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diretto da Romano Luperini

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La “maturità” della scuola. Un secolo di esami di Stato tra scuola, letteratura, politica, e società / 4

Pubblichiamo la quarta parte di Un secolo di esami di Stato tra scuola, letteratura, politica, e società, un saggio sulla storia dell’esame di Stato dalla “riforma Gentile” ai nostri giorni scritto da Mario Ambel e Annamaria Palmieri. Ringraziamo vivamente l’autore e l’autrice che hanno voluto destinare in anteprima ai lettori di LN questo lavoro, importante per ampiezza, spessore, implicazioni e spunti di riflessione. La prima parte si può leggere qui, la seconda qui, la terza qui.

Parte quarta. Tra ambiguità rinnovatrici e istinto alla conservazione (più o meno “reazionaria”) (1997-2008)

8. Gli ultimi cambiamenti introdotti

Nel successivo primo ventennio del nuovo millennio, che ci conduce fino a oggi, a ogni cambio di Ministro (e non sono pochi), si sono susseguiti piccoli aggiustamenti apparentemente non sostanziali, fino alle più consistenti novità avviate dalla legge della cosiddetta “Buona scuola” del centrosinistra e poi applicate dal primo anno di lavoro del Governo gialloverde del “cambiamento”.

Nella scuola del I ciclo, come ridefinita dalla Riforma Moratti, colpisce però, per l’influenza indiretta che ha sull’argomento di cui ci stiamo occupando, il ripristino della valutazione attraverso il voto numerico, sin dalla scuola primaria: ritorno al voto che, da un lato, pone fine all’ambiguità con cui la valutazione processuale e formativa, attraverso giudizi e schede, introdotta dalla L.517/1977, era stata nei fatti svuotata di senso dalle prassi burocratiche, dall’altro svela una volontà di “classificazione” meritocratica e di ritorno al passato che assume e fa proprie, sotto il Ministero Gelmini, le posizioni conservatrici di chi aveva visto nella battaglia condotta da Don Milani contro la scuola selettiva l’inizio di un decadimento della qualità. Decadenza a cui solo il “rigore” asettico del numero, associato all’immancabile richiamo alle fantomatiche “serietà degli studi” e autorità del docente, poteva, anche secondo illustri commentatori e narratori, porre argine.1 Non diversamente viene vissuto come oggettivo, finalmente, l’utilizzo delle prove strutturate e l’introduzione dei test Invalsi, cui non destiniamo in questa sede attenzione, se non per dire che anche le prove standardizzate sono state in questi anni cartina di tornasole delle contraddizioni del sistema e delle grandi disparità che ancora separano, nelle diverse aree del paese, scuola da scuola, e all’interno degli stessi luoghi scolastici, alunno da alunno in base alle provenienze sociali.

Va detto che nella pratica della scuola le due anime, che qui per semplificazione potremmo definire progressista e restauratrice, si erano combattute e scontrate quotidianamente, e la letteratura se ne fa spesso specchio, con toni a volte seri, a volte ironici, raccontando delle tecniche di valutazione e/o di verifica in uso nella scuola reale con un sottofondo di mestizia non celata:

“Hai riferito alla tua insegnante di Inglese che ti avevo “messo 6+”. Ho avuto un diverbio con lei che mi ha in pratica accusato di regalarti i voti. Dal momento che non sai scrivere nemmeno una frase in maniera corretta, dal suo punto di vista un voto sufficiente in Italiano è un’astrusità. Lei non ha tutti i torti, ma io ho le mie ragioni. Non l’ho convinta.

Ti ho “messo 6+” come la scorsa settimana ti ho messo 2 in una verifica di grammatica. Una di quelle prove strutturate che si somministrano, come le medicine. E che non valgono molto, in realtà. Servono però a “mettere i puntini sulle i”, a premiare il ragazzo diligente e a punire quello svogliato. La verifica è stata il mio “bastone”. Il voto di questa mattina la mia “carota”. Io so che è un sistema che funziona. Me lo ha insegnato l’esperienza. Il 6+ ti ha fatto sentire felice, tanto da andare, appunto, a raccontarlo. So che alla prossima verifica ci terrai a non deludermi, a dimostrarmi che la sufficienza che hai avuto oggi non era regalata.

Non lo era infatti. Nel senso che è stata un atto di fiducia nei tuoi confronti. Un dirti “dai, che ce la fai”. Due giorni fa abbiamo discusso sul valore della maggiore età, su che cosa significasse essere maggiorenni. Ho fatto il nome di Kant, e in cattedra ho lasciato la fotocopia di un passo del suo saggio intitolato Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?.

L’hai presa tu, l’hai letta. Ti avrei dato 10, non 6+”.2

Altro tema, stessa amarezza in questo passo di Marilena Lucente:

“Due sere fa, ore ventidue e trenta, mi telefona un amico, fa il manager di un’azienda farmaceutica.

“Sono stato tutta la sera su Internet a cercare “gruppo nominale”. Google mi dava duemila risultati ma non ho capito niente. Scusa l’ora. Mi spieghi cos’è.”

“Dipende, a che ti serve?”

“No, la bambina deve sottolineare in un brano il gruppo nominale. Io non so cos’è, mia moglie nemmeno, tu sei la quinta persona a cui chiedo.”

Francesca, la figlia, fa la terza elementare. Il gruppo nominale è il soggetto della frase. Un esercizio da niente. Che ha messo sottosopra un’intera famiglia. Lo facciamo assieme, al telefono: io e suo padre. Chissà se Francesca domani, a scuola, riuscirà a dimostrare di aver capito l’esercizio svolto nottetempo.

Se lo fa, bene, il bravissima ce lo dividiamo io e il papà, ma c’è da sperare che sbagli. Altrimenti, da domani in poi, per ogni compito aspetterà che suo padre torni dal lavoro, che l’aiuti a fare gli esercizi. Perché lei da sola non ci riesce”.3

E ancora, sul valore dell’esame, Paolo Battimiello:

“La storia di Federica. Una famiglia numerosa, cinque figli e una madre a occuparsene. Il padre, da tempo, non c’è più. Federica. Ha già perso molti anni di scuola e per questo i suoi professori decidono di aiutarla e, nonostante le lacune di profitto e le numerose assenze, di presentarla all’esame. Per questi ragazzi l’esame di terza media è il cursus honorum di un’intera esistenza, l’ultimo confronto con la scuola prima di cominciare la vita, quella vera, in strada o in famiglia. Per questo è un traguardo importante per accedere a un qualunque, anche piccolo, lavoro, un diploma senza il quale, oggi, non è possibile nemmeno prendere la patente di guida. La mattina dell’esame, Federica non si presenta a scuola. Alle ripetute chiamate a casa, alla fine risponde la madre che interrogata sull’assenza della figlia risponde: “Io sto sola con il bambino piccolo malato e tengo bisogno di una mano…Federica stamattina nun po’ venì…L’esame lo fa l’anno che vene…”. Come se un anno fosse uguale all’altro, come il ritardo di un treno che, forse, si può anche perdere”.4

Nella scuola superiore, intanto, si procede per aggiustamenti. Alcuni di questi aggiustamenti hanno riguardato nel tempo la composizione delle Commissioni d’esame, sulla quale incidono assai più questioni di spesa che non di effettiva natura culturale e didattica. Già nel 1994 l’allora Ministro Francesco d’Onofrio aveva adottato una prima riduzione di spesa, decidendo che i commissari esterni dovessero provenire dalla stessa provincia o regione. Con il ministero Berlinguer i commissari divengono metà interni e metà esterni: a questa composizione si è tornati nel 2007 (Ministro Giuseppe Fioroni), dopo che nel 2001 la Ministra Moratti aveva varato la commissione tutta interna con il solo presidente esterno a garanzia. La composizione della Commissione ha ovvie ricadute nella correzione delle prove, nella conduzione del colloquio orale, nella stesura della “terza prova” (almeno fin ch’è rimasta), nella quantificazione dell’esito finale, ma questi aspetti sono rimasti più nella cronaca minore del lavoro di ogni Commissione che nel dibattito pubblico, assai più preoccupato che gli esami non costassero troppo.

Per quanto riguarda invece l’esame vero e proprio, la legge n. 107/2015 e il successivo decreto legislativo attuativo n. 62/2017, sono intervenuti sull’esame sia di I che di II grado. Nella scuola secondaria di I grado le novità hanno riguardato soprattutto la formulazione delle tipologie di scrittura per la prima prova e alcune novità per il colloquio orale (più presunte che reali).

Nell’esame di Stato finale le novità sono invece più consistenti e riguardano:

  • l’ammissione all’esame anche per chi ha una sola insufficienza;

  • l’abolizione della terza prova scritta;

  • i cambiamenti relativi alle tipologie di scrittura nella prima prova;

  • i cambiamenti relativi al colloquio multidisciplinare;

  • l’emanazione, da parte del Ministero, di “Quadri di riferimento nazionali per la redazione, lo svolgimento e la valutazione delle prove”, per cui vengono fornite esplicite griglie per la correzione e l’attribuzione dei punteggi;

  • i crediti accumulabili nell’ultimo triennio, che passano da 25 a 40, il che significa un ampliamento del peso del percorso rispetto all’esame

Inoltre è opportuno segnalare alcuni aspetti non secondari che gettano ombre di frettolosa improvvisazione sulla natura dell’esame, ancorché relative a questioni di estrema e discussa importanza.

Ci si riferisce anzitutto alle notizie contraddittorie e poi al rinvio della presenza all’interno dell’esame delle prove Invalsi (che dovevano sostituire l’abolita terza prova). Già nella scuola secondaria di I grado le prove Invalsi erano state prima introdotte (non senza parecchie riserve da parte di molti docenti e associazioni professionali) e poi finalmente escluse. Inoltre, all’interno del colloquio suscita non poche riserve, la presenza esplicita sia dell’“Alternanza Scuola Lavoro” (che nel frattempo però, col governo del “cambiamento” è oggetto di un ripensamento, almeno di tipo nominalistico…)5 sia di “Cittadinanza e Costituzione”6 (mentre nel frattempo, per altro, ci si appresta a restaurare l’ora di “educazione civica”). Si tratta di questioni assai controverse, che testimoniano la presenza, all’interno dell’esame, di innovazioni di chiara impronta ministeriale, nonostante siano invise a una parte della scuola e certamente non ancora consolidate nell’impostazione culturale e nella didattica.

È uno dei tanti segnali della fragilità e delle contraddizioni del progetto culturale non solo dell’esame finale, ma dell’intero processo formativo della scuola secondaria di II grado, che attiene a questioni assai generali, ma che rendono di fatto l’esame assai manipolabile. E in definitiva poco autorevole e sempre meno credibile.

Su tutto l’impianto di cambiamenti, infine, grava il fatto che si sono via via concretizzati fra novembre e febbraio dell’anno stesso in cui entrano in vigore. Anche se questa tempistica, come abbiamo visto, non è certo una novità: essa si aggancia a una procedura prescrittiva che di fatto rischia di delegittimare sensibilmente l’operato della scuola e dei processi di insegnamento/ apprendimento realmente esperiti, sia per quanto riguarda prove introdotte senza che siano state precedute da reali apprendimenti adeguati, sia per quanto riguarda le simulazioni di prove messe in atto dal Ministero tra febbraio e aprile, che lasciano comunque una sensazione di improvvisazione e di posticcio.

L’esame rischia sempre di più di assomigliare a quel rito sostanzialmente inutile spesso raccontato da narrativa e cinematografia, nel quale contano il più o meno credibile accompagnamento mediatico e “social”, le ansie da prestazione prima amplificate e poi puntualmente smontate, le prove svolte e i consigli che affastellano i siti dedicati al superamento della prova, i giudizi del giorno dopo sulla natura delle prove da parte di esperti spesso lontanissimi dalla scuola reale che non l’effettivo e sostanziale rapporto fra progetto culturale e momento conclusivo di un iter di studi che ha impegnato ragazze e ragazze per 13 anni, 16 se hanno frequentato anche la scuola del’infanzia.

9. Le occasioni perdute e le responsabilità della scuola

Si ha la sensazione che gli ultimi cambiamenti introdotti siano la conferma dello stato confusionale e contraddittorio che ha caratterizzato la politica e la cultura scolastica del ventennio 1997-2017.

Purtroppo, in questo processo involutivo non mancano le responsabilità della scuola. Per individuarne una possibile chiave interpretativa, è necessario risalire ai precedenti processi innovativi innescati dalla duplice riforma degli esami, della “media” nel 1982 e dell’esame di Stato nel 1998:

  1. l’allontanamento della prova scritta dalla formula più tradizionale del “tema” e l’apertura a forme di elaborazione scritta più coerenti con una efficace educazione linguistica democratica;

  2. la dimensione pluridisciplinare (o multisciplinare) del colloquio orale;

  3. le maggior responsabilità delle scuole e il raccordo con le attività realmente attuate nel curricolo scolastico.

Queste diverse tendenze innovative si sarebbero dovute realizzare in scelte concrete, che purtroppo sono state spesso disattese dalla scuola o applicate con fatica e contraddizioni.

a) Per quanto riguarda la prova scritta di italiano, il processo di rinnovamento delle pratiche di scrittura nella scuola del primo e del secondo ciclo, messo in moto alla fine degli anni Settanta, ha avuto caratteristiche ed esiti assai diversi. Nella scuola secondaria di I grado, il rinnovamento didattico ha contribuito profondamente a incrinare e spesso a superare la “dittatura del tema” e a introdurre tipologie testuali diverse, relazioni con le situazioni comunicative reali, occasioni di scrittura varie e polivalenti. Nella scuola secondaria di II grado è invece senza dubbio innegabile la freddezza (o difficoltà?) con cui molti insegnanti hanno accolto e praticato le istanze di rinnovamento previste dall’esame del 1998-2000.7 Oggi siamo giunti alla sostituzione della scrittura documentata (espositiva o argomentativa) da più fonti con la scrittura responsiva (esclusivamente argomentativa) a fonte unica e per di più autorevole. Non possiamo non intravedervi il rischio di rinunciare alla possibilità per tutti di realizzare testualità coerenti con il proprio itinerario formativo, che era nelle intenzioni originarie dei cambiamenti del 1998, per restaurare forme di scrittura argomentativa elitarie oppure, più tristemente, passare ad una sorta di test di analisi guidato dalle domande di comprensione, cui aggiungere commenti o argomentazioni più o meno posticci.

b) Per quanto riguarda il colloquio orale delle secondarie di II grado è necessario fare riferimento alle complesse vicende del rapporto fra le discipline. Nella scuola secondaria di I grado l’invito a svolgere il colloquio con criteri “non necessariamente pertinenti ciascuna disciplina” è espressamente previsto fin dalle norme del 1981. Seguono, nel decreto applicativo, alcune

“indicazioni metodologiche per la conduzione del colloquio pluridisciplinare in modo che esso -…- accerti, anche attraverso il coinvolgimento indiretto delle varie discipline, la maturità globale dell’alunno”. 8

A considerazioni analoghe conduce la normativa per la secondaria di II del 1997:

“Il colloquio si svolge su argomenti di interesse multidisciplinare attinente ai programmi e al lavoro didattico dell’ultimo anno di corso”.9

Nei recenti cambiamenti, il colloquio è così delineato:

“Il colloquio ha la finalita’ di accertare il conseguimento del profilo culturale, educativo e professionale della studentessa o dello studente. A tal fine la commissione, tenendo conto anche di quanto previsto dall’articolo 1, comma 30, della legge 13 luglio 2015, n. 107, propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti, problemi per verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale anche utilizzando la lingua straniera. Nell’ambito del colloquio il candidato espone, mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza di alternanza scuola-lavoro svolta nel percorso di studi.”10

Va da sé che un esame che tenda a superare la mera dimensione disciplinare verso forme diverse (e complesse) di relazione e raccordi fra e oltre le discipline dovrebbe essere preceduto da una progettazione curricolare e da pratiche didattiche egualmente attente a queste dimensioni. Sappiamo quanto sia invece assai faticoso e spesso del tutto formale e apparente il dialogo fra le discipline.

La vera novità è rappresentata proprio dalla scelta dei “materiali” da cui dovrà prendere spunto il colloquio: non più scelti e predisposti dal candidato, ma scelti dalla Commissione, come illustra l’ordinanza ministeriale applicativa (O.M. n.205/2019) che desta qualche allarmata perplessità nel lettore esperto:

2. Il colloquio prende avvio dai materiali […] scelti dalla commissione, attinenti alle Indicazioni nazionali per i licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e professionali, in un’unica soluzione temporale e alla presenza dell’intera commissione. La commissione cura l’equilibrata articolazione e durata delle fasi del colloquio e il coinvolgimento delle diverse discipline, evitando però una rigida distinzione tra le stesse. Si precisa che i materiali costituiscono solo spunto di avvio del colloquio, che si sviluppa in una più ampia e distesa trattazione di carattere pluridisciplinare che possa esplicitare al meglio il conseguimento del profilo educativo, culturale e professionale dello studente.”11

Non sono estranee a questa vicenda le alterne fortune della “tesina” elaborata dal candidato, ora pressoché ovunque caduta in disgrazia, o della “mappa”, dichiarata spesso concettuale anche in realtà se si trattava di schemi a raggiera utili a rappresentare relazioni e connessioni fra le diverse discipline attorno al tema che il candidato aveva scelto e da cui doveva prendere le mosse l’esame. Ma tesine, mappe e relativi power point sono sempre più diventati nel tempo degli orpelli, spesso scopiazzati dagli allievi dagli estesissimi repertori disponibili sul web e mal sopportati dalle commissioni. Senza lavoro serio di ricerca, studio, rielaborazione e ristrutturazione alle spalle, senza raccordi interdisciplinari reali in sede curricolare, che venivano invece affidati alla creatività dell’allievo o alle offerte della rete con procedure di calco di lavori altrui, la fase iniziale del colloquio si traduceva spesso in una esposizione ripetitiva su tematiche sulle quali si potrebbe fare un’indagine sulle ricorrenze nell’immaginario collettivo di tutto ciò che ruota attorno agli esami di Stato.

E la questione digitale, del rapporto con la rete per intessere di significati i contenuti cui si è sovraesposti, è una delle grandi questioni irrisolte della scuola, che ha fatto del power point la rinovellata forma di esercizio meccanico degli allievi, al posto di interrogazioni e colloqui.

“Le scuole si stanno adeguando, sì, ma con la lentezza da pachiderma […] l’obiettivo primario dell’istruzione nazionale del terzo millennio, ripristinare le gerarchie di valore nella nuova civiltà informatica, sul quale a parole tutti si dichiarano d’accordo, non viene raggiunto.

Il computer rimane un’arma segreta, da usare alla maniera di un sotterfugio o un’espediente per copiare, ma senza che la sapienza degli antichi, i cui contenuti sono già in Rete, possa entrare sul serio nel patrimonio culturale dei ragazzi meno attrezzati, i quali rischiano di trasformarsi in esploratori ciechi privi di bussola. Il ripetente scarabocchia su un foglio e si gratta la testa.”12

Si è allora inteso sottrarre al candidato la possibilità di aprire il colloquio con una sua proposta espositiva e, in nome di una malintesa concezione del ritorno alla serietà degli studi e degli esami, si è previsto che saranno le commissioni a predisporre i materiali con cui avviare i colloqui. Ed è davvero paradossale essere arrivati a proporre il sorteggio dei materiali in buste chiuse predisposte dalla commissione, in analogia con le procedure concorsuali per docenti, in nome di una astrusa concezione dell’equità e della trasparenza! Si rinnova il quiz, e lo si propone come tensione alla “serietà”:

“Al fine di garantire trasparenza e pari opportunità per tutti i candidati, la commissione predispone per ogni classe, in coerenza con il documento del consiglio di classe, un numero di buste, contenenti i materiali di cui al comma 1, secondo periodo, pari al numero dei candidati, aumentato almeno di due unità, così da assicurare che anche l’ultimo candidato possa esercitare la scelta di cui al quinto periodo.13

c) Per quanto riguarda infine la progressiva riduzione della responsabilità delle scuole, appare sintomatica la vicenda della terza prova dell’esame della scuola secondaria di II grado. Istituita nella riforma d’esame del 1997, avrebbe dovuto rappresentare (e in alcuni rari casi così è stato) l’effettivo momento di raccordo fra l’esame e il curricolo scolastico. Infatti, al di là del peso da attribuire agli esiti pregressi e a quelli di esame (questione in cui la dialettica del rapporto fra percorso scolastico e prova d’esame assume un rilievo meramente quantitativo, legittimo ma anche un po’ sterile, in termini di comportamenti reali), si insisteva nelle norme del 1999 e si insiste in quelle del 2017/18 sull’importanza, che pare ovvia ma non è mai ribadita a sufficienza, del fatto che fra i processi di insegnamento/apprendimento svolti in precedenza e le prove d’esame vi debba essere continuità e coerenza.

Della terza prova si era anche previsto che venisse istituita, presso l’allora CEDE, una sorta di banca dati cui scuole e insegnanti potessero accedere per confrontare contenuti e metodologie di rilevamento. Ma la terza prova, attraverso le sue alterne vicende, ha finito col diventare il “quizzone”, ovvero una serie di domande perlopiù a risposta chiusa sempre meno adeguate a verificare la preparazione dei candidati. E alla fine tutti ne hanno probabilmente vissuto con sollievo l’eliminazione. Quella che doveva essere la sede di una maggior responsabilizzazione delle scuole, se davvero sarà sostituita da prove centralizzate elaborate da Invalsi, si tradurrà in una delle più amare sconfitte della loro potenziale autonomia culturale e didattica.

Al raccordo con le reali pratiche didattiche hanno nuociuto anche, come si è visto, la tempistica dell’esame e la stessa emanazione di quadri di riferimento e griglie di valutazione che, seppure nel nome di un eguale trattamento, accentuano la dimensione di gestione da parte dell’amministrazione centrale, come se le scuole dell’autonomia richiedessero di forme più accentuate di controllo e di omologazione.


10. Un’impalcatura di concetti fragili e contraddittori


Per certi versi si ha come l’impressione che anche tentativi di riformare l’esame di Stato facciano parte di quella lunga serie di innovazioni o presunte tali, talvolta necessarie, talvolta un po’ forzate, che, pur muovendo da esigenze e istanze legittime, spesso diventate norma non senza contraddizioni e gestite peggio da una parte della scuola e da una editoria sempre pronta a tradurre in confusionali possibilità di guadagno le novità normative, hanno finito non solo col tradire le premesse ma col sortire effetti del tutto controproducenti. L’elenco sarebbe lungo: basti ricordare le questioni più eclatanti, la cui involuzione per altro accompagna e alimenta quella delle riforme degli esami finali: l’ attuazione più formale che sostanziale della scolarità di massa, il fallito innalzamento dell’obbligo, l’autonomia tradita, fino alla totale incertezza attuale su quali debbano essere gli oggetti strategici e predominanti dei processi di insegnamento/apprendimento: i contenuti in termini di conoscenze? il sapere critico? le competenze spendibili nel mondo del lavoro? l’autonomia del soggetto competente? i comportamenti trasversali indispensabili nella società “ liquida”?

Pesano sull’esame finale anche le incertezze attorno ad alcuni concetti chiave e alle loro implicazioni. Così non è un caso che il colloquio dell’esame del 1999 sia diventato la cartina di tornasole di una falsa o presunta trasversalità, di un’idea dei nuclei concettuali superficiale e scarsamente assimilata nelle pratiche reali di scuola, col risultato che buttarla via per andare ai quiz estratti sui “nuclei” è un modo per agire non sul problema ma sull’epifenomeno. Oltre tutto, si tratta di un’operazione posticcia, tanto più se avviata a febbraio-aprile!

Così come pesa la responsabilità di non aver saputo cogliere per alcuni o di attuare per altri la potenzialità di coniugare, nel concetto di competenza culturale di cittadinanza14, la sintesi fra pensare, capire e agire, fra lavoro manuale e intellettuale, fra nozione e cognizione, fra sapere critico e sapere tecnico, fra sapere disinteressato e sapere spendibile, ovvero fra tutte le complesse dicotomie che avevano dominato la società industriale e le sue selezioni classiste e che sono ormai divenute almeno in parte anacronistiche, soprattutto quando usate in modo parziale, strumentalizzandole.

Al contempo non si è saputo o potuto portare a sintesi i rapporti fra solida acquisizione di conoscenze di base, acquisizione di competenze in quanto applicazione di conoscenze e abilità in contesti d’uso e capacità di lettura critica e interpretativa della realtà. Se lasciamo separate queste tre dimensioni ci rassegniamo e condanniamo a visioni comunque parziali e perdenti della cultura per il nuovo millennio: il nozionismo fine a stesso, le competenze asservite alle logiche del mercato, il sapere critico ma elitario.

È inevitabile che i tentativi di riformare gli esami, realizzati in assenza di un’ idea forte e coerente di scuola, o che nascono addirittura per riscattare e rimuovere quella assenza, finiscano in realtà per esserne travolti. È difficile sapere quale esame fare per una scuola che non sa più che cosa insegnare e come. E perché. E questo forse è l’ultimo e più grave raccordo fra il sistema scolastico e la realtà che lo circonda: è inevitabile che le trasformazioni del lavoro, la rapida obsolescenza dei saperi e la crisi stessa della democrazia rendano arduo il compito della scuola. È inutile riformarne gli esami se prima non si è fatta chiarezza su che cosa è legittimo chiederle, e quindi chiedere agli allievi, in quanto persone, cittadini, futuri lavoratori. Ma alla crescita dell’incertezza su che cosa insegnare, qualcuno ha pensato di mettere argine accrescendo l’attenzione e gli interventi sulle procedure valutative. Di cui gli esami sono la più complicata delle attuazioni.

Quanto questo possa incidere negativamente sulla relazione tra la scuola e gli studenti che forma, è ancora la letteratura a raccontarcelo, in varie forme, attraverso scrittori che sono stati docenti senza dimenticare il loro essere stati, un tempo, alunni, da Daniel Pennac ad Eraldo Affinati:

“La paura fu proprio la costante di tutta la mia carriera scolastica: il suo chiavistello… E quando divenni insegnante la mia priorità fu alleviare la paura dei miei allievi peggiori per far saltare quel chiavistello, affinché il sapere avesse una possibilità di passare. 15

E quando l’intelligenza va in sofferenza:

“Molti ripetenti disertano la scuola. Vanno ad ingrossare le fila di quel venti per cento della popolazione scolastica (con punte del trenta negli istituti professionali) usciti dai binari nel primo biennio delle superiori; eppure alcuni tagliano il traguardo degli esami di Stato: mi piace pensarli come le maglie nere. Così veniva definito nel ciclismo il corridore che in una corsa a tappe arrivava ultimo, ma aveva comunque lottato per non finire fuori tempo massimo e non essere escluso dalla gara.

Nell’istruzione non è mai troppo tardi. Tuttavia, quando i vecchi ripetenti finalmente si siedono davanti alla commissione e cominciano ad illustrare la mappa della tesina che presentano, tu, da commissario esterno, fai presto a renderti conto del gigantesco raggiro nel quale sei incappato insieme a loro. […]”

“Il voto è una spina nel nostro fianco. Chiama in causa il giudizio. Interpella i criteri di valutazione. Convoca la legge che li ha stabiliti. Distribuisce i meriti. Certifica i titoli. Attira tensioni. Esalta e redarguisce. Lusinga e strapazza. Premia e punisce. Elogia e mortifica. E’ il terreno di coltura della competizione, dell’invidia, del rancore, della felicità effimera. Per chi insegna si può trasformare facilmente in un’arma a doppio taglio. Insomma sotto al voto dovremmo immaginare sempre una scritta: “Maneggiare con cura”.16

Conclusione

Nel marzo del 2019, fra i contributi per preparare la scuola (anche i docenti) al “nuovo” esame che dovranno affrontare di lì a poco, esce uno “speciale” del “Sole 24 Ore” dal titolo: “Maturità il nuovo esame”. È interessante un contributo di Luisa Ribolzi, che dopo una veloce ricostruzione storica di alcuni dei cambiamenti più significativi ne tempo, giunge alla questione nodale:

“Di fronte a questa ridda di cambiamenti, la questione non è di capire se le procedure siano migliorate o peggiorate, ma se l’esame in sé abbia ancora senso.” 17

Nel rispondere riprende i possibili “obiettivi della maturità” per affermare che nessuno di quelli che nel tempo gli sono stati attribuiti può considerarsi ancora valido: non la misurazione della maturità psicologica, né della possibilità di “fornire indicazioni utili per il proseguimento o l’inserimento nel mondo del lavoro”; né, men che meno, di “un ipotetico compito di selezione”. Oltretutto, afferma Ribolzi, questo “rito pressoché inutile ha un costo”.

Siamo così giunti al nodo vero della questione, che è anche quello da cui siamo partiti: a che cosa serve l’esame conclusivo del ciclo superiore di studi? In che misura attesta l’avvenuta maturazione umana, civile e culturale (e professionale?) dell’allievo, al punto che gli viene riconosciuta una attestazione che ha valore legale per partecipare a concorsi, proseguire nei corsi di istruzione tecnica superiore oppure iscriversi all’università o entrare nel mondo del lavoro? Ma soprattutto, in che rapporto sta con ciò che è realmente avvenuto prima, ovvero i processi di insegnamento/apprendimento?

Noi crediamo che riformare l’esame o solo le attestazioni di certificazione finale non serva a nulla, se non si affronta e risolve davvero un problema che il sistema scolastico e politico italiano rimuovono o sul quale pasticciano da più di quarant’anni. Ovvero la durata, il confine e il senso della scuola dell’obbligo e di quelle successive e delle relative certificazioni finali, superando realmente la frattura fra scuola finalizzata al sapere critico e scuola finalizzata al sapere pratico, o se si vuole fra formazione della persona, del cittadino e del lavoratore.

Il problema si risolve solo affrontando con coraggio la svolta storica successiva a quella compiuta con l’innalzamento dell’obbligo alla fine della scuola media unica, ovvero allungando (ma di quanto e come e a quali scopi?) il mandato costituzionale posto dall’art. 33 con gli “otto anni”. Ma su questo scoglio sappiamo che si è arenato, nella storia della Repubblica, ogni tentativo. Il mare burrascoso fra gli scogli del sapere per pochi e del fare per gli altri da tempo non è più agevolmente praticabile, ma non sappiamo trovare un’altra rotta, adeguata all’oggi e soprattutto al domani. Solo allora si potrebbe ripensare a cosa servono e a come sono fatti gli esami conclusivi del nuovo obbligo e di ciò che ne verrà dopo.

Con questo excursus storico abbiamo voluto dimostrare che per cambiare gli esami, bisogna saperli far corrispondere a un’idea di scuola, di società e in fondo di essere umani e dei loro destini. E per farlo bisogna avercela, quell’idea, forte e condivisa. O almeno capace di affrontarne in modo coerente la complessità. In assenza di questa capacità intellettuale e politica, ci si deve accontentare da quella “scettica opinione” che la stessa Luisa Ribolzi sospetta alimenti e spieghi i cambiamenti degli esami, ovvero

“che ogni ministro che entra in carica si svegli una mattina e dica: «E se cominciassimo con il riformare la maturità?»”.

Che è poi l’esame di Stato: dal 1999 si chiama… “esame di Stato”!

Napoli-Torino, maggio 2019

(*) Il saggio è interamente condiviso dai due autori; ad Annamaria Palmieri vanno attribuiti l’ideazione, la Premessa e i paragrafi 1-6; a Mario Ambel i paragrafi 7- 10, la Conclusione. Gli autori ringraziano Rosanna Angelelli per la preziosa lettura e revisione del testo.

1 Spicca tra gli altri Paola Mastrocola, con il livoroso Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, 2011. Ma moltissimi editoriali di Ernesto Galli della Loggia vanno nella stessa direzione, fino al recente L’aula vuota, Marsilio, 2019

2 Norma Stramucci, Lettera da una professoressa, Piero Manni editore, 2009

3 Marilena Lucente, Scritto sui banchi, Cargo, Napoli, 2005

4 Paolo Battimiello-Viviana Reda, Da Barbiana a Scampia: verso la comunità di apprendimento, Guida editori, 2015

5 Con la L.145, del 30/12/2018 i percorsi di alternanza sono diventati “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” e col Milleproroghe era stato rimandato al 2019-20 il loro peso sull’ammissione all’esame e sulla valutazione finale.

6 Cfr d.lgs. 13 aprile 2017, n. 62, “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107” art. 17, comma 9.10.

7 Mentre la “tipologia A” (commento a testo letterario) ha goduto di buona accoglienza fra i docenti, la “Tipologia B, ovvero la stesura del “saggio breve o dell’articolo di giornale”, ha sofferto di due dinamiche convergenti: la scarsa attenzione dei docenti e una gestione ministeriale quanto meno improvvida dei testi proposti alla comprensione e al riuso nelle attività di scrittura.

8 Cfr. D.M. 26 agosto 1981, “ Criteri orientativi per le prove d’esame di Stato per il conseguimento del diploma di Licenza media e modalità di svolgimento delle medesime”.

9 Cfr. Legge 10 dicembre 1997, “Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore”, n. 425, art. 3.

10 Cfr. d.lgs. n. 62 del 2017, “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107”, art. 17, com. 9.

11 O.M n.205 del 2019, art.9. com.2.

12 Eraldo Affinati, Elogio del ripetente, Mondadori, 2013

13 O.M. n.205 del 2019, art.9. com.5

14 Cfr. M. Ambel e D. Chiesa, a cura di, Competenze culturali per la cittadinanza, “dossier insegnare”, editoriale ciid, n.1, 2007; ora reperibile su “insegnare”.

15 Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, 2007

16 Eraldo Affinati, cit.

17 Luisa Ribolzi, “Continui ritocchi: giusto chiedersi se l’esame abbia ancora senso così scuola24”, in Maturità il nuovo esame, “Gli speciali”, Il sole24ore, 26.03.2019.

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