“Dov’era Gondor, quando cadeva l’Ovestfalda?”. L’esame di Stato 2020 tra retorica, simboli ed errori di calcolo
1. Premessa: le commissioni dell’esame di Stato*
L’esame di Stato è strutturato, in Italia, da anni, con una commissione che consta di due classi accorpate, cui partecipano 6 commissari per classe e 1 presidente. Normalmente (cioè in tempi pre-Covid-19) gli esterni e il presidente sono comuni alla commissione (cioè alle due classi), mentre i tre interni, lo dice la parola, dipendono dalla composizione del Consiglio di Classe nell’anno in cui si svolge l’esame. Dal 2007 sono tenuti a fare domanda come commissari per la loro materia tutti i docenti che non siano impegnati come interni (sono esenti coloro che già hanno delle esenzioni: un part-time, i benefici della legge 104…). Per quanto riguarda invece i presidenti di commissione dell’esame, sono tenuti a fare domanda i dirigenti scolastici.
Dunque, se il numero di presidi fosse sufficiente a colmare ogni commissione, la procedura troverebbe qui il suo inizio e la sua conclusione.
Così non è, perché i dirigenti sono sensibilmente meno delle commissioni. Dunque la possibilità di fare domanda si apre ad alcuni altri ‘gruppi’ – che sono in parte cambiati (in peggio), con la legge 107/2015 (la cosiddetta “buona scuola” di Renzi) – che possono fare domanda, tutti, in maniera “facoltativa”. Appartengono a questo numero “docenti e presidi in pensione” (entro un tot di anni), presidi delle scuole medie (superiori di I grado) e altri casi residuali.
Spariscono, dall’anno scorso (cioè dall’entrata in vigore del 62/2017, uno dei decreti applicativi della 107/2015), i docenti universitari (perché la 107 ha questa caratteristica: inibisce la scuola dal confrontarsi da pari con la formazione di ordine superiore – tutto si deve svolgere, e chiudere, asfitticamente, dentro il suo recinto e i suoi confini – va detto che gli universitari non si sono per questo stracciati le vesti, anche se molto se le stracciano quando quegli stessi alunni che non hanno nessuna curiosità di conoscere in anteprima a giugno e luglio arrivano a settembre, da matricole, nelle loro università). Ma la parte del leone, tra questi gruppi che hanno facoltà, è interpretata da docenti delle superiori di ruolo con almeno 10 anni di ruolo.
2. Essere presidente: dirigenti e docenti
Fare il presidente di commissione dell’esame di stato è un lavoro delicato e difficile, che può essere anche di grande soddisfazione, ma è di sicuro massacrante. Bisogna mettere insieme competenze di didattica, di gestione, di conoscenza fine delle leggi, di diplomazia, di flessibilità e fermezza, di costanza e improvvisazione. In una sequenza temporale nazionale e prefissata persino nelle virgole (stesso giorno e stessa ora per tutti), cadenzatissima e stringente, in cui ogni singola cosa è definita da una ordinanza millimetrica e nello stesso tempo molto è da modellare e interpretare. Inoltre, fare il presidente comporta una responsabilità penale e amministrativa.
Per questo, la domanda ha carattere precettivo solo per i dirigenti, perché, come detto, è un ruolo che perfettamente corrisponde al profilo delle loro competenze; inoltre, si suppone che, poiché si diventa dirigenti per scelta, con quel concetto, della responsabilità, abbiano già dimestichezza, perché è intrinseco al loro ruolo comunque. Per tutti gli altri, invece, a piacere. E infatti spesso ci sono docenti terribilmente competenti nella loro funzione docente, bravi, appassionati, il cui impegno è riconosciuto e lodato pubblicamente, che di fare i presidenti non se la sentono, anche se hanno tanti anni di ruolo sulle spalle (e infatti non fanno domanda); e, di solito, per una serie di ragioni comprensibili, lo zoccolo duro dei docenti che fanno la domanda da presidenti dell’esame di stato appartiene a coloro che insegnano al triennio, e sono abituati ad avere le quinte classi.
3. Formare le commissioni ai tempi del Covid-19: matematica e opinioni
Date queste premesse, per l’esame di stato dell’anno dell’emergenza, il MI stabilisce per le commissioni: 6 commissari interni (che appartengono evidentemente alle quinte classi) e un presidente esterno. Vista la situazione particolare, è evidente che il consueto numero di dirigenti, già di suo, lo abbiamo visto, molto inferiore al fabbisogno, basterà ancora meno del solito (perché molti insegnanti di quinta non possono fare domanda, sono interni; perché ci sono docenti che potrebbero chiedere la sorveglianza sanitaria, cioè di essere esclusi per motivi di salute – e anche questa è una cosa prevedibile, tanto che di lì a poco l’art. 83 del DL 19/05/2020 darà ai dipendenti, tutti, questa possibilità). Non è un caso che, quando, con la legge 448 del 28/12/2001, la ministra Moratti stabilisce l’esame di Stato con tutti commissari interni, il presidente nominato sia unico per tutte le commissioni operanti nello stesso Istituto.
Era questa, la prima, matematica e più stringente ragione che doveva spingere un ministero capace di fare progettazione a optare per la soluzione di uno “scrutinio di idoneità per tutti”. Lo ha spiegato molto bene Claudio Giunta in un articolo sul “Domenicale” del «Sole 24 ore» il 17 maggio 2020, scritto in forma di ucronia, una possibile lettera della Ministra ai suoi docenti, all’inizio dell’emergenza, quello che poteva essere, ma in tutta evidenza non è stato: «L’esame di Stato è abolito a partire da oggi. Dovevamo farlo prima: un esame che viene superato dal 99.8% dei candidati non è un esame, è retorica, e la retorica sta uccidendo l’Italia»[1].
Lo ha fatto (e annunciato, da subito, su canali opportuni, il suo Ministro) la Francia. E lo ha fatto, nell’anno dell’emergenza, la scuola forse più famosa del mondo, quella “Scuola di Magia e Stregoneria” situata in un qualche dove dell’Inghilterra, conosciuta come Hogwarts. Al termine di Harry Potter e la camera dei segreti, infatti – dopo un anno scolastico parecchio turbolento: una discreta tegola si è abbattuta sulla scuola, alcuni studenti sono morti, alcuni feriti, una rapita, è stato risvegliato un basilisco – la professoressa McGonagall, alla fine dell’emergenza, di fronte a una sala grande festosa e acclamante, annuncia che gli esami sono annullati «come regalo della scuola».
4. La retorica dell’esame di Stato nell’anno dell’emergenza
Minerva McGonagall ha ragione, e non vi è un motivo al mondo, se non un’ostinazione proterva a mantenere caparbiamente il punto su quello che è stato identificato come un simbolo, per il quale in questo anno scolastico – che definire particolare è dire poco – gli studenti debbano tornare in aula solo per l’esame, facendo gravare sulla fiscalità comune il peso di circa 40 milioni di euro per la riapertura rituale, per discutere, dal 17 giugno, un orale composto da cinque momenti[2]. E cioè, rispettivamente: un elaborato (assegnato dai docenti interni delle materie di indirizzo, entro il 1 giugno, e dagli studenti restituito a quegli stessi docenti il 13 giugno); l’analisi di un testo di italiano, assegnato tra quelli svolti nell’ultimo anno, dal docente di materia, colui/colei che, insieme ai colleghi, ha valutato quegli stessi studenti allo scrutinio finale (tra il 10 e il 13 giugno); un «testo, documento, esperienza, progetto, problema», scelto da quegli stessi docenti interni, volto a predisporre la discussione delle discipline dell’ultimo anno; la presentazione delle esperienze di PCTO (l’ex alternanza scuola-lavoro), che già contribuisce, in sede di scrutinio finale, alla definizione del voto di condotta e delle materie di indirizzo. Infine, è previsto un momento per parlare delle competenze di Cittadinanza e Costituzione, nel quale – la ministra non l’ha scritto, nella OM, ma lo ha dichiarato a gran voce (su social, e interviste) – il reiterato suggerimento è quello di chiedere agli studenti di parlare della loro esperienza nei mesi di chiusura a causa del Covid-19.
40 milioni di euro; nessuna previsione fondata su come reperire le unità organiche per fare i presidenti; la vita delle istituzioni superiori ‘congelata’ fino al termine degli esami (perché prive, non dimentichiamolo, dei loro dirigenti legittimi, tutti precettati altrove a fare i presidenti), a tre mesi scarsi della necessaria riapertura a settembre (che va programmata, finanziata, progettata): per ripetere, a una settimana di distanza, quanto è stato già deliberato in scrutinio da quegli stessi docenti del consiglio di classe. E per parlare di Coronavirus.
5. Tra simboli ed errori di calcolo
A fronte di tutto questo, nel progettare questa grande ordalia simbolica, il MI avrebbe potuto, almeno, provare a fare dei calcoli. Per esempio, cercando di reperire altrove docenti disponibili a fare volontariamente (non si dimentichi mai: fare il presidente fa agio su competenze professionali che non sono quelle richieste a dei docenti, ma a dei presidi) i presidenti. Proviamo anche qui, sulla scorta del divertissement di Claudio Giunta, a costruire ucronie plausibili.
Sul fronte tecnico, avrebbe potuto, per esempio, abbassare, da subito, il vincolo dei dieci anni di ruolo per potere fare la domanda (un vincolo che persiste solo per l’esame di Stato, ed è stato già abolito in molte altre procedure concorsuali che al MI afferiscono, per esempio quella per diventare DS). Avrebbe potuto, per esempio, riaprire, da subito, al mondo degli universitari. Avrebbe potuto, per esempio, ritornare alle disposizioni Moratti.
Invece no. Nessuna di queste, o altre analoghe procedure volte ad allargare il denominatore di una frazione Commissioni/Presidi, che, così come è, è impropria, è stata messa in atto al momento di emanare l’OM 17/04/2020 (che norma appunto la conclusione dell’anno scolastico): a parte la solita precettazione dei dirigenti scolastici delle scuole superiori, i commi 3 e 4 dell’art. 7 declinano una gesuitica casistica di “hanno facoltà”.
Non solo. Al 17 aprile, la ministra chiede alle scuole di nominare i commissari interni, e agli aspiranti presidenti non precettabili di fare domanda, sulla base di condizioni – di svolgimento dell’esame, da parte di tutti; e di conduzione e garanzia amministrativa e penale del medesimo, da parte dei presidenti – sulle quali ancora non vi è chiarezza. A voce, come sempre, la ministra dichiara che, se non si rientrerà a scuola, l’esame sarà in modalità compiutamente telematica. Ma, di scritto, niente: per ancora molto tempo, molto al di là di quando scadono i termini di chiusura per presentare la domanda “volontaria”.
Desta davvero uno stupore così grande che una fitta schiera di docenti – che quello hanno fatto, sanno fare, hanno preso una abilitazione per fare, nella vita: i docenti; e che magari come presidenti sarebbero stati alla loro prima esperienza – di fronte a procedure così fumose, poco chiare, incerte, abbia deciso di aspettare un turno? È davvero segno di vergogna e ignavia, questo? Oppure è segno di pudore, di consapevolezza dei propri mezzi e dei propri limiti, di rispetto, per studenti, docenti, famiglie e la scuola tutta? Quel rispetto manifestato nel non proporsi per una procedura complessa, per la quale non si è studiato, e che prevede, in circostanze tanto più particolari, tanta più sottigliezza e preparazione.
È davvero colpa di chi non ha fatto una domanda volontaria, se adesso, ai primi di giugno, non si riescono a fare uscire le commissioni, e anche chi si è offerto volontariamente presidente galleggia nell’eterno limbo in cui la scuola è stata tenuta, settimana dopo settimana, dal 5 marzo? Oppure è necessario scandire a viva voce che il MI ha messo in atto una procedura che prevedeva un profilo per il quale non aveva numeri, né ha messo in atto strategie per procurarseli? Questo, sia chiaro, a prescindere, e ben prima, da ogni considerazione sanitaria sulla gestione dell’emergenza e sull’organizzazione materiale degli esami (online, in persona, in questo senso nulla cambia).
6. Conclusioni: “Gondor chiede aiuto”
Sia come sia, le settimane si sono succedute: aprile è diventato maggio, e poi giugno. Nel frattempo, i primi numeri di adesione, a domande chiuse, hanno rilevato, ex post, quello che una minima conoscenza delle frazioni avrebbe rivelato ex ante: i numeri su cui agire per coprire il fabbisogno non erano sufficienti. Che cosa ha fatto, il MI? È corso ai ripari, per esempio mettendo in atto alcuni di quei criteri di ‘liberalizzazione’ delle domande suggeriti in precedenza? No. Si è detto “tranquillo”. E, per buon peso, ha fatto inoltrare dagli UST, a cadenza settimanale, ai dirigenti scolastici degli appelli, perché i docenti facessero, orsù, questa benedetta domanda (che è e resta facoltativa, ricordiamolo sempre). Poi, il 1 giugno, è arrivata dagli UST la richiesta alle scuole di fornire “l’elenco nominativo di tutti i docenti con almeno dieci anni di servizio”. Una cosa che somiglia un po’ troppo da vicino alle liste di proscrizione, per non destare perplessità e qualche legittimo sospetto.
E si arriva così al 3 giugno 2020 (nello stesso giorno in cui, nel 2019, venivano pubblicati sul SIDI gli elenchi delle commissioni). A più di sei settimane dalla pubblicazione dell’OM 17/04/2020 (quella che stabiliva i criteri per reclutare i presidenti), è arrivata l’OM 21 03/06/2020. La quale corre ai ripari, con tempismo, nel modo seguente. Innanzi tutto, richiama, nel preambolo, l’art. 33 della Costituzione: «al fine di garantire i diritti costituzionali dei candidati, come declinati dall’articolo 33 della Costituzione della Repubblica italiana». Quanto si sta per fare, insomma, è for the greater good – e dunque pazienza se, per farlo, bisogna ledere qualche diritto dei lavoratori.
Poi si fa riferimento, per ampliare le possibili categorie in cui pescare presidenti, al D. 183 05/03/2019, quello, cioè, che disciplina la formazione delle Commissioni dell’esame di Stato dello scorso anno. Infine, si arriva al sodo, il quale recita, in ordine di misura da applicare: nomina d’ufficio, abolizione del vincolo dei 10 anni, apertura agli universitari, accorpamento in una sola commissione di 3 classi (al 3 di giugno!), eventualmente, qualora non se ne possa fare a meno, anche su più scuole (quest’ultimo punto può essere, per specifiche esigenze, anteposto al precedente: ed è vero che impegno di questo scritto era non prendere parola sulla situazione sanitaria in emergenza, ma si vorrà almeno far rilevare che la cosiddetta “riunione plenaria” della commissione, il 15 giugno, passa così di botto da un massimo 13 [non 7, come sempre sostenuto nel generico discorso pubblico] a un massimo di 19? Le fornirà il MI, alle scuole, e al presidente, responsabile amministrativo e penale dei lavori, insieme al DS dell’istituto ospite, le aule per rispettare il distanziamento? Oppure arriverà un nuova ordinanza il 14 giugno a dichiarare che anche questo punto più non vale?) e, infine, “ordine di servizio”.
Il rispetto per gli studenti – ostentato dalla ministra in ogni sua uscita ufficiosa – si misura invece, come è giusto che sia, come la scuola ci insegna, nella stesura, nero su bianco, dell’ordinanza. Una ordinanza tardiva, uscita a buoi scappati, sul finire del pomeriggio. Una ordinanza che preferisce anteporre la precettazione, e l’assembramento, a ogni misura basata sulla progettazione, sul calcolo preventivo, sulla persuasione (come converrebbe a una Amministrazione per i suoi pubblici dipendenti). Una ordinanza che permette di emanare un “ordine di servizio” su qualcosa che non rientra nelle competenze previste per i docenti. Una ordinanza che si beffa dei contratti nazionali e dei diritti dei docenti. Ma, ancora di più, sia chiaro, di quelli degli studenti che dice di voler tutelare in maniera propagandistica: perché è evidente che una procedura così stracciona, raffazzonata, e tardiva – anche ammesso che vada in porto (e sarebbe necessario farsi sentire, per evitarlo) – crea di per sé enormi difformità tra commissioni (e dunque, nella gestione degli esami per gli studenti). Come è possibile pensare che vi possa essere analogia tra un presidente di mestiere come un dirigente scolastico, o preparato al compito, pronto a imparare (e magari già esperto) come un docente volontario e chi viene precettato dal proprio Ufficio Scolastico, dopo che il suo nome è stato segnalato tra i ‘reprobi’? E ancora: come si può pensare che saranno analoghi gli esami con commissioni con 3 classi, su due scuole (o magari tre, perché già adesso talora sono necessari accorpamenti), in mezzo al caldo, alla fatica, alla novità, alla necessità di far rispettare insieme il protocollo scolastico e quello sanitario, a quelli con 2 classi, nella stessa scuola?
Per questo, oggi, a meno di due settimane dal loro inizio, bisogna ribadire con forza che questi esami non si hanno da fare, né a distanza, né in presenza. Lo sanno bene gli studenti, lo sanno bene i docenti. Fidiamoci, per una volta, e concentriamoci (per davvero) su settembre: la scuola chiede aiuto.
*Grazie a Emanuela Bandini, Maurizio Berni, Federico Bertoni, Lorenzo Bongini, Caterina Carraro, Claudio Giunta, Antonia Pellegrino, Pierluigi Pellini.
[1] Cfr. Claudio Giunta, Lettera del Ministro dell’Istruzione agli insegnanti delle superiori prima del lockdown, «Il Sole 24 ore», 17 maggio 2020, http://www.claudiogiunta.it/2020/05/lettera-del-ministro-dellistruzione-agli-insegnanti-delle-superiori-prima-del-lockdown/?fbclid=IwAR21Fp7YOWoV9dgJZRW0klVIZoSQY0QlcD9XqJYcPFxublZWiPm3hbIooqw (u.c. 03/06/2020).
[2] Cfr. OM 10 del 16/05/2020, art. 16 e 17. https://www.miur.gov.it/documents/20182/2467413/m_pi.AOOGABMI.Registro+Decreti.0000010.16-05-2020.pdf.pdf/2370c42e-ef3a-e44c-a640-932f49dca6e6?t=1589631913775 (u.c. 04/06/2020)
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