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diretto da Romano Luperini

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Settembre, torniamo a scuola -commenti a caldo sulle indicazioni del comitato tecnico

 Una telefonata

Venerdì sera, telefonata serale con Flavia, una di quelle persone per cui la scuola non è retorica, griglie tabelle e burocrazia spiccia, ma vita quotidiana, problemi da risolvere e gioie conquistate sul campo, insieme a ragazzi e famiglie.

“Ciao Fla, lette le indicazioni per il rientro a settembre?”

“Oh Linda non fosse che c’è da piangere, mi verrebbe da ridere”

“Ah chi lo dici, l’unica cosa certa è che non c’è nulla di certo”

“Dunque niente temperatura misurata all’ingresso e responsabilità alle famiglie, andiamo bene. Distanziamento in classe, va bene, ma nei corridoi dove li mettiamo? E gli arrivi come si fa? A me pare che di concreto non abbiano detto nulla. In palestra due metri di distanza, ma gli spogliatoi?”

“Beh non è il ritornello di questa pandemia? Slogan, idee confuse e generiche che noi in un modo o nell’altro dobbiamo rendere concrete?

Segue un’interminabile sequenza di lamenti su quello che è stato e che sarà, sul virus e su questa didattica a distanza, sulle ultime trovate burocratiche da compilare quando siamo ormai stremati, su un esame di licenza che più confuso non poteva essere. Poi di colpo tacciamo in sincrono, per prima Flavia sbotta:

“Ma sai che c’è? Se ce lo permettono da fine giugno ci troviamo a scuola e proviamo a mettere giù due o tre scenari, altrimenti lo facciamo a distanza.”

“Hai ragione, dovremmo partire dall’elencare le criticità e possibili risoluzioni”

“Ad esempio per le ore da 45 minuti potremmo ipotizzare, dove possibile, blocchi da due,  altrimenti non hanno senso, e di conseguenza stabilire un orario flessibile per i docenti e i ragazzi che cambi una volta al mese”

“Potremmo moltiplicare gli intervalli, ma farli in orari diversi, mettendo dei timer in classe, insieme al dispenser di disinfettante”

Chiacchieriamo ancora un po’, il giorno dopo racconto questo colloquio alla dirigente, lei parte con altre proposte, concrete e reali, suggerisce di coinvolgere famiglie, territori, enti locali.

Siamo già in fermento. Stanchi morti, ma già in fermento.

La scuola è questo. Questa forza che, nonostante indicazioni generiche e che si contraddicevano, ha fatto sì che dopo solo quattro giorni dal lockdown ci inventassimo un modo tutto nuovo di fare lezione, sbagliando certamente, non facendo abbastanza forse; sicuramente agendo senza poterci permettere il lusso di sperimentare e aprendo le nostre case e il nostro modo di essere insegnanti con grande generosità.

E tutto per il bene dei ragazzi.

Questa nostra forza è la nostra condanna, perché “per il bene dei ragazzi” facciamo molto e ben di più di quello che ci spetta e colmiamo le falle di indicazioni sempre più generiche e infarcite di slogan. E il tutto per sentirci considerare, anche in questa pandemia, persone che lavorano poco: ho visto docenti presi di mira perché non facevano live o perché ne facevano troppe, perché non erano bravi a parlare coi la webcam, perché assegnavano lavori da fare. Ma qualcuno si è domandato cosa abbia significato per noi questo cambiamento? Quanto è difficile per un docente non tornare a scuola? Non stare sui banchi? Cosa significhi aver sempre lavorato in un certo modo e improvvisamente trovarsi obbligati ad un altro? Più i ragazzi sono piccoli, più hanno bisogno di presenza e tempi lunghi per apprendere, del docente che incita e dà il ritmo: quando entri a scuola qualcuno si preoccupa per te, ti dirà dove andare, quali materie affrontare, persino in quale banco stare; con una didattica a distanza tutto questo viene meno ma è condizione necessaria per apprendere. Nessun docente vi dirà che è stato felice di non andare a scuola, la didattica a distanza è stato un modo per limitare i danni e gestire l’emergenza, ma ora da settembre c’è da costruire la scuola in tempi di pandemia, in modo sicuro e sostenibile.

Il documento del comitato tecnico scientifico

Il 29 maggio è uscito il documento a firma del comitato tecnico scientifico che illustra le modalità di ripresa del prossimo anno scolastico: va detto che non è un’ordinanza ministeriale, ma è una consulenza tecnica è, dunque, un testo generico che rimanda buona parte delle azioni da fare alle singole scuole. Circa un mese prima, il 21 aprile è stato istituito un altro comitato di esperti che potrà formulare, tra le altre, proposte sull’avvio del prossimo anno scolastico, tenendo conto della situazione di emergenza epidemiologica attualmente esistente; sull’edilizia scolastica, con riferimento anche a nuove soluzioni in tema di logistica; sull’innovazione digitale, anche con lo scopo di rafforzare contenuti e modalità di utilizzo delle nuove metodologie di didattica a distanza e sul rilancio della qualità del servizio scolastico nell’attuale contingenza emergenziale.

Immagino che verrà demandata a loro la consulenza per rendere concrete e declinare nei diversi ordini di scuola le indicazioni del comitato tecnico scientifico, dando risposta alle domande che tutti noi abbiamo in testa. Il documento, infatti, non dà indicazioni prescrittive e dice:

il presente documento tecnico ha la finalità nell’ambito delle attività del CTS di fornire elementi tecnici al decisore politico per la definizione di azioni di sistema da porre in essere a livello centrale e locale per consentire la riapertura delle scuole in sicurezza nel nuovo anno scolastico 2020-2021.

La domanda è quindi un’altra: perché dare in pasto all’opinione pubblica un documento tecnico e non fornirci già le indicazioni precise, citandolo come fonte e indicatore? Perché qualsiasi comunicazione sulla scuola passa da slogan e sembra il lancio di un prodotto? A me pare che l’intenzione sia rassicurare le famiglie dicendo loro: “guardate che i ragazzi rientreranno a scuola. Lo vedete che vi stiamo dando indicazioni sicure e fattibili, poi starà alle scuole concretizzarle, le scelte dipendono da loro. Questa è una grande occasione di rilancio.”

Sia chiaro, io una risposta non ce l’ho: non ho ancora capito quanto sia rischioso tornare a scuola e se questo rischio può essere corso. Mi sarebbe piaciuto che me lo dicesse il tavolo di lavoro, perché io so cosa è una scuola: un luogo dove per sei/ otto ore bambini e ragazzi stanno stipati in ambienti vecchi e pensati per un periodo storico diverso, un luogo che nei picchi influenzali si svuota ogni anno, un potenziale serbatoio epidemico.

Nel documento si legge:

Secondo la classificazione del “Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione”, adottato dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS) e pubblicato dall’Inail (Inail 2020), il settore scolastico è classificato con un livello di rischio integrato medio-basso ed un rischio di aggregazione medio-alto.

É poi di questi giorni l’allarme lanciato dai pediatri italiani  in cui si dice:

[…] i dati sono ormai consolidati e coerenti tra i diversi studi effettuati, in Paesi diversi e da diversi gruppi di ricerca: i bambini si ammalano poco, molto poco; e quando lo fanno, le manifestazioni cliniche sono lievi. […] La seconda preoccupazione, propria degli epidemiologi chiamati a consigliare le autorità sulle misure di contenimento, è stata quella di sapere fino a che punto i bambini potevano costituire serbatoio e fonte di contagio. Su questo punto le evidenze sono meno coerenti, ma ancora piuttosto solide: i bambini possono albergare il virus, e verosimilmente trasmetterlo, ma la possibilità di trasmissione è estremamente bassa. Si sa inoltre che i bambini acquisiscono l’infezione prevalentemente nel proprio nucleo familiare.

Viceversa, si stanno accumulando le evidenze sui danni collaterali provocati in bambini dalle conseguenze del lockdown e soprattutto della chiusura prolungata, molto prolungata, di servizi educativi e scuole. Per tutti, tranne quei pochi che possono vantare una buona dotazione tecnologica in casa e genitori in grado di accompagnarli nelle lezioni e nei compiti, si sta accumulando un ritardo educativo, che per la maggioranza (secondo i dati prodotti dalle indagini di Save the Children e della Comunità di Sant’Egidio, almeno 6 su 10) è molto rilevante, e non può essere nascosto dietro i pur doverosi sforzi di didattica a distanza.

Non è possibile, dunque, muoverci in assenza di rischio, dobbiamo scegliere quale assumerci e spingere a una presa di coscienza collettiva. La scelta è difficile ed estremamente complessa.

Le regole a cui bambini e ragazzi dovranno attenersi sono riassunte alla fine del documento in questo elenco che sa un po’ di pubblicità progresso:

Torniamo a scuola più consapevoli e responsabili: insieme possiamo proteggerci tutti

1.Se hai sintomi di infezioni respiratorie acute (febbre, tosse, raffreddore) parlane subito con i genitori e NON venire a scuola.

2.Quando sei a scuola indossa una mascherina, anche di stoffa, per la protezione del naso e della bocca.

3.Segui le indicazioni degli insegnanti e rispetta la segnaletica.

4.Mantieni sempre la distanza di 1 metro, evita gli assembramenti (soprattutto in entrata e uscita) e il contatto fisico con i compagni.

5.Lava frequentemente le mani o usa gli appositi dispenser per tenerle pulite; evita di toccarti il viso e la mascherina.

Leggendo questi cinque punti è evidente quanto le scuole non siano pronte e quanto ci sia da fare per tradurle in prassi. Nel paragrafo che segue mi pongo qualche domanda, soprattutto ragionando sul mio ordine di scuola, la scuola del primo ciclo.

Rientrare a scuola al primo ciclo: un desiderio tra molti dubbio

Ho una preoccupazione: quando si parla di scuola in questo paese mi sembra che il punto di vista provenga sempre dalla scuola superiore, più spesso liceo, più spesso di città. L’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado quasi non vengono considerate scuole serie, al massimo siamo chiamati in causa perché i genitori non sanno dove mettere i figli o perché quando i ragazzi scrivono, fanno un sacco di errori e non può che essere colpa nostra.

Una delle caratteristiche di questo ciclo è che viviamo costantemente a contatto con la complessità ed è la nostra ricchezza, non c’è alcuna selezione all’ingresso e qui intendetemi bene: anche nella squadra dei pulcini c’è una selezione, sono ad esempio i “bambini che sono interessati al calcio”; noi accogliamo tutti, per cui in classe insieme si incontrano (e talvolta scontrano), sistemi educativi diversi, realtà sociali diverse e sensibilità diverse. Questa complessità andrà considerata bene a settembre, dove tutti dovranno rispettare regole stringenti e il rischio non sarà “soltanto” un provvedimento disciplinare.

Se leggete le indicazioni con gli occhi di chi alla scuola del primo ciclo (in cui metto anche l’infanzia – in un paese serio farebbe già parte della scuola dell’obbligo-), vi renderete conto di quanto siano difficili, mentre sono decisamente più applicabili alla scuola superiore.

Le indicazioni qui fornite non potranno che essere di carattere generale per garantire la coerenza con le misure essenziali al contenimento dell’epidemia, rappresentando primariamente un elenco di criteri guida da contestualizzare nelle specifiche realtà scolastiche. Centrale, pertanto, sarà il ruolo delle singole scuole, nel calare le indicazioni nello specifico contesto di azione, consapevoli della estrema complessità del percorso di valutazione che sono chiamati a fare in un articolato scenario di variabili(ordine di scuola, tipologia di utenti, strutture e infrastrutture disponibili, dotazione organica, caratteristiche del territorio, etc.),nella certezza che solo l’esperienza di chi vive e opera nella scuola quotidianamente con competenza e passione potrà portare alla definizione di soluzioni concrete e realizzabili.

Un po’ come quando, dopo un lunghissimo corso sulle competenze domandi “ma in concreto cosa devo insegnare? Potete darci indicazioni precise? Farci vedere un esempio?” E ti senti rispondere siete voi che state in classe, voi siete gli esperti, solo voi potete definire soluzioni concrete.

Gli spazi

Non è possibile lasciare all’iniziativa delle singole scuole aspetti così importanti, mi aspetto ora un documento coraggioso e visionario che unisca le sperimentazioni pedagogiche con le necessità contingenti: sono anni che mi sento dire che uno spazio bello aiuta l’apprendimento, che le aule vanno riprogettate e ridefinite. Dall’inizio della pandemia riceviamo pubblicità di nuovi arredi e spazi modulari, roba da strabuzzare gli occhi, ecco ora l’occasione c’è e anche la necessità. Le stesse indicazioni del comitato scientifico ribadiscono:  

appare, pertanto, prioritario valorizzare gli investimenti e le risorse finalizzate ad assicurare misure di sicurezza attraverso l’ottimizzazione/implementazione degli spazi, dotazioni organiche adeguate, che siano opportunità di riqualificazione della scuola italiana. Le difficoltà connesse alla ripresa delle attività scolastiche nell’emergenza da SARS-CoV-2 potrebbero pertanto trasformarsi in occasioni di rilancio del sistema scolastico in un lavoro complessivo di investimenti per azioni coordinate che mettano al centro dell’agenda politica scuola e salute come elementi strategici per il benessere complessivo della persona.

Nel Decreto Scuola sono previste norme ad hoc per l’edilizia scolastica che snelliscono le procedure burocratiche e danno a Sindaci e Presidenti di Provincia poteri commissariali per i piccoli lavori da fare per Settembre. (articolo 7-bis Misure urgenti per interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica)

Il problema è che gli interventi da fare, penso ad esempio alla mia scuola, non sono piccoli e non sono aggiustamenti, ma sono il risultato di anni di scarsi (o inesistenti) investimenti nell’edilizia scolastica.

Nel documento tecnico si parla di necessità di ridefinire il layout (!) delle aule, come e con quali mezzi non è ancora dato di sapere. Se i ragazzi dovranno avere tot metri quadrati di spazio per rispettare il distanziamento sociale è necessario dotare le scuole di banchi più piccoli, facilmente spostabili, dotati di divisori in plexiglas, dispenser per ogni aula e via dicendo. Ogni scuola dovrebbe avere o prevedere un consulenti per la ridefinizione degli spazi (sono un docente non posso improvvisarmi architetto), che lavorerà in sinergia con l’ufficio tecnico degli enti locali. Se saranno privilegiate le attività all’aperto, è necessario investire negli spazi esterni (per le scuole che li hanno, vuol dire sistemare buche, mettere panchine distanziate etc.) o in spazi esterni non della scuola ma che stipuleranno convenzioni con essa.

Ecco che nel documento si dice:

Ciascuna realtà scolastica procederà ad una mappatura e riorganizzazione dei propri spazi in rapporto al numero di alunni e alla consistenza del personale con l’obiettivo di garantire quanto più possibile la didattica in presenza, anche avvalendosi di spazi in più grazie a collaborazioni con i territori e gli Enti locali. […]

La proposta è anche interessante, ma manca di dire chi lo farà, quando lo farà e potendo contare su quali fondi. Mappiamo con gli enti locali e poi? Se lo spazio in più è lontano dalla scuola, chi organizza gli spostamenti? Chi pulisce e vigilia su quei locali che avranno minori di quattordici anni al loro interno?

Gli enti locali saranno obbligati a fare interventi edilizi necessari?

Organizzazione didattica

Anche in questo ambito le indicazioni sono generiche:

Ciascuna istituzione potrà definire, in virtù dell’autonomia scolastica, modalità di alternanza / turnazione / didattica a distanza proporzionate all’età degli alunni e al contesto educativo complessivo. In particolare, per gli ordini di scuola secondaria di I e II grado, al fine di ridurre la concentrazione di alunni negli ambienti scolastici, potranno essere in parte riproposte anche forme di didattica a distanza.

Nel documento non si parla di riduzione a 40 minuti dell’ora di lezione, ma io fatico a pensare come si possa garantire lo stesso monte ore e al contempo la necessaria riduzione degli studenti per classe  senza assumere personale in più e senza aumentare gli spazi. Delle due l’una.

Immagino che lo stesso lavoro per i docenti cambierà, seppur in modo provvisorio: orario flessibile, integrazione tra didattica in presenza e a distanza, percorsi di recupero, per questo è necessario un tavolo di discussione in cui siano presenti i sindacati. Non è pensabile continuare come fatto negli ultimi tre mesi: in assenza di regolamentazione contrattuale.

Potrei dilungarmi, mi fermo qua.

Qualche domanda su problemi concreti

Mentre leggevo il documento mi spuntavano tutta una serie di domande che provo a riassumere qui, come pista di lavoro e discussione, citando in corsivo il documento. Dal momento che grandi cambiamenti nell’assetto scolastico investiranno i docenti:

Potranno essere organizzate apposite esercitazioni per tutto il personale della scuola, per prendere dimestichezza con le misure previste. 

Notate il potranno e non dovranno: ma chi le organizza? Quando? E come considerarle? Formazione obbligatoria? Corsi sicurezza?

Igienizzare e sanificare i locali sarà un’altra questione aperta:

Prima della riapertura della scuola sarà prevista una pulizia approfondita di tutti gli spazi. Le pulizie, poi, dovranno essere effettuate quotidianamente. 

Di che tipo di pulizia si tratta? Può essere fatta dal personale? Oppure si tratta di sanificazione? Come cambierà il lavoro del personale addetto alla pulizia nella scuola? E come sarà regolamentato?

Saranno resi disponibili dispenser con prodotti igienizzanti in più punti della scuola. Sarà necessario indossare la mascherina. 

L’acquisto della competerà alle famiglie, ma se un bambino arriva a scuola senza mascherina che si fa? Dovremo dunque avere una scorta per tutti? Avremo dei fondi costanti per mascherine, prodotti igienizzanti, i dispenser e co? Lo dico perché da anni i genitori sopperiscono alle mancanze di materiali. 

Su altre questioni non ho trovato spunti nel documento:

In caso di supplenza cosa si fa, non potendo smembrare le classi e avendo tutto il personale impegnato per le turnazioni?

Come faremo a decidere chi mangerà in mensa, chi userà le lunch box? Dovremo fare graduatorie e punteggi per i turni del mattino e quelli del pomeriggio?

Dovremo redigere e stipulare un nuovo regolamento? Un nuovo piano educativo di corresponsabilità con le famiglie?

E ancora, e questa è questione che mi spaventa più ancora:

In caso di bambini che arrivano senza febbre all’apparenza (la tachipirina fa miracoli) ma mostrano poi sintomi e febbre che si fa?

E’ per forza necessario prevedere un calendario di sensibilità (ad esempio 40 giorni flessibili) salvaguardando la validità dell’anno scolastico, in cui le scuole possano essere chiuse per continuare a distanza: non perché abbia smania di DAD ma perché capiterà che una classe sia decimata per febbre o che un ragazzo arrivi a scuola e dopo due ore abbia la temperatura a 38. Che si fa allora? Continuiamo come se nulla fosse? O chiudiamo e continuiamo a distanza?

In conclusione

Da qui a settembre abbiamo poco tempo, che sommato ai limiti che hanno le nostre scuole (aule sovraffollate, edifici vecchi e con grandi problemi) rendono l’impresa quasi impossibile. Il problema è che non possiamo permetterci errori né improvvisazione e men che meno di fare le nozze coi fichi secchi.

Sono necessarie indicazioni chiare e concrete e soprattutto fondi, non solo per acquistare il materiale e per l’edilizia, ma anche per i docenti e i dirigenti che riprogetteranno la scuola, sarà un’estate difficile e intensa, che viene dopo una primavera che ci lascia stremati.

Il dipartimento di risorse umane del ministero ha annunciato ai dirigenti uno stanziamento di 331 milioni di euro, in concreto circa 38000 mila euro per istituto (variabili a seconda di parametri prestabiliti); con questi fondi i dirigenti dovranno acquistare il materiale per la sanificazione e i termoscanner, identificare aree verdi e attrezzarle, risistemare gli spazi esterni, smaltire i rifiuti, anche quelli speciali, far partire gli appalti per l’edilizia interna, cambiare gli arredi e acquistare o noleggiare tablet e hardware. Lascio a voi le conclusioni: ogni scuola ha circa 1000 studenti e più edifici di cui occuparsi.

Vorrei poter pensare che sarà facile, non lo sarà. Sarà la sfida più grande che la scuola abbia mai affrontato e la potremo affrontare solo se la scuola non sarà sola, ma avrà intorno un villaggio: enti locali che ascoltano e progettano, famiglie che riusciranno a guardare oltre gli innumerevoli disagi che questa nuova organizzazione comporterà, datori di lavoro che verranno incontro alle famiglie, opinione pubblica che non ci vedrà come nemici. E un ministero della pubblica istruzione che non ci lasci soli e che definisca chiaramente le responsabilità di ognuno.

Una cosa è certa non potremo affidarci solo alla creatività e agli sforzi che dirigenti, docenti e personale mettono ogni anno nella scuola.

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