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Nuovi contributi allo studio del modernismo. Su due libri recenti

 Debenedetti e Auerbach sono stati i primi critici e teorici del modernismo europeo a mostrare che c’era un nuovo modo per osservare e raccontare il mondo. Nonostante nessuno dei due abbia utilizzato il termine modernismo, anche perché allora non era in uso come oggi, entrambi hanno gettato le coordinate critiche più appropriate per comprendere e interpretare questo fenomeno letterario.

Con il passare del tempo si è sentito parlare sempre più spesso, e sempre più consapevolmente, di modernismo, fino ad arrivare al presente: oggi la società scientifica ha ormai riconosciuto un valore ed un senso storico alla categoria di «modernismo», divenuta addirittura, si legge, «inevitabile».

Il volume Alla ricerca di forme nuove. Il modernismo nelle letterature del primo ‘900 (Pacini 2018) raccoglie interventi di studiosi provenienti dai principali paesi europei con l’intento di contribuire a una definizione di questa nuova categoria critica.

I diversi saggi permettono intanto alcune utili considerazioni. Innanzitutto i contribuiti sulla poesia risultano decisamente inferiori di numero rispetto a quelli sul romanzo, e ciò basta a mostrare come il termine modernismo venga ancora utilizzato soprattutto per gli studi di narrativa. Tuttavia anche i contributi più interessanti sulla poesia, pur individuando un rapporto di continuità con l’Ottocento, colgono anche in questo genere gli elementi di una rottura in senso modernista (verso libero, profondo rinnovamento del linguaggio ecc.).

Maggiore omogeneità tra gli interventi si registra a proposito del romanzo. Quasi tutti convergono sulla periodizzazione, collocando il modernismo tra gli inizi del Novecento e la fine degli anni Trenta. A determinare la rottura con la letteratura ottocentesca è infatti intervenuta una rivoluzione epistemologica che ha prodotto significative trasformazioni nella società, mettendo in discussione le categorie tradizionali di tempo e di spazio, le leggi della fisica, e l’idea stessa di verità che entra in crisi nella sua accezione positivistica, attraverso la scoperta della relatività e del mondo dell’inconscio. Il modernismo è una conseguenza di queste trasformazioni, che favoriscono la tendenza alle più innovative forme sperimentali. Una caratteristica che accomuna gli scrittori modernisti è infatti la convinzione che nel mondo novecentesco la verità non sia più perseguibile oggettivamente, che sia diventata imprendibile, e che pertanto sia possibile soltanto una conoscenza precaria e parziale. Inoltre la realtà è sfuggente anche perché la modernità ha dato spazio alla soggettività e alla coscienza individuale dell’uomo, che a sua volta vive una profonda scissione dell’Io e risulta incapace di costituirsi come unità coerente e di guardare a se stesso e alla realtà con consapevolezza e coerenza. Ciò non significa, tuttavia, legittimare il non senso, ma ricercare soluzioni che permettano di esprimere le contrastanti manifestazioni dell’inconscio e contemporaneamente la concretezza realistica delle tendenze sociali della modernità.

Occorre anche per questo distinguere lo sperimentalismo modernista dall’avanguardia, che Luperini, in Modernismo, avanguardie e antimodernismo, definisce «la variante oltranzista del modernismo». Mentre le avanguardie rifiutano ogni legame con il passato, il modernismo, pur avvertendo la necessità di trovare forme nuove adeguate alla modernità, mantiene un rapporto dialettico con la tradizione.

Efficace è il modo in cui alcuni contributi del volume affrontano il rapporto di continuità-rottura. È il caso del saggio di Donnarumma, Disarticolazioni e sopravvivenze: la trama nel romanzo modernista italiano, nel quale la trama dei modernisti italiani, da Tozzi, a Pirandello, Svevo e Gadda, diviene occasione per un confronto con la tradizione mimetica ottocentesca. Che venga respinta o recuperata come tentativo per dimostrare l’insensatezza del reale, la trama «è anche legittimata a dire, per quel che può, la vita».

Occupandosi del modernismo francese anche Mariotti, «La Nouvelle Revue Française» e il romanzo ossimorico, rimanda al rapporto tra tradizione e innovazione. Se in Gide decostruzione e costruzione sono tenute insieme attraverso un registro parodico, la Recherche proustiana è «il romanzo ossimorico che concilia Descartes e Bergson». La «rivoluzione classica» di Proust è la capacità di conciliare la discesa nelle profondità della psiche umana con la tensione alla mise en forme .

Diversa è la lettura di Pellini, secondo il quale il modernismo è un fenomeno di longue duréè che dal secondo Ottocento prosegue fino al postmoderno. Elementi di modernismo sarebbero presenti già in Flaubert e Baudelaire, ma anche in Zola e in Verga. Tra naturalismo e modernismo la continuità prevarrebbe insomma sulla rottura.

Pellini è stato tra i primi in Italia a parlare di modernismo, individuandone i legami con il naturalismo con notevole intuito interpretativo. La sua proposta di considerarlo un lungo periodo onnicomprensivo che include il naturalismo e si prolunga oltre la metà del Novecento, trascura tuttavia il momento di rottura che si è verificato alla fine dell’Ottocento e le trasformazioni che costituiscono il carattere unitario della cultura che ispira la letteratura modernista.

In Italia il modernismo come categoria critica si è affermato tardi, perché ha dovuto fare i conti con un’idea di decadentismo che oggi ci appare ormai superata. Un’idea derivata sia dall’idealismo crociano che dal marxismo, secondo la quale il decadentismo non è un movimento di fine secolo, ma una tendenza che, partendo da Fogazzaro, includerebbe scrittori come Pascoli e D’Annunzio, fino a Pirandello e Svevo, e i maggiori autori fra anni trenta e cinquanta. Oggi questa classificazione non è più accettabile e, mentre sono stati circoscritti i confini del decadentismo tra la fine degli anni ottanta dell’Ottocento e i primissimi anni del Novecento, viene riconosciuta l’estraneità all’estetismo e al simbolismo decadenti di autori come Svevo, Tozzi, Gadda e Montale.

Si colloca all’interno del dibattito sul modernismo anche il volume Il modernismo italiano (Carocci 2018) curato da Massimiliano Tortora. Anche questo lavoro, che rimette in discussione la categoria di decadentismo in favore di una periodizzazione che tiene conto del modernismo come conseguenza della crisi della modernità e della perdita delle certezze, nasce con l’intento di ragionare sulle diverse interpretazioni e proposte di modernismo «applicando di volta in volta quei parametri che meglio consentono l’interpretazione dei testi e dei singoli fenomeni letterari».

Il modernismo è qui scandagliato attraverso i diversi generi letterari, dal romanzo alla poesia e dalla novella al teatro, ma ponendo attenzione anche alla poetica e al rapporto con le scienze, dalla fisica alla psicoanalisi.

Questi due libri dimostrano insomma che il modernismo è ormai una categoria quasi unanimemente accettata.

Resta come ultimo baluardo di resistenza il mondo scolastico, dove continua ad esserci confusione e il modernismo rimane ancora in buona parte sconosciuto o ignorato, anche perché non è ancora entrato a far parte dei manuali scolastici, alcuni dei quali, per esempio, continuano a inserire Svevo e Pirandello tra i decadenti. Anche se non mancano insegnanti aggiornati e coraggiosi, come sempre la scuola si adegua alle novità con un certo ritardo. La scommessa per i prossimi anni è dunque che il concetto di modernismo, con le conseguenze di revisione che esso comporta, entri a far parte dei libri di testo, consentendo così agli insegnanti di ritrovare nei manuali scolastici argomenti capaci di collocare la didattica della letteratura in linea con i più attuali studi critici.

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