ottimo cameriere, con la riga fra i capelli e il fazzolettino bianco sporgente dal taschino della giacca. Mentre tutto compunto portava un vassoio, un fanfarone di quelli che giocano a carte nel bar sotto casa gli ha fatto uno sgambetto.
E ora? Per troppe settimane il fanfarone ha avuto facile gioco ad alzare continuamente la posta. I dirigenti del PD e del Movimento Cinque Stelle non ci hanno capito mai nulla. Si sono limitati a indietreggiare. D’altronde ormai sono diventati moderati, più moderati dei centristi di una volta. Appena uno esce dal solito gioco e fa la faccia feroce, battono in ritirata. Dirigenti di partiti che hanno il 20% dell’elettorato si sono fatti menare per il naso da un fanfarone che ha il 2 o il 3%. D’altronde il PD da tempo non è più un partito di lotta e di governo. È un partito senza popolo, e solo di governo. E infatti la sua unica linea politica consiste nel proposito esplicito di essere la nuova DC. Ma la DC aveva radici profonde e ramificazioni sociali diffuse. E invece questo è un partito senza. Senza base sociale (se si escludono forse, e non scherzo, i pensionati), senza respiro culturale, senza identità forte, senza prospettiva politica. Solo tattica immediata ed empirica, solo un procedere a tentoni pur di restare in qualche modo sulla cresta dell’onda. E il Movimento Cinque Stelle? Prima, agli inizi, avevano degli ideali, delle utopie: la democrazia diretta, uno vale uno, non più di due mandati alle elezioni, contro l’alta velocità… Nel giro di tre o quattro anni ne hanno fatto strame e ormai, anche loro, sono capaci solo di tattiche immediate ed empiriche, salvo improvvisi, quasi inconsulti, sussulti identitari. Sia PD che Movimento Cinque Stelle non potevano dunque che accettare il terreno di gioco di cui Renzi, fanfarone scaltro, e senza nulla da perdere, è padrone e signore. I partitini di sinistra, dietro. E poi la ignobile corsa ai “responsabili”, agli improvvisati “costruttori”, nella speranza vana di sostituire Italia Viva con un nuovo improvvisato raggruppamento di centro. Neppure contare sanno, questi qui.
E così ora che quel sant’uomo del Presidente della Repubblica ha conferito il mandato a Draghi, PD e Cinque Stelle si trovano in pasticci seri. Astutissimi, non ci avevano pensato, all’arrivo di Draghi, benché tutti lo dessero per scontato. E così il Movimento Cinque Stelle ha avuto un improvviso sussulto identitario, contrario alla logica di tutta la sua politica negli ultimi due anni, e ora minaccia (almeno, pare, nella sua maggioranza) di votare contro Draghi. Il PD, fedele alla vocazione di essere la nuova DC, ha già dichiarato invece il proprio sostegno e così rischia di trovarsi con Berlusconi e magari con lo stesso Salvini contro il Movimento Cinque Stelle con cui, sinora, voleva invece allearsi stabilmente per dare vita a un nuovo centrosinistra. Tutto è casuale, estemporaneo, di corto respiro, tutto ricomincia sempre da capo, in modo confuso e sconclusionato. E l’unica a ridersela è il fanfarone Renzi.
A questo punto sarebbe da fare qualche seria riflessione su un aspetto decisivo, ma di cui si parla ben poco. Non esiste solo una crisi economica, una crisi sociale e una crisi sanitaria. Esiste anche una profonda crisi culturale. Abbiamo una classe dirigente improvvisata, lontana anche dai livelli minimi della cultura europea. Un tempo la Chiesa, con la sua ricca tradizione storica, con la rete delle sue parrocchie e della sua organizzazione sociale, e il movimento operaio, con i sindacati e le scuole di partito e la lezione di Gramsci, fornivano una educazione e una buona cultura di base. Oggi il ceto dirigente sotto i cinquanta anni è formato da semianalfabeti. I più, i Di Maio, i Salvini, non sono nemmeno laureati (e se un tempo ciò non contava essendoci altri centri formativi, oggi conta, e come!). Non hanno idee né ideali, e non conoscono nemmeno l’inglese (abbiamo visto, e sentito, Di Maio – ministro degli esteri!- nei suoi viaggi all’estero, e in questi giorni Renzi a Dubai….). D’altronde la scuola è stata smantellata da una dissennata politica che negli ultimi anni se l’è presa particolarmente con la educazione pubblica, la cultura e la sanità (e ne vediamo oggi le conseguenze col numero di morti per covid da noi più alto che in altri paesi europei).
In questo quadro l’appello a Draghi, che rappresenta il mondo della finanza e del grande capitale, serve a richiamarci al cuore della questione. A farci vedere chi comanda. Quando i nodi vengono al pettine, le cortine di fumo si dissolvono e il primato del mondo economico si palesa in tutta la sua schiacciante evidenza. E tuttavia, forse (forse!), meglio un maggiordomo del capitale finanziario che un cameriere di palazzo.
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RE: Sulla crisi politica. Meglio un maggiordomo o un cameriere?
Caro Romano,
come non essere d’accordo con la tua analisi? in particolare sulla crisi culturale di quello che dovrebbe essere il ceto politico e ancor di più la “classe dirigente” (provo un certo disagio solo ad usare questa terminologia). Come ho scritto altrove siamo di fronte ad un gruppo di gnomi rispetto ai quali il “sant’uomo” – come lo chiami tu – del Presidente della Repubblica si staglia come un gigante. Basta riascoltare la sintesi stringata dei caratteri della crisi attuale, che ha fatto a reti riunite prima di dare l’incarico a Draghi. Ma la scelta di Draghi, che qualcuno ha definito “un tiranno elettivo” (un po’ peggio di un maggiordomo che ha le redini vere della casa) e che spero sia un “dictator” della tradizione romana (chiamato in tempo di guerra per un periodo limitato), accentua ancora di più l’altra crisi che attanaglia il paese e per tanti versi l’Occidente, quella della democrazia rappresentativa, il terreno di coltura di possibili avventure autoritarie. Ne abbiamo discusso a proposito della sommossa di Capitol Hill. Questa crisi è anch’essa culturale, oltre che politica: nelle istituzioni democratiche “legali” non trovano più rappresentanza e compensazione le contraddizioni che dilaniano il paese reale. Esse appaiono sempre più remote dai problemi che i cittadini devono affrontare quotidianamente, a cominciare da quelli della sanità, vaccinazione compresa, per andare a quelli della scuola e del lavoro. Avremo bisogno di margini democratici più ampi, che inglobino il punto di vista anche dei ceti sociali più sofferenti nella crisi. Penso che dovremmo riandare ancora ai concetti di “democrazia progressiva” di Eugenio Curiel e a Gramsci, alla conquista democratica delle “case matte” borghesi. Purtroppo non vedo traccia di questo nè nella politica della cosiddetta sinistra, nè di quella cosiddetta alternativa, ma neppure nel pensiero degli intellettuali a partire dagli editorialisti della carta stampata e dei politologi che pure hanno scritto della crisi della democrazia.
La dittatura dell’ignoranza
Il possesso della laurea, in una repubblica democratico-borghese, di per sé non è un requisito necessario per lo svolgimento di funzioni pubbliche nelle istituzioni elettive, ma non lo sono neanche l’ignoranza, la volgarità e l’arroganza che trasudano, amplificate dalla “retorica senza lumi” dei mass media, il linguaggio e il comportamento dei personaggi indicati da Romano Luperini e, ad un livello non molto peggiore, vasti settori, scarsamente alfabetizzati o semicolti, dei ceti che li hanno votati e che in loro si riconoscono. Da questo punto di vista, la crisi culturale e formativa del paese meriterebbe un approfondimento, che finora è mancato a causa di quello che Asor Rosa ha definito “il silenzio degli intellettuali”: in parole povere, il loro riflusso su posizioni sostanzialmente escapiste, cioè moderate e conservatrici. Quindi, in contrapposizione alla “dittatura dell’ignoranza” instaurata da una borghesia che ha i suoi campioni più rappresentativi nei fratelli Elkann e in alternativa alla “moderna barbarie” incarnata da una piccola borghesia che si riconosce in personaggi come Conte e Salvini, anch’io ritengo opportuno valorizzare, ovviamente in senso dialettico, perciò in quanto avversari di alto livello e “maggiordomi” , un Monti o un Draghi. Il livello intellettuale della classe dominante ha sempre condizionato inevitabilmente, per simmetria aliorelativa, il livello della classe dominata, quindi il livello politico del proletariato, fin dai tempi in cui Andrea Costa faceva giustamente dipendere lo scarso livello della coscienza di classe dei lavoratori italiani dal carattere arretrato, sezionale e tardivo dello sviluppo socio-economico della borghesia italiana. Così, al capitalismo asfittico e familiare che domina oggi larga parte dell’economia italiana corrisponde l’egemonia sottoculturale del blocco dominante: egemonia che si esprime per l’appunto come “dittatura dell’ignoranza” e “moderna barbarie”. Del resto, è noto che i nemici si scelgono, gli alleati no. Ecco perché non posso non sottoscrivere per la sua verità e per la sua importanza quell’aforisma di Oscar Wilde secondo cui “i conoscenti vanno scelti per il buon carattere e i nemici per l’intelligenza: non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri nemici”…