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diretto da Romano Luperini

 In questo periodo di social distancing si sta sviluppando un profluvio di interpretazioni sull’emergenza Covid19. La quarantena crea un vuoto di relazioni sociali che si cerca di riempire tecnologicamente mediante le digital technologies e simbolicamente mobilitando una molteplicità dei framework culturali. Vi sono, dunque, diverse letture su ciò che sta accadendo e su ciò che accadrà, quando l’emergenza finirà e si potrà ritornare alla normalità. Un eccesso che compensa una assenza e che può sedare, oppure moltiplicare le ansie. Si tratta di un meccanismo che si sviluppa in ogni dinamica della emergenza e soprattutto quando si tratta di assorbire ciò che appare come radicalmente altro rispetto a ciò che ci è familiare. L’irruzione del perturbante, come direbbe Freud, che sconvolge le nostre vite. O del cigno nero un evento del tutto imprevedibile che verrà poi catalogato e razionalizzato come prevedibile (Taleb, 2014).

Un punto di partenza è nel riconoscere lo stato d’eccezione dell’emergenza Covid 19. Si tratta di una singolarità, un evento in cui la storia improvvisamente accelera e che sembrerebbe portarci ‘fuori dal mondo’, dalle coordinate del pensiero e dei nostri spazi concreti (quasi un iper-oggetto nel senso di Tim Morton, 2018). Ma è davvero così? La pandemia si è tradotta in un impulso alla digitalizzazione della scuola e delle università, nell’ambito di una più generale brusca accelerazione della digitalizzazione del ‘sociale’ (come dimostrato dalla generalizzazione dello smart-working). Le tecnologie sembrano offrire una immediata soluzione al problema della chiusura; potendo offrire una forma di scuola, la didattica a distanza. Non tutti sono, però, leggono l’impulso alla digitalizzazione allo stesso modo e quindi, si può provare a costruire una prima mappa delle posizioni. Per definirle, si può provare, in modo provvisorio, ad identificare le diverse letture e le relative teorie dell’azione.

Una prima posizione è quella degli stiliti. I santi stiliti nel Medioevo vivevano sulle colonne. Era una scelta ascetica per elevarsi verso Dio. Di tanto in tanto predicavano verso le folle, ma il loro sguardo tendeva verso una dimensione trascendente. In questa categoria ci sono coloro che hanno preferito una posizione destituente: la soluzione digitale è un simulacro della vera scuola. La teoria dell’azione è quindi l’azione inoperosa: si permette solo la critica allo scopo della decostruzione permanente. Lo scopo in fondo è quello di mantenere un’idea di scuola, un ideale, peraltro molto nobile, ma che sembra anche in condizioni di normalità molto lontano dall’essere realizzato. Per costoro nel corso dell’emergenza insegnanti e studenti dovrebbero rimanere a casa, prendersi una pausa, riflettere, leggere un libro (cartaceo naturalmente). Si potrebbe definire come una posizione apocalittica che annuncia la fine del mondo.

Una seconda posizione è quella degli allineati. L’agenda dominante nelle politiche educative è il GERM (Global Education Reform Movement), una sigla che indica un mix di politiche per la riforma dei sistemi educativi che fa proprie le ricette del New Public Management (la leadership, l’accountability e la competizione come principi regolatori). Per costoro l’emergenza è una finestra di opportunità per estendere in modo massiccio le tecnologie digitali. La risposta del MIUR che offre soluzioni ‘ready-made’ con accordi con le multinazionali del digitale (Microsoft, Google etc) è paradigmatica. Si accompagna, inoltre, con un discorso morale: è un obbligo, una responsabilità innovare e nessuno si può tirare indietro. La metafora della guerra produce l’identificazione di un fronte, si scelgono gli amici e i nemici, emerge anche in controluce la categoria dei ‘traditori’. Una soluzione simile anche se più sfumata si ritrova con l’UNESCO Global Coalition che propone una global coalition costituita da ‘multilateral partners and the private sector, including Microsoft and the Global System for Mobile Communications (GSMA), to help countries deploy remote learning systems so as to minimize educational disruptions and maintain social contact with learners.’ Nella sua versione estrema questa posizione vede nella digitalizzazione su larga scala una irripetibile occasione per un esperimento globale (imitando quasi la logica del controfattuale) che potrebbe finalmente darci una risposta all’efficacia dell’e-learning rispetto alle forme tradizionali di educazione.

Una terza posizione è quella degli attivisti dal basso. L’emergenza ha promosso una notevole mobilitazione da parte di insegnanti, dirigenti, scuole, università: un vero e proprio movimento che cerca, da un lato, di implementare soluzioni di ‘riduzione del danno’ e, dall’altro, di trasformare  il modello di scuola dominante. In questo caso, la teoria dell’azione è pragmatica: si cercano le soluzioni a portata di mano, si fanno degli errori, si scoprono nuovi dispositivi, si impara facendo, adattandosi alle opportunità tecniche che sono disponibili. In questo caso, il limite sta che si opera in un contesto infrastrutturale in cui le piattaforme e i software più affidabili sono quelli delle multinazionali e potrebbe venir meno le probabilità di soluzioni alternative, come quelle del digital cooperativism (Morozov) che garantirebbero un maggiore controllo dei dati e dei dispositivi tecnologici.

Che conclusioni possiamo trarre sulla base di questa prima mappa delle posizioni? Davvero il mondo dell’educazione non sarà più uguale a se stesso? Siamo destinati a vedere il superamento del modello tradizionale della scuola? Non è facile dirlo. Stiamo assistendo, piuttosto, ad una generale metastabilità dei sistemi educativi nella quale si confrontano diverse ‘forze’: a) le dinamiche globali del GERM b) la possibile chiusura all’interno della ‘piega’ degli stati nazionali in chiave sovranista; c) lo sviluppo di movimenti di attivazione dal basso e all’interno delle scuole. Non è dato sapere al momento quali saranno dinamiche di trasformazione delle configurazioni educative. La sospensione del patto di stabilità europea sembra aver fatto venir meno anche le logiche di coordinamento e di armonizzazione tra i sistemi educativi (la strategia di Lisbona, Horizon 2020 e il processo di Bologna), ma non sappiamo se sia possibile immaginare un diverso fondamento istituzionale dello spazio europeo dell’educazione.  La risposta europea è importante: indica la priorità di una biopolitica della vita in questa emergenza, ma solo i passi successivi diranno se sarà possibile elaborare una vera e propria comune politica europea dell’educazione indipendente dal dominante approccio economicistico dell’Unione.

In questo quadro può essere utile suggerire un principio di cautela. Chi ha molto investito nell’e-learning e nelle diverse forme di apprendimento remoto esprime preoccupazione sugli effetti negativi che potrebbe avere una rapida diffusione, o addirittura, l’imposizione obbligatoria della didattica a distanza. In una interessante rassegna delle posizioni di diverse esperti del settore si fa notare che le forme di insegnamento/apprendimento in remoto non sono sempre efficaci ed eque. Allievi e famiglie non hanno tutte le stesse opportunità di accesso alla rete e potrebbero soffrire di ulteriori esclusioni. Diversamente abili, studenti con difficoltà psicologiche hanno necessità di una prossimità fisica e relazionale che le nuove tecnologie non possono completamente sostituire. I costi relativi alla porosità di famiglia, scuola e lavoro in questi momenti di isolamento e il sacrificio di bambini e genitori in bilico tra attività scolastiche, lavorative e familiari ricordano che il digitale, in questo caso, può creare nuove tensioni e difficoltà di gestione di tempi e di spazi. Per non parlare dell’insostituibilità degli insegnanti, a fronte del rispolvero del sogno della ‘teaching machine’ di Skinner dei tecno-entusiasti di questo periodo (può essere interessante leggere il recente lavoro di Neil Selwyn, Should Robots Replace Teachers?). Una posizione di cautela non implica la svalutazione del presente, vuol dire piuttosto passare ad un’altra teoria dell’azione: la prospettiva a lungo termine. Sarebbe, infatti, opportuno indicare obiettivi a breve e medio raggio utili a dare delle indicazioni per il presente e per quanto possibile per il futuro. Si possono condividere alcuni suggerimenti di Graham e Sahlberg: 1) disegnare degli interventi governativi verso gli studenti vulnerabili che, in questo periodo, rischiano di essere ulteriormente esclusi in questa situazione (raggiungerli e offrire loro dispositivi e connessione può essere un’idea), 2) rilassare al livello complessivo il curriculum, dando la possibilità di allentare le tensioni in famiglia dovute alla porosità e alle crescenti interconnessioni tra istituzioni sociali 3) evitare compressioni e carichi di lavoro verso gli studenti durante e immediatamente dopo l’emergenza, secondo una strategia di compensazione che rischierebbe di rendere l’esperienza ancora più traumatica. In questo senso si potrebbe provare a ragionare più a medio raggio su che cosa vuol dire coniugare la trasformazione digitale e un’attenzione alle disuguaglianze sociali. Il capitalismo delle piattaforme è in questo periodo l’infrastruttura del sociale ed è ciò che sta permettendo in larga parte le forme di didattica a distanza. In questo senso, il valore delle piattaforme e dei relativi dispositivi digitali sta crescendo enormemente e così anche le ricchezze dei loro proprietari. Non è peregrino, dunque, immaginare che possano diventare dei beni comuni gestiti secondo forme democratiche oppure che possano aumentare la presenza di piattaforme, dispositivi, software ispirati a forme di cooperativismo digitale. Si tratterebbe di pensare, in effetti, ad un impianto di welfare più comprensivo e che si inquadri ad esempio nelle proposte presentate nel contesto del Forum Disuguaglianza Diversità. In questo modo si potrebbe immaginare che lo stato d’eccezione possa dare luogo ad uno spazio costituente nel quale definire il passaggio a nuove forme di scuola e di università facendo tesoro delle esperienze e delle ricerche sin qui realizzate.

Riferimenti Bibliografici

Taleb, N. T. (2014) Il Cigno Nero. Come l’improbabile governa la nostra vita. Milano: Il Saggiatore

Morton, T.(2018),  Iperoggetti, Roma: Nero Edizioni

Selwyn, N.  (2019) Should Robots Replace Teachers? AI and the Future of Education. Oxford Polity Press

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