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laletteraturaenoi.it

diretto da Romano Luperini

Chat, instagram stories, compiti in classe e test d’ingresso. Quali competenze comunicative chiediamo ai ragazzi di oggi?

 

 1.Dalla parte dell’apprendente

I ragazzi d’oggi, si sa, sono comunicatori inesausti, multimodali, creativi e criticatissimi. Si esprimono in chiave pluricodice e spesso plurilingue e così facendo destabilizzano noi comunicatori tradizionali, seguaci del pensiero e delle espressioni sequenziali, devoti alla grammatica come porto sicuro di fronte ai procellosi mari dell’italiano contemporaneo, spazio comunicativo attraversato da linee di alta tensione in diamesia, in diastratia oltre che, come sempre, in diatopia. Lo sappiamo tutti, l’italiano è una lingua che ha conosciuto tardivamente rispetto alle altre lingue europee gli impetuosi movimenti semplificatori degli utenti e per le sue caratteristiche storico-sociolinguistiche presenta mille ostacoli per l’apprendente poco avanzato o mediamente avanzato, sia come madrelingua, sia come L2. A ben guardare, fenomeni di interlingua a livello fonografemico, morfosintattico, lessicale, e problemi di comprensione fine dei testi complessi, scientifici e non, riguardano noi stessi, i nostri politici, i nostri professionisti oltre che i nostri ragazzi. Le ragioni sociolinguistiche di questi fatti sono ben note a tutti dopo gli studi di De Mauro (1971, 2014), Berruto (1987 e 2012), Sabatini (1985, 2018), Serianni (1989, 2010), di tutti i linguisti che si sono occupati del repertorio linguistico degli italiani, e dopo le Dieci Tesi del 1975 e quelle del 2000. Eppure ci preoccupiamo dei risultati INVALSI o OCSE-PISA, invece di proporre soluzioni mirate per un lifelong learning della nostra lingua, a tutti i livelli di decodificazione e di codificazione.

In effetti, questo non è del tutto vero se l’Accademia della Crusca, l’ADI, l’ASLI, il GISCEL, i Lincei/Scuola la SLI, le Università (uso un ordine alfabetico) promuovono corsi di aggiornamento per i docenti sul tema sempre scottante dell’educazione linguistica, se i Dipartimenti di italiano delle Scuole progettano itinerari di approfondimento linguistico e se l’utente medio scrive a proposito dei suoi dubbi linguistici alle stesse associazioni e agli stessi enti per avere risposte sul tema della lingua, e se, infine, nei nuovi salotti digitali si discute spesso sul buon uso dell’italiano. Tuttavia il problema della comprensione del testo, dell’argomentazione sui testi, della codificazione efficace di un testo, parlato, trasmesso o scritto in italiano permane e chiede idee da discutere e prassi da verificare.

 

Ogni bimbo nato o arrivato in Italia oggi cresce in un ambiente familiare quasi mai totalmente italofono, vuoi per questioni d’identità regionale, vuoi per questioni multiculturali.  Cresce inoltre immerso in un universo mediatico che propone lingue-altre, spesso iconico/simboliche – e soprattutto sconfinamenti tra registri stilistici diversi – e impara a esprimersi in multimodalità, usando più codici espressivi, facendo riferimento a un repertorio spesso distante dallo standard, con regole trascurate dalle grammatiche scolastiche ma vivissime. Crescendo incontra a scuola codici espressivi diversi, finestre su mondi alternativi, ma anche regole grammaticali poco comprensibili, perché distanti dai naturali processi di analogia e differenza che governano l’acquisizione spontanea di una lingua, e su queste regole spesso il discente non viene invitato a riflettere per farle sue, per integrarle col suo sistema interlinguistico in crescita. Come se non bastassero queste difficoltà, questo carico cognitivo imponente per appropriarsi di alcuni ambiti espressivi nella sua lingua di socializzazione, l’interlingua del bambino e del ragazzo – il suo sistema di regole di transizione tra un diasistema di partenza e un sistema di arrivo – così faticosamente conquistata, viene misurata rispetto a una piena padronanza, a mio avviso, ben difficile da conseguire nei 13 anni del nostro sistema scolastico. Proverò a spiegarmi meglio.

Nel Quadro di riferimento delle prove INVALSI si legge: «Le competenze che afferiscono alla padronanza linguistica sono: ascolto; produzione e interazione orale; lettura e comprensione; scrittura; lessico; riflessione sulla lingua. Ma le prove INVALSI di Italiano sono circoscritte alla valutazione a) della competenza di lettura, intesa come comprensione, interpretazione, valutazione del testo scritto, b) delle conoscenze e competenze grammaticali, c) della competenza semantico ‐ lessicale». Dunque, a differenza di qualsiasi altra forma di test o di certificazione linguistica, si trascurano nei test INVALSI le prime due competenze orali iniziali e fondamentali e si passa subito a testare le competenze avanzate, lettura e scrittura, pur nella loro gradualità. Non mi stupisce che i risultati in queste competenze avanzate non siano brillanti per le seconde o le quinte classi della scuola primaria, ma non mi stupisce nemmeno che si riscontrino difficoltà nelle classi superiori e che queste difficoltà registrino una situazione sociolinguistica asimmetrica con differenze marcate tra Nord, Sud e Isole, tra tipi di Scuola superiore e tra ragazzi nativi o immigrati[1]: stiamo misurando competenze che hanno bisogno di tempi molto lunghi per consolidarsi e di modi, spazi e occasioni comunicative per l’apprendente e che sono il riflesso della nostra situazione sociolinguistica.

La Scuola e l’Università sono grandi spazi comunicativi alternativi rispetto alle altre realtà della comunicazione quotidiana – appiattita su fraintesi paradigmi di velocità e sulla necessaria semplificazione del quotidiano, familiare o mediatico che sia – eppure il rilancio delle specificità comunicative di Scuola e Università appare frenato.

Più che dare «libero gioco» a quella che Chomsky nel 1968 definiva «l’euristica intuitiva dell’apprendente» e costruire sillabi flessibili e ben contestualizzati, anche in linea con l’ultima Raccomandazione europea del maggio 2018 sulle competenze di cittadinanza, pare che si abbia fretta di misurare le competenze di lettura e di scrittura, salvo poi a scoraggiarsi quando queste competenze, com’è assolutamente prevedibile nel corso piuttosto breve dei 13 anni di scuola, non raggiungono il livello di piena padronanza della lingua.

Il processo di alfabetizzazione di base nella prima lingua è senz’altro un processo cognitivo e pragma-sociolinguistico quanto mai complesso e oggi l’esposizione dei bambini e dei ragazzi a lingue altre, e soprattutto all’anglofonia mediatica, tra gruppi musicali e serie tv, lo complica. Di fronte a un certo grado di polylanguaging (Alfonzetti 2017) le ore di italiano e le tre ore di lingua straniera a scuola bastano appena a fornire una bussola lessicale e grammaticale e non certo a favorire un’acquisizione profonda della L1 e della L2. Il percorso glottodidattico in L1, nel nostro italiano, andrebbe non solo esteso in termini di ore dedicate alla grammatica in classe, ma di ore dedicate alla riflessione sulla lingua parlata, trasmessa e scritta anche fuori dagli orari scolastici. Sono da sempre convinta che un ruolo importante potrebbe essere giocato dai nostri studenti delle lauree magistrali che, nelle ore di tirocinio a scuola, potrebbero avviare attività di riflessione sulla lingua anche in forma ludica, concordandole coi docenti curricolari, e ampliando così la riflessione metalinguistica ben oltre l’orario consueto. I risultati positivi ottenuti da alcuni progetti PON in questa direzione negli anni passati costituiscono un buon indizio per continuare a sostenere queste forme di educazione linguistica extracurriculare.

Credo tuttavia che, prima di attivare altre iniziative glottodidattiche, forse a noi docenti servirebbe un piccolo memorandum sulla glottodidattica. Ce lo ricordano Sabatini (2018) e Coluccia (2019), a proposito dell’aggiornamento dei docenti su tematiche linguistiche. Dovremmo, come si accennava, tenere a mente quanto le fasi e i processi di acquisizione e di apprendimento della L1 siano cognitivamente complessi, e quanto le competenze di lettura e scrittura siano avanzate nell’ambito di questi processi (Woolf, 2009; 2018). Dovremmo ricordarci anche, sul versante della grammatica, quali siano le tappe dello sviluppo della morfosintassi dell’italiano (De Marco, 2005; Lo Duca, 2018).

Ricordando questi dati, forse non ci turberebbe così tanto leggere i risultati del Rapporto INVALSI 2019 e ci renderemmo conto che la padronanza piena di una lingua storico-naturale flessiva, con una diacronia che ha reso i suoi paradigmi strutturali molto articolati, ha bisogno davvero di un lifelong learning, ma non solo. Ha bisogno a mio avviso di una profonda educazione alla «scoperta grammaticale» (Lo Duca, 2004), e di una cultura del dubbio linguistico (Bruni, 2013). In effetti, proprio sulla cultura del dubbio linguistico si sono fatti oggi dei passi avanti, col pullulare delle scritture social, e la collegata esigenza di una norma linguistica vicina all’utente, dimostrata per esempio dagli utenti del sito web e della pagina facebook dell’Accademia della Crusca, o di altri siti, come il DICO di Fabio Rossi e Fabio Ruggiano, che rispondono a quesiti linguistici, sempre legittimi e sempre attuali.

Comunque tocca sempre a noi traghettare con passione e con pazienza i nostri studenti verso quella cultura alfabetica, che rischia di perdersi nelle secche dei paradigmi digitali, della brevità percettiva e dell’ellissi verbale, col rischio di appiattire il pensiero dialettico e le competenze argomentative. Un traghettare che non ignora certo il valore di ogni errore linguistico, frutto di una strategia cognitiva dell’apprendente (di tipo analogico o contrastivo, se vogliamo ricordare il sistema binario saussuriano) nel suo processo di avvicinamento verso la lingua target. Non serve preoccuparsi, serve piuttosto mantenere intatta quella voglia di trasmettere ai nostri ragazzi il gusto per quella che Patota ha recentemente definito «la grande bellezza dell’italiano» (2019).

A questo punto le questioni sulle quali avviare una discussione sono a mio avviso due: una riguarda la consapevolezza di noi docenti nei confronti dei vari processi di acquisizione e apprendimento della lingua, prima o seconda che sia, e una riguarda la costruzione di un sillabo di educazione linguistica coerente ed estensibile oltre i confini scolastici.

2. Questioni di acquisizione e apprendimento

social 1 Sappiamo che il processo di acquisizione della lingua, prima o seconda, ha una sua trafila imprescindibile: dato un certo input pragmalinguistico, per esempio quello televisivo, l’apprendente procede alla sua «processazione» (scusate l’anglicismo) e nel suo LAD (Language Acquisition Device) si formulano ipotesi di attribuzione categoriale dell’elemento, si categorizza l’elemento e poi l’inserimento del nuovo elemento nel sistema di INTAKE crea nuovi schemi cognitivo/linguistici, che portano a nuove scelte interpretative. L’acquisizione linguistica si incrementa dunque lentamente e in modo non lineare a tutti i livelli di competenza: fonografico, morfosintattico, semantico-lessicale, fraseologico.

I tempi di «processazione» sono neurobiologicamente lunghi e richiedono soprattutto un dato importante oltre all’input, il feedback. Per tornare al citato input televisivo, soprattutto quello costruito per i bambini, solitamente ricco, differenziato, morfologicamente piuttosto sorvegliato, sostenuto dal codice visivo, osserviamo facilmente come, se manca il feedback da parte di un adulto sul significato di alcuni termini (e mi è capitato di studiarlo in più occasioni), l’input risulta inutilizzabile.

social 2Con finezza umoristica Quino aveva individuato proprio uno dei meccanismi principali dei processi di acquisizione della prima lingua: la verifica sul campo del significato delle parole già parte di un input esplorato, ma non ancora divenuto intake.

Il processo di esposizione a un input significa ascolto, ma perché il processo di ascolto diventi acquisizione è necessario che l’ascolto si faccia attivo con la sollecitazione di un feedback diretto o indiretto, per una corretta segmentazione della catena parlata e per i contenuti. Nel caso di Mafalda la verifica e il feedback sono diretti e autonomi e seguono un momento di esposizione a un input complesso dal quale l’item lessicale è stato estratto.

Capire il significato delle parole, stabilire tra loro analogie, compiere deduzioni, allargare o restringere, precisare o correggere il campo semantico di un sostantivo o un nesso fraseologico, di un aggettivo o di un verbo, sono tutte operazioni pragmalinguistiche complesse per il buon successo delle quali l’intervento di feedback di un adulto o di un pari con competenze linguistiche differenti sono fondamentali, ma possibili solo per certo tipo di testi. La fiaba, il racconto e ogni tipo di storia mediata dall’oralità e in contesto face to face garantiscono tale successo, testi altrimenti mediati come quelli radiofonici o televisivi o filmici danno minori garanzie soprattutto se sono veicolati da uno schema narrativo di flusso, poco rispettoso dei tempi di ricezione di un bambino che potrà fare affidamento, nel caso del messaggio audiovisivo, su altri codici paralleli, musicale e visivo, per tempi spesso troppo brevi per consentire processi completi di decodificazione.

Nello splendido libro Lettore, vieni a casa. Il cervello che legge in un modo digitale (2018) la neuroscienziata, già laureata in letteratura, Maryanne Wolf sottolinea l’importanza di comprendere le interazioni tra i tre macrosistemi cerebrali che sovraintendono i processi di lettura e di scrittura: la visione, la cognizione e il linguaggio.

social 3Noi docenti, pur consapevoli del complesso percorso, talvolta eccediamo con l’input, oppure diamo per scontata una conoscenza enciclopedica del mondo e una competenza lessicale dei ragazzi che si manifesta difforme rispetto alle nostre aspettative, talvolta invece non siamo abbastanza ridondanti nel proporlo e così rischiamo che la traccia mnestica si perda (Bettoni, 2000).

Tutti gli studiosi tornano sul tema della gradualità, della ricorsività (apprendimento a spirale o per cerchi concentrici) e della pratica costante, eppure manca ancora un tassello importante per comprendere le eventuali lacune o gli eventuali errori dei nostri discenti: la conoscenza progressiva e implicazionale di ogni singolo lessema. Su questo problema siamo a volte poco attrezzati: proponiamo concetti e parole nuove ma non rispettiamo i cinque gradini della piena competenza lessicale già indicati da Manfred Pienemann nel 1998. La conoscenza lessicale passa attraverso 5 stadi fondamentali: 1) quello di accesso superficiale al lemma, 2) quello categoriale, 3) quello sintagmatico, 4) quello frasale e 5) quello subordinativo, con modalità implicazionale e non si può saltare nessun passaggio. Il nome nel sistema grammaticale italiano ha regole di flessione e di composizione che si acquisiscono gradualmente e con un costante riferimento a contesti d’uso differenti. Se i contesti d’uso sono ripetitivi si rischia l’inibizione del processo appena descritto e la fossilizzazione del sistema interlinguistico.

Quando incontriamo un “errore” dobbiamo chiederci se si tratta di un errore che sottende un processo di semplificazione per analogia (mangiare>mangiando, dunque fare>fando), o un processo di blocco nella scala implicazionale tra fase sintagmatica e frasale («io vengo di Catania») e di sovraestensione di microregole. Dobbiamo soprattutto chiederci come esporre i nostri apprendenti a un input corretto ma non impositivo, motivante e non prescrittivo. In effetti, tutti i docenti giorno dopo giorno provano a traghettare gli alunni verso il testo storico, letterario, geografico, matematico, chimico, fisico, ma si scontrano con i problemi della comprensione del testo stesso (competenza passiva) e poi – ancor più difficile – con i problemi della produzione di riflessioni sul testo e di interrogazioni sul testo (competenza attiva) e nelle produzioni scritte degli studenti troveranno sicuramente errori di coesione/coerenza, intenzionalità/accettabilità, informatività/situazionalità, intertestualità, ma anche errori semantico-lessicali, ortografici e morfosintattici. Pragmatica, testualità, fonologia e morfosintassi si intersecano sempre nel processo di acquisizione della lingua.

2.1 Le competenze lessicali

Fin dai tre anni, o da quando completa il processo di appropriazione orale del suo codice espressivo nativo, il bambino formula ipotesi sul lessico e ne estrae regole di funzionamento morfosintattico per analogia o per contrasto. Lo Duca (2018) offre riflessioni metodologiche preziose: cita l’esempio della nipotina di quattro anni che, di fronte all’affermazione della nonna «questa bambina è tanto gelosa», replica «Non è vero, io non sono di ghiaccio!» e così facendo mostra non solo di aver compreso l’uso del deittico questa, ma di aver compreso le regole di formazione degli aggettivi in –oso (col nucleo semantico di pieno di), come nel caso del celebre petaloso. Nel caso della mia nipotina di quasi tre anni, ho filmato una sequenza in cui la bambina narrava, con un albo illustrato in mano, la storia di Cappuccetto rosso, confrontandosi con l’uso del passato remoto (ben distante dalle sue competenze del momento, ma già presente come stereotipo linguistico fiabesco con regola derivazionale del tipo mangio>mangiò) e produceva stringhe frasali come «il lupo venò a casa della nonna» o, incrociando su base fonologica forme di futuro e di passato remoto, «e così lui se ne anderò. Fine della storia».

Alla base di questi meccanismi analogici di scoperta di regolarità e di irregolarità nella formazione del nome o del verbo sta la trafila acquisizionale individuata da Karmiloff – Smith (1992; 1995) che prevede quattro fasi:

1) Conoscenza non analizzata per routines e patterns, imitazione di modelli

2) Conoscenza progressivamente analizzata, ma ancora implicita e inconsapevole

3) Conoscenza analizzata e creativa

4) Conoscenza consapevole sulla quale si può esercitare l’azione didattica

Quando incontriamo i bambini a scuola, di solito, la loro competenza linguistica sta alla fase 3) e sta a noi aiutarli a raggiungere la fase quattro, con progressivo ampliamento della loro riflessione grammaticale guidata a partire dalla loro naturale curiosità sui fatti di lingua (la fase dei perché estesa nel tempo) che purtroppo viene smorzata dalla grammatica prescrittiva che ancora resiste nelle nostre aule.

La lettura del saggio di Maria Pia Lo Duca incoraggia a far nostro, a tutti i livelli di scolarità, il metodo della scoperta lessical/grammaticale. Un uso lessicale pieno, non può certo prescindere dalla conoscenza delle regole di formazione nominale o dai paradigmi verbali.

La scuola dovrebbe approfittare di questa naturale e inconsapevole propensione a riflettere sulla struttura delle parole complesse, innestando su questa una riflessione esplicita guidata, che dia voce e terminologie a questo silenzioso quanto imponente lavorio mentale. L’abitudine a riflettere sull’esito formale e semantico dei processi derivativi e compositivi costituisce, infatti, un aiuto formidabile quando nello studio o nella vita, ci si imbatta in nuove parole, dal significato sconosciuto, ma di cui sia riconoscibile qualche struttura interna. Per un allievo abituato a lavorare sulla morfologia delle parole risulterà facile ritrovare i segmenti costitutivi delle parole e provare a fare ipotesi sul significato complessivo del termine sconosciuto, che poi il contorno linguistico o extralinguistico potrà fermare o smentire, e da cui potrà scaturire una nuova ricerca, questa volta sul dizionario.

Il problema rimane quello di selezionare materiali motivanti e di dare le chiavi d’accesso a strumenti di conoscenza enciclopedica come i dizionari. Per quanto riguarda la scelta di corpora o di dizionari on line utili come strumenti di consultazione per ampliare il cosiddetto core vocabulary, punto di partenza può essere il VDB – il vocabolario fondamentale (circa 2000 parole in grassetto), ovvero le parole di maggiore uso sulla base della frequenza e della dispersione che coprono in media più del 90% di qualunque testo non specialistico, e sono parole grammaticali (il, di, che, non ecc.) e parole contenuto molto frequenti usate da tutti nelle più varie circostanze (oggi, domani, fare, stare, abitare, acqua, aria, amicizia, aiuto ecc.). A partire dal VDB è stato costituito il lemmario di specifici dizionari destinati all’apprendimento, quali il DIB (De Mauro – Moroni, 1996) e il DAIC (De Mauro, 1997). Di certo va tenuto in considerazione il valore d’uso di una parola «coefficiente di variazione, una combinazione della frequenza e della dispersione (vale a dire del numero di testi in cui essa compare), detto anche ‘uso’ della parola» (Marello, 1996). Da poco c’è anche la possibilità di lavorare sul RIF (Colombo – D’Achille, 2019) per gli apprendenti avanzati. L’idea è quella di costruire un repertorio di liste lessicali associate per forma, derivate da, o composte con una stessa parola di base (Ferreri, 2005; Colombo, 2017).

2.2 Ragionare sulla grammatica

Il lessico da usare è sempre grammaticalizzato e contestualizzato. Gli studiosi ritengono che ogni elemento lessicale venga appreso in modo implicazionale, per progressivi approfondimenti e usi sempre più diversificati per contesto. Il processo di acquisizione linguistica a ogni livello, non dobbiamo dimenticarlo, può progredire o fossilizzarsi e noi docenti, facilitatori e sostenitori del processo di acquisizione della lingua dei nostri studenti, possiamo fare qualcosa solo per ampliare il loro input linguistico con nuovi contesti d’uso e fornire una guida per la riflessione metalinguistica.

Le Indicazioni nazionali del 2012 fissavano i contenuti grammaticali per tutto il primo ciclo scolastico, con i traguardi previsti per le classi-snodo e tuttavia gli indici utili per la costruzione del sillabo e poi per la valutazione appaiono vaghi (Lo Duca, 2018). Considerata la centralità della riflessione grammaticale nel processo di formazione del pensiero astratto (Altieri Biagi, 1984), sarebbe invece importante indicare con precisione le linee guida di un possibile sillabo grammaticale, calato dentro una struttura pragmatico-comunicativa, in linea con il sillabo articolato per obiettivi funzional-comunicativi, graduato e calibrato del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. L’esperienza maturata negli anni di collaborazione con i docenti delle scuole secondarie nell’ambito del Progetto MAT.ITA[2] mi ha condotto a rivalutare il QCER, oltre che come base per la costruzione di un sillabo graduato per obiettivi comunicativi, grammaticali e lessicali, anche come possibile sistema per dare traguardi standardizzati alle competenze richieste agli alunni in uscita dal sistema scolastico. Alcuni degli item di comprensione del testo proposti nei test MAT.ITA richiedevano agli studenti del quarto anno della scuola superiore un livello C1, ma pochi studenti riuscivano ad affrontare positivamente i quesiti di comprensione proposti. Il QCER potrebbe costituire anche per l’italiano un utile standard di riferimento per la costruzione di un curricolo verticale e stabilire a quale livello gli studenti dovrebbero riuscire a giungere, differenziando i risultati per abilità e dando la possibilità di un recupero mirato e non generico: se ne guida l’apprendimento, si sostengono e si facilitano i processi di apprendimento, se ne sollecita una riflessione metalinguistica.

2.3. Chi ha paura del Rapporto INVALSI 2019?

Nel Rapporto Invalsi 2019 al capitolo «I risultati in italiano al grado 5» si legge:

In quinta primaria il Nord-Ovest registra un punteggio significativamente più alto della media nazionale (200) di 4 punti, mentre il Sud e Isole ottiene un punteggio significativamente più basso di circa 8 punti», anche se «complessivamente le differenze dei risultati delle macro-aree, tolto il Sud e Isole, si limitano a qualche punto in più o in meno rispetto alla media generale. Il divario tra competenze linguistiche dei ragazzi del Nord e del Sud cresce nella terza classe delle secondarie di primo grado: rispetto alla media nazionale i ragazzi del Nord ovest ottengono 4 punti in più, quelli del Nord est 6 punti in più, mentre il Sud si attesta su 5 punti in meno e sud e isole 11 punti in meno. Alle Marche la palma dell’eccellenza e alla Calabria il ruolo di fanalino di coda, e risultati simili sono stati ottenuti al grado 10, ovvero alla fine del biennio delle superiori.

Passando al grado 13, alla fine del percorso scolastico:

Nel Nord Ovest, il Piemonte e la Lombardia ottengono un punteggio significativamente superiore alla media italiana, da cui non si differenzia invece il punteggio della Liguria e della Valle d’Aosta. Al di sopra della media nazionale è il punteggio di tutte le regioni del Nord Est, con l’eccezione della provincia di Bolzano. I punteggi delle regioni del Centro sono allineati alla media dell’Italia. Tra le regioni del Sud e del Sud e Isole, conseguono punteggi significativamente inferiori alla media italiana la Campania, la Calabria e la Sicilia, mentre il punteggio delle altre regioni non si differenzia significativamente da essa. La regione con il punteggio più elevato in assoluto (219) è la provincia di Trento, seguita dal Friuli-Venezia Giulia con 214 punti. La regione con il punteggio più basso (182) è la Calabria. La distanza tra quest’ultima e la provincia di Trento è di 37 punti

Uno sguardo alla descrizione del livello 13 per italiano fa riflettere: il descrittore 5, l’ultimo, ipotizza a 18 anni una completa padronanza dell’italiano

Livello 5. L’allievo/a risponde a domande su testi anche di contenuto astratto o lontano dalla sua esperienza, caratterizzati da una struttura non lineare, da una costruzione complessa delle frasi e da una varietà di linguaggi. Individua in maniera autonoma informazioni secondarie, anche espresse in riformulazioni che sono distanti dalla forma in cui sono rese nel testo. Coglie il senso complessivo di un testo anche attraverso la ricostruzione di significati non espressi in maniera esplicita. Ricostruisce l’ordine di argomenti ed eventi che nel testo non seguono l’ordine logico o cronologico. Distingue in un testo argomenti a favore o contro una tesi data. Riconosce le caratteristiche stilistiche di vari tipi di testo, in prosa e in poesia, e i diversi registri linguistici (dal colloquiale al formale), anche quando si alternano all’interno dello stesso testo. Svolge compiti su fenomeni grammaticali complessi, anche in passaggi testuali molto densi di informazioni e particolarmente elaborati dal punto di vista linguistico.

Ma siamo sicuri che il parlante medio-colto adulto possieda tutte queste competenze pragmalinguistiche? Se così fosse potremmo preoccuparci perché non tutti raggiungono questo livello, ma più ragionevolmente potremmo anche non preoccuparci considerata l’asimmetria del processo di acquisizione, con picchi di velocità e rallentamenti sulla base di input linguistici, sollecitazioni contestuali, occasioni comunicative, riflessioni metalinguistiche guidate.

Il nostro ragazzo avrà tempi e modi per correre verso il possesso di competenze più avanzate nel corso del suo tempo scolastico e ben oltre. Un livello di padronanza, un C1/C2, per esempio, potrà raggiungerlo alla fine del percorso scolastico, ma di solito lo raggiungerà dopo, molto dopo, sempre che riceva un input ampio, ricco, differenziato, negoziabile, utile non solo per il suo stretto contesto comunicativo, e che sia stato allenato a riflettere sui fatti di lingua e sulle scelte stilistico/espressive. L’importante è poi che abbia voglia, occasioni, modi e spazi comunicativi per far crescere queste sue competenze, altrimenti alcune di queste si fossilizzeranno, serviranno a coprire bisogni comunicativi immediati e circoscritti. Lo dicevano i sociolinguisti degli anni Settanta del secolo scorso (Hymes, Bernstein, Gumperz), ma anche i nostri grandi (De Mauro, Sabatini, Serianni) e lo sa ciascun docente sensibile alle problematiche comunicative. Tuttavia mi pare che non si sia ancora fatta largo l’idea di una gradualità delle competenze linguistiche misurabile in chiave di obiettivi, di funzioni comunicative e di risultati attesi, sul modello del Quadro Comune di riferimento per le lingue straniere, ma nei modi e negli spazi consentiti dal nostro sistema scolastico. Un sillabo condiviso, ma elastico, flessibile, possibilmente in linea con le aperture della Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente[3], con i nuovi scenari comunicativi, con il lifelong learning delle competenze comunicative, definite in termini di «competenza alfabetica funzionale» e «competenza multilinguistica».

  1. Questioni di Sillabo. Alla ricerca di un sillabo di educazione linguistica coerente ed estensibile oltre i confini scolastici.

Prendendo atto dei mutamenti socio-politici, culturali, mediali e cognitivi intervenuti nell’ultimo quindicennio, il Consiglio dell’Unione Europea il 22 maggio 2018 ha pubblicato la Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave[4] per l’apprendimento permanente[5].

Se la Raccomandazione del 2006 metteva come primo punto la comunicazione nella madrelingua, quella del 2018 sdoppia la competenza comunicativa necessaria in: competenza alfabetica funzionale e competenza multilinguistica. Si sottolineano inoltre abilità quali la capacità di risoluzione di problemi, il pensiero critico, la capacità di cooperare, la creatività, il pensiero computazionale, l’autoregolamentazione come cardini della nostra società in rapida evoluzione.

La Raccomandazione ribadisce l’importanza «del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER), che semplifica l’individuazione degli elementi principali delle competenze e funge da ausilio al processo di apprendimento. Esso pone inoltre le basi per la definizione delle competenze linguistiche, in particolare quelle relative alle lingue straniere e offre anche indicazioni utili per «affrontare il problema dello sviluppo delle competenze chiave in una prospettiva di apprendimento permanente», ovvero: «garantire supporto a tutti i livelli dell’istruzione, della formazione e dei percorsi di apprendimento: sviluppare sistemi di educazione e cura della prima infanzia di qualità (4), incoraggiare ulteriormente lo sviluppo scolastico e l’eccellenza nell’insegnamento (5), offrire percorsi di miglioramento del livello delle competenze agli adulti (6) che ne abbiano bisogno, sviluppare ulteriormente l’istruzione e la formazione professionale iniziale e continua e modernizzare l’istruzione superiore (7). In questo modo si dovrebbe garantire al cittadino «l’occupabilità, la realizzazione personale e la salute, la cittadinanza attiva e responsabile e l’inclusione sociale».

La Raccomandazione considera come prerequisiti elementi quali il pensiero critico, la risoluzione di problemi, il lavoro di squadra, le abilità comunicative e negoziali, le abilità analitiche, la creatività e le abilità interculturali, ovvero ciò che gli specialisti considerano i risultati ultimi di un processo di scolarizzazione di lungo periodo. Considera tuttavia con attenzione gli obiettivi complessivi a) della competenza alfabetica funzionale b) della competenza metalinguistica; e propone anche una serie di strategie didattiche:

Per arricchire l’apprendimento si può ricorrere all’apprendimento interdisciplinare, a partenariati che coinvolgano attori dell’istruzione, della formazione e dell’apprendimento a diversi livelli oltre che del mercato del lavoro, nonché a concetti quali gli approcci scolastici globali e integrati, che pongono l’accento sull’insegnamento e sull’apprendimento collaborativo, sulla partecipazione attiva e sull’assunzione di decisioni dei discenti. […] Rafforzare fin dalla giovane età le competenze personali, sociali e di apprendimento può costituire il fondamento per lo sviluppo delle abilità di base.

Metodologie di apprendimento quali l’apprendimento basato sull’indagine e sui progetti, misto, basato sulle arti e sui giochi, possono accrescere la motivazione e l’impegno ad apprendere. Analogamente, metodi di apprendimento sperimentali, l’apprendimento basato sul lavoro e su metodi scientifici in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM) possono promuovere lo sviluppo di varie competenze.

Il quadro è ampio, circostanziato e ciascun docente può ritagliarsi una porzione operativa tenendo sempre a mente quanto si diceva a proposito della lunghezza del processo di acquisizione della prima lingua e della necessità di un lifelong learning della propria lingua materna.

Manca ancora un sillabo condiviso. Sabatini (2019) prova a tracciare un nuovo sillabo per l’italiano L1 osservando che:

la riflessione sul lessico (spiegazione dei significati, descrizione delle forme, organizzazione del sistema) non richiede, almeno a un primo livello, particolare formalizzazione ed è quindi attuabile e fruttuosa, anche all’inizio della scolarizzazione; la classificazione morfologica e funzionale delle parti del discorso richiede, invece, una già raggiunta capacità di lettura e comprensione delle parole in un contesto sintattico e va condotta seguendo un valido modello esplicativo dell’entità «frase», nella quale, appunto, le parti si compongono […] La conoscenza analitica del meccanismo della frase è operazione appropriata a un livello successivo, quando l’alunno sviluppa la capacità di astrazione, necessaria per cogliere la logica dei collegamenti tra i componenti della frase, e può utilizzare questa conoscenza per comprendere e produrre congegni di sintassi testuale più complessi. Siamo alle soglie del triennio della Scuola Secondaria di I grado, durante il quale l’alunno può affrontare sistematicamente lo studio della frase semplice (che tanto «semplice», nel senso comune di questo aggettivo, non è) e compiere una prima esplorazione della frase complessa.

Gradualità della riflessione metalinguistica, adatta al livello di comprensione dell’apprendente, che incrementa l’attività di quello che Krashen (Dulay – Burt- Krashen 1985) chiamava monitor (ovvero la capacità di autocorreggersi, di cambiare in corso d’opera il progetto sintattico orale o scritto) in tutte le fasi dell’acquisizione linguistica. Ci serve immaginare un percorso di riflessione grammaticale anche precoce, ma ben graduato. Proposte interessanti arrivano da Massimo Palermo (2017), che dedica un intero capitolo al ruolo della Scuola nella società dell’informazione, con uno sguardo ai nuovi assetti cognitivi e uno ai risultati OCSE-PISA. Atteggiamento filologico nei confronti di qualsiasi testo, decodificazione corretta dei meccanismi di discorso riportato dai media, lettura “seria” dei testi comici: tante sono le proposte di Palermo per recuperare un dialogo metalinguistico coi giovani e tante ancora se ne potranno trovare. Certamente la strada che conduce tutti noi docenti verso un sillabo di italiano L1 veramente verticale (dalla Scuola dell’infanzia all’Università e oltre) è ancora da spianare, e in parte anche da costruire. Le pietre miliari ci sono e sono gli studi delle neuroscienze sui processi linguistici, di lettura e di scrittura, della psicolinguistica, della sociolinguistica, della glottodidattica e dei linguaggi mediatici; sta a noi creare percorsi agevoli per i nostri alunni di ogni età.

  1. Dalla generazione Z alla generazione Greta

Eppure, come spesso accade, anche nel caso dei giovani comunicatori digitali i fatti hanno superato gli studi sui fatti. Mentre ci preoccupavamo dei possibili riflessi della mediasfera, che incide sempre più profondamente sulla noosfera (Simone 2012), e mentre cominciavano a essere evidenti i riflessi di tutto ciò anche per i più piccoli, precocemente autorizzati a usare smartphone e tablet e gli studi neurobiologici mettevano in guardia i genitori a proposito dei problemi di attenzione dei bambini e degli adolescenti sempre connessi, i nostri adolescenti hanno tirato le orecchie ai potenti della terra usando le affilatissime armi della comunicazione digitale, della risonanza mediatica, della mobilitazione delle coscienze ecologiche via web. I Fridays for Future promossi da Greta Thunberg hanno scosso il pianeta e, tra sostenitori e detrattori, le tesi portate avanti dai giovanissimi sono state comunque ascoltate. Chapeau!

L’auspicio di Maryanne Wolf (2017) sulla possibile doppia alfabetizzazione (con processi di lettura lineare, profonda, argomentativa e con processi di lettura digitale, con skimming veloce ma informatissimo) – utile per la comunicazione del futuro tra contenuti enciclopedici delle generazioni precedenti e conoscenze del modo digitale dei giovanissimi – si è già in parte realizzato. Con risultati comunicativi diseguali e asimmetrici, è vero, con punte avanzate di comunicazione incisiva e scopiazzature provinciali, eppure una svolta importante c’è stata.

Tocca a noi docenti di ogni ordine e grado avviare processi di lettura doppi e ricchi di spunti dialogico-argomentativi, tocca a noi avere pazienza e consapevolezza: il processo dura molti anni e i frutti del nostro lavoro si vedranno dopo molto tempo. Personalmente non mi preoccupa il fatto che bambine e bambini, ragazzi e ragazze nati e cresciuti, o arrivati in Italia nel corso dei tredici anni scolastici non padroneggino tutti i contesti d’uso di un italiano ricco di storia e di identità plurime, complesso e fluido, attualmente attraversato da linee di alta tensione linguistica: l’acquisizione della prima lingua è un processo che dura tutta la vita. Mi preoccupa piuttosto il fatto che i docenti e i genitori si allarmino per fatti naturali come la presenza di dati interlinguistici (definiti errori, ma in realtà frutto di strategie analogiche o semplificatorie di interlingue in crescita, orientate già verso una lingua target), invece di sostenere, incrementandolo con materiali di lettura e riflessioni linguistiche condivise, il naturale processo di acquisizione di una lingua bella e complessa come la nostra. Non solo a scuola.

Clicca per i Consigli di lettura


 

[1] Rapporto Prove INVALSI 2019 https://invalsi-areaprove.cineca.it

[2] Il progetto è stato promosso – per il tramite del Centro Orientamento e formazione – dall’Università di Catania ed è giunto oggi alla sua quarta edizione. A seguito dei risultati delle prove d’ingresso nell’anno accademico 2014-2015, che mostravano un numero consistente di studenti con obblighi formativi aggiuntivi in Matematica e Italiano, l’Ateneo catanese – oltre ad attivare i Corsi zero disciplinari – ha avviato con i docenti di 43 Scuole del territorio, sulla scorta delle esperienze del Progetto COMPLINESS per l’italiano e del Progetto Nazionale Lauree Scientifiche, una sperimentazione formativo/didattica, articolata e incisiva.

Il progetto è strutturato in tre fasi: 1) formazione dei docenti; 2) rilevazione delle competenze degli studenti del quarto e quinto anno della scuola secondaria superiore; 3) azione didattica congiunta tra docenti universitari e docenti delle scuole per il consolidamento delle competenze linguistiche dei discenti (Sardo, 2017).

[3] In Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C189 del 4.6.2018.

[4] «Ai fini della presente raccomandazione le competenze sono definite come una combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti, in cui: la conoscenza si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento; per abilità si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi ed applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati; gli atteggiamenti descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire a idee, persone o situazioni.»

[5] In Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C189 del 4.6.2018.

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