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diretto da Romano Luperini

CLIL: un grande equivoco

 Il presente articolo è una riflessione su metodi didattici per l’insegnamento delle lingue straniere, in particolare si mettono a confronto il CBI – Content Based Instruction e il CLIL Content Language Integrated Learning. Si tratta di una traduzione ridotta di un saggio originariamente scritto in inglese: potete trovare qui l’originale. A questo link invece potete trovare lo stesso saggio interamente tradotto in italiano.

IL DIBATTITO TRA DIDATTICA TRADIZIONALE, CBI E CLIL  NELL’INSEGNAMENTO DELLE LINGUE STRANIERE

La ricerca di metodi didattici efficaci nell’insegnamento delle lingue non è così recente come si potrebbe pensare e senza scomodare troppi studiosi del passato è sufficiente ricordare che – tra i secoli  XVI e XVII –  prima il ceco A. Comenius (1592-1670) studiò vari metodi per insegnare le lingue straniere e, in seguito, lo slovacco M. Bel (1684-1749) tentò di motivare gli studenti di lingue facendo leva sul loro contesto culturale usando testi di storia, geografia e diritto per ampliarne il lessico durante le sue lezioni[1].

Tuttavia, fino ai primi anni ’60 del secolo scorso l’insegnamento delle lingue straniere si focalizzava ancora essenzialmente sullo sviluppo delle quattro abilità: listening, speaking, reading e writing, quindi puntando su pronuncia, grammatica e lessico, e privilegiando, come sostiene Collier, “un aspetto bidimensionale relativamente semplice”[2], perché lo scopo perseguito dai docenti era di far scrivere agli studenti testi perfetti, tralasciando la comprensione della lingua parlata e la conversazione, considerati meno importanti[3].

È intorno alla fine degli anni ’60 e ad inizio dei ‘70 che lo studio delle lingue straniere inizia a porsi scopi ben diversi rispetto al passato e più consoni a quelle che ancora oggi sono le sfide da affrontare. Proprio in questo periodo nuovi studi individuano altri campi e iniziano a “descrivere la necessità di sviluppare competenze comunicative tra le quali: ‘l’adeguatezza socio-linguistica, strategie del discorso nello schema di pensiero per un uso orale e scritto (…) una terza dimensione della lingua che significa anche l’acquisizione di conoscenze sia  per quanto concerne la struttura (forma orale e scritta) di ciascuna unità linguistica significativa, sia per quanto riguarda la conoscenza del significato associato a quella struttura (semantica)’ e si indicano ulteriori dimensioni linguistiche, come ‘i registri specifici (consapevolezza metalinguistica)’ o contesti in cui la lingua viene usata”. Inoltre “per ogni anno di maturità acquisita e per ogni anno di esperienza di vita si aggiungono ulteriori dimensioni di complessità allo sviluppo della lingua”: un processo di sviluppo costante arricchito progressivamente dall’esperienza e dalla crescita personale[4].

È dunque in quest’ottica, anche temporale, che l’insegnamento tradizionale delle lingue si contrappone al Content Based Instruction  (d’ora in poi CBI), ovvero l’immersione bilingue –. La crisi del metodo tradizionale nell’insegnamento delle lingue straniere e lo sviluppo di metodologie alternative più rispondenti alle nuove esigenze di docenti e studenti la si può far risalire al 1965 allorché un gruppo di genitori anglofoni della regione canadese del Québec fece in modo che a scuola fosse applicato un metodo didattico bilingue in francese e inglese. È significativo notare che in molti studi sul Content Language Integrated Learning (d’ora in poi CLIL) si cita questo caso a sostegno della causa, mentre si tratta dell’esempio perfetto per confutarne la validità[5]. Si trattava infatti di una precisa scelta politica al fine di favorire l’unità culturale in un paese con una forte tradizione sia di lingua francese che inglese[6]; pertanto l’insegnamento bilingue nelle scuole canadesi serviva proprio ad applicare ciò che già si verificava nella realtà sociale, specie nella regione del Québec, dove l’esposizione all’inglese nelle aree urbane era già ampiamente diffusa (probabilmente lo era molto meno nelle zone rurali, come dichiarato dal canadese di lingua inglese nell’articolo di Nieminen, il quale dubita che gli studenti di zone remote del suo paese avessero simili opportunità a scuola, e specialmente negli anni ‘60[7]. La parola chiave è insomma esposizione alla lingua.

È altresì vero che il bilinguismo a scuola è stato introdotto, a volte, per mantenere viva un’identità linguistica e culturale, come accadde nel 1983 in specifiche zone geografiche isolate della Catalogna dove il catalano non era molto diffuso. Bisogna ricordare che durante la dittatura di Franco lo spagnolo era l’unica lingua consentita e proprio per ragioni politiche opposte, ovvero la volontà di sopprimere qualsiasi forma residua di identità linguistica e culturale diversa da quella spagnola castigliana[8].

COS’È  DUNQUE IL CLIL?

Dunque qual è la reale differenza tra ciò che va sotto l’acronimo di CLIL, cioè l’insegnamento, parziale o totale, di una disciplina curriculare a scelta attraverso una lingua straniera e il CBI o l’immersione bilingue che, come abbiamo visto, fu applicato in alcune scuole del Canada a metà anni ‘60?

Nel 1999 Coyle sviluppò un sistema concettuale olistico da applicare al CLIL, il cosiddetto sistema delle 4 C: Contenuto (disciplina curriculare), Comunicazione (lingua da imparare e utilizzare), Conoscenza (imparare e pensare) e Cultura (consapevolezza sociale degli altri e di se stessi). Ma già Marsh, nel 1994, aveva coniato l’acronimo in questione[9]: secondo questo metodo gli insegnanti CLIL devono saper svolgere un doppio ruolo rispetto a quello tradizionale, assicurandosi che gli studenti apprendano la lingua straniera e capiscano il contenuto insegnato attraverso di essa[10].

Fino ad oggi però, e nonostante gli anni di studio e sperimentazione sia del CLIL sia del CBI, di fatto non si è pervenuti ad un impianto strutturale chiaro. Al contrario, per quanto riguarda proprio il CLIL, esso può essere applicato durante le lezioni in classe in tanti modi diversi; in alcuni casi, le lezioni vengono svolte esclusivamente nella lingua oggetto di studio (L2); mentre in altri, a seconda della complessità dei contenuti impartiti, le lezioni possono essere svolte in entrambe le lingue (L1/L2) perché è importante che gli studenti imparino la terminologia specifica dei contenuti di riferimento anche nella loro madre-lingua ed è altresì fondamentale accertarsi che afferrino il significato concreto dei contenuti trasmessi a prescindere dalla lingua usata[11]. In uno studio di caso spagnolo, infatti, oltre alla presenza in classe del docente CLIL, vi è anche quella del docente di madrelingua[12].

È lecito dunque sostenere che quelle fin qui elencate – CBI e/o immersione bilingue, ma ve ne sono anche molte altre –[13], sono tutte etichette diverse che si possono raggruppare sotto il termine onnicomprensivo di CLIL. Inoltre, secondo Dalton-Puffer, “sia che un concreto programma didattico venga definito immersione bilingue, CBI o CLIL spesso dipende più dal concetto culturale e politico di riferimento che non dalle reali caratteristiche del programma stesso”[14].

IL LIBRO BIANCO DELL’UNIONE EUROPEA DEL 1995 E LA SUA TENDENZIOSITÀ POLITICA

A proposito del CLIL e del suo concetto politico di riferimento non si può ignorare il Libro Bianco sull’istruzione e la formazione del 1995, in cui sono pubblicate le conclusioni dei paesi membri dell’Unione Europea durante il Consiglio Europeo tenuto a Cannes. Sin dalla premessa al documento si afferma che: “Questo investimento nel sapere gioca un ruolo essenziale ai fini dell’occupazione, della competitività e della coesione sociale. (…)  le politiche di formazione e apprendistato che sono fondamentali per migliorare l’occupabilità e la competitività, vanno rafforzate specialmente attraverso la formazione continua”[15]. Colpisce  immediatamente l’enfasi posta al legame e alla cooperazione tra i settori dell’istruzione di tutti i paesi membri e i rispettivi settori industriali, in tal modo evidenziando e auspicando che l’istruzione diventi funzionale ai bisogni specifici dell’industria e delle imprese in generale.

L’istruzione, dunque, non è più legata all’idea tradizionale di Bildung che “intende la conoscenza come mezzo attraverso cui pervenire all’emancipazione, all’indipendenza, alla consapevolezza del sé e ad alla maturità”[16], ma è piuttosto intesa come una qualifica imprescindibile per l’occupazione.

È allora in questo quadro generale che bisogna analizzare gli sforzi fatti dall’UE per sviluppare il multilinguismo. E non sfugge nemmeno che la padronanza linguistica incoraggiata dall’UE abbia lo scopo di favorire le abilità individuali affinché diventino una risorsa per il futuro datore di lavoro e non come arricchimento individuale: “in modo da sviluppare la padronanza linguistica in tre lingue comunitarie è auspicabile che si cominci a studiare le lingue straniere in età pre-scolare. Si ritiene essenziale che questi insegnamenti vengano istituiti sistematicamente a partire dall’istruzione primaria, in modo da avviare l’apprendimento di una seconda lingua straniera comunitaria nella scuola secondaria. Si potrebbe anche sostenere che gli studenti della scuola secondaria studino certe discipline nella prima lingua straniera appresa.”[17]

Da un punto di vista prettamente politico questa è la prima volta che il CLIL viene citato, anche se implicitamente, e con lo scopo di omologare tutti i sistemi di istruzione dell’UE, a prescindere dalle differenze tra i paesi membri e dai diversi retroterra culturali e storici. L’identità culturale di un paese deve essere sacrificata in virtù del vantaggio esclusivo degli imprenditori europei, i cui interessi possono essere tutelati solo facendo sì che in tutto il continente si sviluppi un’unica lingua.

I VANTAGGI DEL CLIL

È risaputo che in contesti domestici bilingui i bambini passano spontaneamente dalla lingua dei genitori a quella esterna senza grandi difficoltà, grazie alla loro spontanea capacità di assimilare: i figli di genitori immigrati ne sono un esempio palese. Inoltre svariati studi scientifici[18] certificano che i bambini bilingue ottengono a scuola risultati cognitivi migliori, sviluppando molte più abilità rispetto ai bambini che parlano solo la loro lingua madre. Se ne deduce che l’insegnamento di una lingua straniera in un contesto scolastico può ottenere risultati maggiori se impartito agli alunni più piccoli con metodi didattici che stimolino una sfida ludica. In casi simili il metodo adottato è quello “dell’acquisizione della lingua”, cioè un’ampia gamma di esposizione informale alla lingua oggetto di studio, simile a quella che consente l’apprendimento della propria lingua madre; diventa meno importante l’“apprendimento della lingua”[19], che attiene all’insegnamento formale e che richiede, da parte dello studente, un serio sforzo cognitivo. La parola chiave è esposizione alla lingua.

I fautori del CLIL sostengono che insegnare contenuti non linguistici attraverso “l’acquisizione della lingua” possa contribuire a ricreare un ambiente in cui l’apprendimento può apparire naturale sia per quanto riguarda il contenuto specifico sia per quanto riguarda l’apprendimento della lingua. Essi sostengono che, concentrandosi sul contenuto da imparare, gli studenti non avvertirebbero l’ansia di prestazione che deriva dallo studio di una lingua straniera; in tal modo si ricreerebbe quella sensazione infantile dell’imparare giocando senza sforzo. L’altro aspetto da questi sottolineato come positivo è che il CLIL venga adottato da docenti di discipline non linguistiche (d’ora in poi DNL) che abbiano ricevuto un’adeguata formazione nella lingua straniera, mentre i docenti di lingue dovrebbero solo fornire il sostegno strettamente necessario alla produzione orale in lingua dei discenti, senza evidenziare troppo la correttezza grammaticale e sintattica.

GLI SVANTAGGI DEL CLIL

Ma i vantaggi, analizzati da un’altra prospettiva, diventano svantaggi, come è stato messo bene in luce dal dibattito pubblicato sul “Guardian” nel 2005, che ha visto partecipare la MacMillan edizioni e OnestopEnglish[20].

Il primo di questi svantaggi è che, contrariamente a quanto sostenuto dai fautori del CLIL, secondo cui  questa didattica favorirebbe un ambiente di apprendimento rilassato e spontaneo, esso in realtà scatena, sia nei discenti che nei docenti, un livello di frustrazione che ne inficia complessivamente il successo. Infatti, come dichiarato nelle interviste del caso di studio olandese, gli studenti hanno evitato di porre domande o di chiedere ulteriori chiarimenti durante le lezioni per paura di essere fraintesi o perché non si sentivano abbastanza sicuri nell’esposizione orale.[21] Anche i docenti hanno manifestato le medesime perplessità, dichiarando che la limitata conoscenza della lingua e del lessico specifico impediva loro di svolgere delle lezioni adeguate per contenuto o anche semplicemente di rispondere alle domande[22].

Ma oltre ad essere causa di stress e confusione per tutti i soggetti coinvolti, il CLIL ha un altro svantaggio: l’apprendimento dei contenuti delle DNL è di fatto ben al di sotto della media, soprattutto in virtù del fatto che tali contenuti vengono impartiti attraverso moduli che li riducono e semplificano sensibilmente; oltretutto il CLIL non migliora nemmeno l’apprendimento della lingua, bensì lo ostacola, cicatrizzando gli errori anziché correggerli.[23]

Un altro svantaggio è collegato alla valutazione: si deve valutare l’apprendimento dei contenuti delle DNL (in L1) oppure i risultati nell’acquisizione della lingua straniera (in L2)? E ancora, gli studenti devono essere valutati dai docenti di DNL i quali, per loro stessa ammissione, non possiedono la padronanza necessaria in lingua straniera? Su questo aspetto controverso sia Langé che Marsh – i due esperti intervenuti a favore del CLIL durante il succitato dibattito – furono concordi nel sostenere che tale decisione spettava ai singoli paesi sulla base di ciò che ritenevano più importante. Nello studio olandese citato si scelse di valutare gli studenti in olandese per quanto riguardava i contenuti delle DNL, mentre i docenti di lingua valutarono gli studenti durante i loro corsi curriculari.[24]

L’ultimo aspetto su cui riflettere è se il CLIL sia selettivo oppure no. Al riguardo uno studio spagnolo e uno tedesco evidenziano come gli studenti che partecipano ai corsi CLIL provengano da classi sociali medio-alte. La ricerca spagnola arriva a questa conclusione a partire da dati statistici circa il ceto di appartenenza degli studenti; quella tedesca invece la desume dai dati sulla loro padronanza linguistica. Infatti in Germania gli studenti possono partecipare ai corsi CLIL solo se già in possesso di una buona conoscenza di base della lingua, caratteristica tipica delle classi sociali più abbienti. La provenienza sociale spiegherebbe anche perché essi si mostrino particolarmente motivati, complice anche il fatto che il CLIL è presentato come un metodo di apprendimento della lingua molto efficace e che questi studenti godono del forte sostegno dei genitori, per i quali il multilinguismo dei figli è una risorsa importante ai fini di un futuro professionale di alto livello.[25]

Sebbene, attualmente, non ci siano ancora prove inconfutabili che indichino il CLIL come intrinsecamente selettivo, vale comunque la pena notare che in molti paesi – soprattutto quelli caratterizzati dal Welfare State – il sistema di pubblica istruzione è concepito in modo da assicurare un buon livello di istruzione a tutti gli studenti, a prescindere dall’ambiente socio-economico di provenienza, e che un metodo didattico altamente selettivo sarebbe certamente in contrasto con l’obiettivo di offrire a tutti pari opportunità.[26]

IL CBI NELLA SCUOLA ITALIANA 

A differenza di quanto accade in tanti paesi dell’UE e non, l’insegnamento delle lingue straniere nelle scuole italiane non si focalizza principalmente sullo studio della grammatica e della sintassi. Anzi, per quanto riguarda la scuola primaria, esso viene condotto con metodi informali enfatizzando l’approccio comunicativo; è invece durante i tre anni della secondaria di primo grado e nel primo biennio della secondaria di secondo grado che l’insegnamento delle lingue straniere pone l’accento sullo studio e la padronanza della grammatica e della sintassi. Tuttavia, dal secondo biennio e durante l’ultimo anno di scuola superiore, la lingua straniera viene impartita ponendo la necessaria enfasi sulla microlingua specifica di ciascun indirizzo di studio e delle discipline caratterizzanti, attraverso moduli specifici e metodologie che fanno ampio uso di parole-chiavi chiare, scaffolding[27], brevi riassunti per facilitare l’apprendimento di nuovo lessico, esercizi di riempimento di spazi vuoti (cloze), solo per citarne alcuni.

È però importante sottolineare che gli studenti italiani sono sottoposti anche a valutazioni orali – un’altra particolarità rispetto a tanti altri sistemi di istruzione che invece prevedono solo valutazioni scritte. Questa pratica orale rappresenta un esercizio di estrema importanza per la padronanza linguistica, perché gli studenti devono curare non solo l’esposizione dei contenuti, ma anche la scelta della terminologia e della sintassi adatte all’argomento; devono inoltre capire le domande del docente e rispondere di conseguenza. La pratica italiana dell’interrogazione orale richiede quindi un ragionamento e una rielaborazione personale di contenuti anche complessi e buone capacità di comprensione della lingua, al contrario del CLIL, che pone l’accento esclusivamente sull’apprendimento del contenuto, trascurando la padronanza linguistica. Il CBI, così applicato, garantisce invece la possibilità di unire sia l’apprendimento dei contenuti sia l’acquisizione linguistica, senza che venga trascurata la seconda per favorire il primo.

MULTILINGUISMO VS EFFICIENZA COSTI-BENEFICI 

Stupisce che, nonostante l’UE abbia puntato tutte le proprie forze sull’adozione del CLIL nell’insegnamento delle lingue straniere in tutti i paesi membri, i funzionari UE non abbiano mai nemmeno preso in considerazione la possibilità di estendere altrove il CBI usato in Italia. Ciò forse è dovuto all’incapacità dei politici italiani di proporre in modo credibile questo approccio, o piuttosto è dovuto alla loro incompetenza in materia di istruzione.

Allo stesso tempo sorge il dubbio che il CLIL abbia il fine ultimo di risparmiare sulla spesa pubblica, eliminando progressivamente i docenti di lingua straniere e sostituendoli con quelli di DNL, come lasciano intendere sia Marsh che Langé nel dibattito sul “Guardian”. Proprio la dott.ssa Langé, in quella sede, riferiva che l’ambizione del governo italiano era di avere, entro 15 anni, un numero sufficiente di docenti di DNL con un’adeguata formazione in svariate lingue europee. Fino ad oggi però questa aspettativa è stata ampiamente disattesa per mancanza di fondi, ma un piano del genere sarebbe certamente in linea con l’efficienza in termini di costi-benefici prospettata da Marsh durante lo stesso dibattito.

Chi ne pagherebbe le conseguenze? I docenti olandesi intervistati, insieme a quelli finlandesi e tedeschi, hanno fatto notare che il loro coinvolgimento nel CLIL ha comportato un aggravio di lavoro considerevole. Infatti questo approccio didattico richiede una notevole quantità di tempo per preparare le lezioni nella lingua straniera oggetto di insegnamento e per la preparazione del materiale didattico da distribuire agli studenti. Lavoro e tempo in più che non vengono né riconosciuti né retribuiti[28]. Gli altri a pagare sarebbero i docenti di lingue straniere.

UNA MODESTA PROPOSTA

Non il CLIL, ma il CBI adottato dai docenti di lingua straniera è il miglior modo per favorire un reale sviluppo del multilinguismo, come ho cercato di mostrare. Solo la competenza e le conoscenze dei docenti di lingua straniera sono in grado di veicolare contemporaneamente un’approfondita conoscenza della lingua e contenuti di vario tipo, evitando superficialità e inadeguatezze.

È necessario però sottolineare che si può concretamente assicurare il successo di questo approccio solo attraverso una massiccia esposizione alla lingua studiata. Ma che tipo di esposizione? Se lo studente ha acquisito le conoscenze di base in grammatica e sintassi, il miglior modo per padroneggiare la lingua è di metterla in pratica nelle condizioni ottimali, andando in uno dei paesi dove si parla la lingua oggetto di studio. In questo senso il progetto Erasmus, in passato, ha dato risultati ineguagliabili. 

Di fatto è solo se ci si sente costretti dalle circostanze che si supera la naturale resistenza all’uso di una lingua straniera: quando farvi ricorso è l’unico strumento per comunicare con gli altri, si ignorerà il desiderio di eccellere e si focalizzeranno invece tutti gli sforzi sulla necessità di esprimersi. È questo l’unico ambiente spontaneo per l’apprendimento: l’esposizione massiccia alla lingua straniera ci metterà peraltro in condizione di abituare l’orecchio al suo suono specifico, in modo da riconoscerlo immediatamente, attivando contemporaneamente, anche solo a livello inconscio, quanto si è appreso della lingua oggetto di studio.

Infine, imparare a padroneggiare una lingua richiede tempo, in quanto le abilità coinvolte sono diverse. Ciascuna di essa necessita di un graduale sviluppo, specie se la si impara a scuola e non in un contesto famigliare e informale; ma anche in questo caso, sebbene possa risultare facile imparare a parlare una lingua, imparare a leggere e scrivere richiede comunque un certo sforzo e una certa intenzionalità, esattamente come accade quando impariamo i primi rudimenti della nostra lingua madre in età infantile.

Ricapitolando: massiccia esposizione alla lingua oggetto di studio e mobilità di studenti e docenti nel continente per migliorare e arricchire le competenze e le abilità linguistiche. Solo grazie all’esercizio costante o almeno periodico, infatti, si possono aggiornare e mantenere vive quelle abilità che, peraltro, servirebbero ad assicurare una continua evoluzione culturale che sola può favorire quella coesione sociale e culturale tra i cittadini così fortemente auspicata dagli alti funzionari dell’UE. Non solo: l’applicazione del CBI avrebbe anche il merito, nel lungo termine, di favorire un migliore rapporto costi-benefici, coniugando risparmio sulla spesa e efficacia in termini di acquisizione e di padronanza linguistica.


[1] Hanesová D., History of CLIL, https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/06-07-2017/hanesova_history_of_clil.pdf DOI:10.1.17846/CLIL.2015.7-16, in Pokrivčáková, S. et al., CLIL in Foreign Language Education: e-textbook for foreign language teachers, Nitra: Constantine the Philosopher University. (2015), ISBN 978-80-558-08895, p. 8.

[2] Collier V. P. , http://www.thomasandcollier.com/assets/canadian-bilingual-immersion–.pdf, George Mason University, 1991, pp. 87-97.

[3] Cfr., per la Finlandia, Nieminen K. – Development Project Report, July 2016, in  “Aspects of Learning Foreign Languages and Learning WITH Foreign Languages: Language Immersion and CLIL, https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/21-01-2014/nieminen_language_immersion_and_clil.pdf

[4] Genesee F., Learning Through Two Languages: Studies of Immersion and Bilingual Education, Newbury House, Cambridge MA, 1987, pp. vii-213, in Virginia P. Collier, op. cit.

[5] Statics Canada, National Statistical Office: https://www.statcan.gc.ca/pub/11-630-x/11-630-x2016001-eng.htm

[6] Collier V. P., op. cit.

[7] Nieminen K. , op. cit.

[8] Ibid.

[9] Hasenová D., op. cit., p. 10.

[10] Coyle D., Hood P., Marsh D., CLIL: Content and Language Integrated Learning. Cambridge University Press, Cambridge, 2010.

[11] Van Kampen E., Admiraal W.,  Berry A., “Content and language integrated learning in the Netherlands: teachers’ self-reported pedagogical practices”, in «International Journal of Bilingual Education and Bilingualism», 2018, volume 21, numero 2.

[12] Bruton A.,  “Is CLIL so beneficial, or just selective? Re-evaluating some of the research”, Universidad de Sevilla.

[13] Hasenová D., op. cit.

[14] Dalton-Puffer C., Content – and – Language Integrated Learning: From Practice to Principles?, in: Annual Review of Applied Linguistics (2011), 31.182-204 © Cambridge University Press, 2011, 0267-1905/11 $ 16.00 DOI:1017/S026719051100092,  p. 183.

[15] WHITE PAPER ON EDUCATION AND TRAINING – Teaching and Learning –Towards the Learning Society

[16] Uljens M., “The hidden curriculum of PISA – the promotion of neo-liberal policy by educational assessment”, 2007, p. 7.

[17] http://europa.eu/documents/comm/white_papers/pdf/com95_590_en.pdf, p. 47 (la traduzione della citazione dall’inglese all’italiano è dell’autore).

[18] Vince G.,  “Why being bilingual works wonders for your brain”, «The Guardian», 7 agosto 2016.

[19] “The CLIL debate articles”, in 2005 «The Guardian» ha ospitato un dibattito in collaborazione con la MacMillan Editions and OneStopEnglish, gli esperti invitati al dibattito furono: David Graddol, David Marsh and Gisella Langé.

[20] Van Kampen E., Admiraal W.,  Berry A., op. cit.; e Apsel C.,  ”Coping with CLIL: Dropouts from CLIL Streams in Germany”, – Università di Amburgo (Germania), in «International CLIL Research Journal», 2012, Vol. 1.

[21] Van Kampen E., Admiraal W.,  Berry A., op. cit.

[22] Ibid.

[23] Bruton A., op. cit.; e Graddol D.,  “Spoken Everywhere but at what cost?”, in “The CLIL Debate” ospitato su  «The Guardian» , 2005, op.cit.

[24] “The CLIL debate, questions and answers”., op. cit.

[25] Bruton A., op. cit.; e C. Aspel, op. cit.

[26] Bruton A., op. cit.

[27] https://www.edglossary.org/scaffolding/

[28] Van Kampen E., Admiraal W., Berry A. op. cit.; Bonnet A.,  “Towards an Evidence Base CLIL – How to Integrate Qualitative and Quantitative as well as Process, Product and Participant Perspectives in CLIL Research” –  Università di Amburgo -, in «International CLIL Research Journal», 2012, Vol. 1; Nieminen K. op. cit.

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