Il Mistero delle Tre Buste / 1. Quando tutto ebbe inizio
Con questo articolo iniziamo una serie di tre interventi sull’esame orale. Seguiranno, il 4 luglio: Il Mistero delle Tre Buste / 2. A colloquio, relativo allo svolgimento degli orali e alle conclusioni che se ne possono trarre; il 15 luglio: Il Mistero delle Tre Buste / 3. Dall’altra parte della cattedra in cui si darà la parola agli studenti.
***
LUISA MIRONE – PRECETTOR D’AMABIL RITO
Non sapevo ancora che non sarei stata “nominata”, che non avrei officiato da commissaria (ma solo assistito da docente e da madre) i novissimi riti delle Tre Buste; eppure mi preparavo con la trepidazione di un adepto.
Il primo atto è stato l’interpretazione dei testi ministeriali, con l’aiuto dello stesso ministero:
Il colloquio di esame non vuole sostituirsi o, peggio, costituire una riproposizione (impoverita nei tempi e negli strumenti) delle verifiche disciplinari che ciascun consiglio di classe ha effettuato nell’ambito del percorso formativo (…) Il colloquio ha, invece, la finalità di sviluppare una interlocuzione coerente con il profilo di uscita, non perdendo di vista, anzi valorizzando, i nuclei fondanti delle discipline, i cui contenuti rappresentano la base fondamentale per l’acquisizione di saperi e competenze.
E fin qui, niente di nuovo.
A tal fine, la commissione propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti, problemi per verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale anche utilizzando la lingua straniera. Nell’ambito del colloquio il candidato espone, mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza svolta relativamente ai percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento. Il colloquio accerta altresì le conoscenze e competenze maturate dal candidato nell’ambito delle attività relative a Cittadinanza e Costituzione.
E nemmeno questo era proprio nuovissimo, giacché l’art. 17, comma 9, del decreto legislativo n. 62 del 2017 aveva già definito per il colloquio questa struttura. E – fatti salvi i percorsi per l’orientamento (nom de plume per l’alternanza scuola-lavoro) – direi che tutto il resto era contenuto, sotto altre vesti, nelle precedenti formulazioni del colloquio, specie considerando che ogni disciplina, correttamente intesa, promuove e alimenta le competenze di cittadinanza. Veniamo dunque alle integrazioni e – soprattutto – ai chiarimenti:
Il decreto ministeriale n.37 del 2019 chiarisce e integra tale previsione. In particolare, all’art. 2, al fine di scegliere e proporre al candidato i materiali spunto per l’avvio del colloquio, viene individuata una puntuale procedura alla quale le commissioni d’esame dovranno attenersi. L’articolo 19 dell’O.M. n.205 del 2019 fornisce ulteriori indicazioni operative sulle modalità di svolgimento del colloquio.
Desiderosa, anche perché meridionale, di impegnarmi forte (cit.), mi sono messa sulle tracce delle indicazioni operative, incapace – da semplice adepta – di leggere con chiarezza nella previsione. In primo luogo ho tentato di capire di che natura dovessero essere i materiali e come andassero selezionati:
In coerenza con il quadro normativo, i materiali possono essere di diverso tipo. Essi possono essere costituiti da:
-testi (es. brani in poesia o in prosa, in lingua italiana o straniera);
-documenti (es. spunti tratti da giornali o riviste, foto di beni artistici e monumenti, riproduzioni di opere d’arte, ma anche grafici, tabelle con dati significativi, etc.);
-esperienze e progetti (es.: spunti tratti anche dal documento del consiglio di classe)
-problemi (es.: situazioni problematiche legate alla specificità dell’indirizzo, semplici casi pratici e professionali).
Questo mi rassicurava giacché – mutatis mutandis – era il materiale di sempre: quello su cui si è lavorato nel corso di un anno scolastico. I dubbi hanno iniziato a venirmi nel momento della individuazione dei criteri:
E’ opportuno che la commissione, in sede di riunione preliminare, individui i criteri alla base della scelta e la tipologia dei materiali da proporre ai candidati Si ritiene che tra tali criteri possano essere inseriti:
-la coerenza con gli obiettivi del PECUP;
-la coerenza con il percorso didattico effettivamente svolto (documento del consiglio di classe);
-la possibilità di trarre spunti per un colloquio pluridisciplinare
Questi sono tra i criteri che possono essere inseriti. Quindi non sono esclusivi e non sono vincolanti. E’ la commissione sovrana che – di fatto – stabilisce come procedere; infatti:
La scelta dei materiali, alla quale dovrà essere dedicata un’apposita sessione di lavoro, sarà effettuata distintamente per ogni classe/commissione, tenendo conto del collegamento con lo specifico percorso formativo e con il documento del consiglio di classe che lo illustra in modo dettagliato.
Questo da un lato tagliava corto ogni discussione in aula docenti circa una pretesa comunione dei materiali e/o dei percorsi trasversali pluridisciplinari fra tutte le classi in uscita della medesima scuola; dall’altro consentiva di formulare sui suddetti materiali nient’altro che supposizioni, essendo – com’è noto – la commissione d’esame composta per oltre la metà (tre commissari e un presidente) da elementi esterni rispetto al consiglio di classe e dunque rinviandosi la formulazione di detti criteri alla vigilia del colloquio medesimo, a quella apposita sessione distinta per ogni classe/commissione.
Va da sé che il/la docente che, di fronte a un cambiamento della modalità del colloquio d’esame giunto inatteso nel corso dell’anno scolastico, volenterosamente avesse voluto approntare una simulazione (che ovviamente non si rende necessaria quando ci si trovi viceversa di fronte a una prassi consolidata), in assenza di parametri, di criteri individuati fin da principio, assuma come guida l’unico elemento dato come doveroso (dovranno essere privilegiati la trasversalità e un approccio integrato e pluridisciplinare), ripetendolo come un mantra; che gli muore tuttavia fra le labbra allorquando, poche righe più sotto, legge:
È chiaro, altresì, che non tutte le aree disciplinari potranno trovare una stretta attinenza al materiale proposto, per cui i commissari di tutte le discipline si inseriranno progressivamente nello svolgimento del colloquio al fine di verificare le competenze acquisite in tutti gli ambiti disciplinari.
Insomma: se fra i materiali capitati in sorte allo studente c’è (faccio per dire) l’immagine che illustra la struttura dell’atomo secondo Bohr, e lo studente ha dato prova sulla base delle conoscenze e abilità acquisite nel percorso di studi, di condurre il colloquio in modo personale, passando (faccio sempre per dire) da lì all’atomica e dall’atomica al saggio di Elsa Morante, ma senza riuscire a inserire un argomento di storia dell’arte o di scienze motorie, i commissari dell’una o dell’altra disciplina sono legittimati a rivolgere al candidato una domanda in grado di accertare che – per ciascun ambito – egli/ella possieda non generiche conoscenze, ma addirittura una competenza… Insomma, per le domande di rincalzo delle discipline escluse – dalla sorte e non per volontà dello studente – dalla riflessione pluridisciplinare, si tratta di ipotizzare un tempo almeno pari a quello impiegato dallo studente per analizzare il materiale sorteggiato, raccogliere le idee e mettere insieme una riflessione plausibile, mentre incalza l’esposizione dei percorsi di orientamento e dei percorsi di Cittadinanza e Costituzione. Ciò sembrerebbe contenere due rischi: il primo è che lo studente, pur di tutelare l’approccio integrato, si risolva in un acrobatico tematismo che poco ha a che vedere con la pluridisciplinarità; il secondo è che le discipline escluse rivendichino uno spazio di verifica che, di necessità ridotto, si risolva ad essere un accertamento di nozioni.
Ma – ho pensato da brava docente speranzosa – c’è sempre il “documento del 15 maggio” cui appellarsi! È lì che si troverà appiglio e salvezza dal nozionismo, dovendo esso contenere non solo i contenuti svolti, che pure rimangono fondamentali, ma anche l’attuazione della progettazione didattica in termini di attività, progetti, esperienze. E’ stato breve sogno: immediatamente dopo la palla è tornata alla commissione sovrana:
Fermo restando il carattere informativo ed orientativo del documento, è bene ricordare che la competenza nella scelta dei materiali per il colloquio è normativamente affidata in via esclusiva alla commissione d’esame. Il consiglio di classe, perciò, descriverà il percorso formativo e didattico che potrà orientare il lavoro della commissione, ma non potrà sostituirsi alla commissione stessa nell’indicare i materiali da utilizzare per lo spunto iniziale del colloquio.
Nonostante tutto, io – dopo aver redatto, in qualità di coordinatrice di classe, il documento del 15 maggio – ne ho desunto, insieme ai colleghi, ventiquattro più due proposte a partire dalle quali fosse possibile sviluppare una riflessione pluridisciplinare: si andava dalla struttura del DNA alla foto di Churchill, Roosevelt e Stalin a Yalta, da un fotogramma de La terra trema alla copertina di 1984 di Orwell, da un passo della Cena di Trimalchione a Guernica. Ho disposto le buste e, tre alla volta, le ho sottoposte ai miei allievi. Ma quando ho visto Roberto, mio allievo da cinque anni – il mite, studioso, serissimo Roberto – che, esaurito tutto quanto umanamente era possibile ricondursi alla celebre tela di Picasso, si trasformava in un avventuriero, aggrappandosi alla lampadina che pende sopra le figure straziate e deformi per tentare un rocambolesco appiglio alla fisica e alla sociologia, illustrando l’elettricità e l’inesorabile avanzare del progresso tecnologico, quando ho visto questo, ho fermato tutto e con un sorriso mestissimo gli ho detto di andare a casa a leggere un bel libro; che era meglio.
ANNALISA NACINOVICH – PRIMA DI COMINCIARE
L’aspetto contraddittorio della normativa emerge nel riferimento alla necessità che tutti i commissari intervengano. Si giustappongono competenze inerenti all’area disciplinare, tutto sommato immaginabili, e competenze specifiche di ciascuna disciplina. Che succede ad un documento semplice e di immediata leggibilità quando innesca connessioni pluridisciplinari? Difficile pensare di salvarsi dal gioco delle libere associazioni e da un tematismo che avvicini il colloquio alla chiacchiera da bar.
Il dibattito si è spostato, così, sulla considerazione (evidenziata ancora nelle slides ministeriali) che è comunque opportuno stabilire, caso per caso, il commissario che conduce l’approccio alla prima parte; gli altri commissari si inseriscono progressivamente per approfondire aspetti disciplinari, anche non direttamente collegati al materiale di partenza.
Un invito ulteriore alla gestione collegiale del colloquio innescato dalla busta, questo è chiaro. Oscuro, o meno evidente, il senso degli inserimenti progressivi e di un riferimento agli aspetti disciplinari che evoca l’interrogatorio che si vorrebbe e dovrebbe assolutamente evitare (nella stessa slide, la n. 16, al punto d: ricordare sempre che trattasi di «colloquio» non di una somma di interrogazioni).
Che fare? In molte commissioni, credo, ci si è appellati al buon senso: superato d’un balzo l’ostacolo del collega cui affidare la conduzione del gioco, si è fatto riferimento -ancora- alla tormentata slide 16 (punto a.: i materiali costituiscono l’incipit finalizzato anche a verificare l’autonomia e la capacità di orientamento del candidato) e lasciato al giovane o alla giovane protagonista l’onore di inaugurare le danze; ci si è concentrati, quindi, sul bisogno di lavorare in modo realmente collegiale: ci si è riusciti?
La prima impressione, dalle riunioni organizzative, si apre così con un dato positivo: l’impegno di tanti colleghi e colleghe al confronto e alla sperimentazione, l’imprevista virtù del “mistero delle buste” di costringere i commissari interni ed esterni a confrontarsi sulla possibilità di condurre (finalmente) quella parte di esame davvero insieme, discutendo con lo studente sul “midollo” del suo percorso di formazione.
Emergono, però, anche diverse perplessità, la più ovvia delle quali è, naturalmente, quella relativa alla discontinuità dell’esame rispetto al lavoro di aula. I colloqui potrebbero risultare ripetitivi; e questo malgrado l’eterogeneità dei materiali proposti. Come valutare i radicali fraintendimenti del documento di partenza? Argute peripezie dell’ingegno per volgere a proprio vantaggio le avversità della sorte? Indizio della capacità di risolvere problemi? O, invece, indice di una scelta inadatta da parte della commissione? Opportuno intervenire? in che modo?
Difficile, infatti, non considerare che l’inizio della conversazione è delicato; una brusca e spazientita replica correttiva potrebbe inficiare definitivamente l’aspetto fondamentale del colloquio, il clima di sereno confronto, volto a mettere in luce i punti di forza, più che le debolezze dell’interlocutore o dell’interlocutrice…
Riusciremo, malgrado le dichiarazioni di principio, a non proporre questioni esplicitamente disciplinari? Sarà legittimo evitare in qualche caso il riferimento all’archetipo latino (siamo in uno scientifico)?
Forse la questione, fra tante novità, è antica: a che serve l’esame finale dopo la pagella (disciplinare) di ammissione? Non credo si debba rinunciarvi, né che vada inteso riduttivamente, come un “rito di passaggio”. Penso, piuttosto, che sia la maniera più concreta ed efficace di far dialogare le scuole e, perché no, di indicare alcuni elementi comuni, importanti, da condividere nella formazione dei cittadini.
Ma, allora, la busta non basta…
Difficile che un escamotage piuttosto banale offra una reale soluzione alla richiesta di indicare la base comune della formazione secondaria superiore, quella cittadinanza che non può risiedere in una domanda conclusiva o in una fase del colloquio, quando potrebbe, piuttosto, essere la chiave per uscire da una complessità declinata da troppo tempo nella forma della somma, di nozioni, di discipline, di parti dell’esame.
Viene voglia di raccogliere un po’ di dati, di ragionarci ancora su, magari a partire dagli orali veri….
Annalisa Nacinovich, Presidente di Commissione in un Liceo Scientifico Statale di Pisa
GABRIELE CINGOLANI – I VECCHI E I GIOVANI
Tutto sommato, il bello degli esami di maturità è che incontri gente, intercetti storie; è quella piccola comunità provvisoria che si crea. A volte va bene, a volte meno, ma non c’è anno che non sia per qualche motivo interessante, che non sia un’esperienza. Rivedi il collega incattivito e sulla soglia della pensione che non vorresti mai come commissario esterno, il giovane entusiasta, quello che con gli anni è diventato un pezzo di pane. Quest’anno te ne sei accorto subito che sarebbe stato quell’anno lì: l’anno che diventi uno dei più vecchi della commissione. Del resto, sei capitato in una scuola privata, di quelle dove si recuperano gli anni scolastici andati storti, e per lo più ci lavorano neolaureati che ancora non trovano spazio nella statale. Uno di loro, appena ti vede, ti ricorda che vi siete conosciuti durante un altro Esame di Stato, nel 2009; ma allora tu lo avevi interrogato su Leopardi mentre adesso siede accanto a te e dialoga coi candidati su Kafka e Mann. Ok, sei diventato vecchio.
Invece loro no, sono tutt’altro che vecchi, i quaranta, cinquanta o anche sessanta ragazzi che ti vedi passare davanti, cinque ogni mattina, e che ti raccontano brandelli di sé, con le loro relazioni su stage in azienda e settimane di volontariato, con i loro silenzi, i loro sguardi confusi, i loro collegamenti più o meno improbabili fra scienze e letteratura, fra storia e matematica.
All’Esame di Stato, e in particolare in queste lunghe mattine di colloqui, riscopri che quello dell’insegnante è un lavoro che è bello fare insieme. Esercitando la curiosità per tutto ciò che è diverso, persone, storie e discipline. Quest’anno ce lo ha ricordato, prima ancora dei colloqui, la riunione per la preparazione dei contenuti delle famigerate buste. E’ stata l’occasione per uscire dall’alienazione dei verbali e delle procedure e dedicarsi a quello che a ogni insegnante piace: confrontarsi sulle proprie discipline, metterle in dialogo con le altre, cercare ponti e affinità fra gli amori e le passioni di una vita. Immaginare, a partire dalla foto di una foresta che cresce o da quattro versi di Ungaretti, quali percorsi mentali potesse fare un nostro studente è stato un modo per farli noi, quei percorso mentali, saggiarne la fondatezza, o anche gustarne la temerarietà. In ogni caso, in quelle due ore siamo stati bene: si stava facendo cultura insieme, stavamo senza forse rendercene conto già prendendo appunti su come impostare il lavoro del prossimo anno. E dentro di te pensavi a quanto può inaridirci la retorica narcisista del “ma poi io, quando chiudo la porta dell’aula e sono da solo con la mia classe…”.
In quella riunione abbiamo anche osato provare a immaginare come dovesse essere fatto il contenuto della busta, per essere davvero da stimolo produttivo per il candidato. Siamo arrivati anche ad un nostro modello, che prevedeva un testo e un’immagine in dialogo fra loro, e due righe di introduzione, salvo poi scoprire che non si poteva fare. Era scritto in una norma che non si poteva fare? No, ma il Presidente ha detto che glielo ha detto l’ispettore a cui l’ha detto il funzionario ministeriale a cui, chissà, doveva averlo detto il Ministro in persona. Fatto sta che no: nella busta ci deve stare un solo documento, non estrapolato dal programma e quindi con ogni probabilità mai visto prima dal candidato.
Così, con le nostro n+2 buste contenenti materiale non noto di vario tipo, iniziamo ad incontrare le ragazze e i ragazzi, cinque ogni mattina. I problemi sono quelli già evidenziati: che fare se il ragazzo o la ragazza si blocca? o se invece porta sfacciatamente il discorso sull’unico argomento su cui è preparato? Nei primi giorni, eravamo, tutti noi commissari, un po’ rigidi: ci scambiavamo sguardi interrogativi, più spaesati del candidato stesso, che nel frattempo magari stava cercando di dimostrarci quanto fosse opportuno il suo collegamento fra la fotosintesi clorofilliana e la poesia di Giovanni Pascoli.
Però poi un po’ ci siamo sciolti, e forse abbiamo capito due o tre cose importanti, quelle di cui ti arriva l’intuizione di solito al quarto o quinto colloquio quando il sole di mezzogiorno irrompe ormai nella stanza rendendola invivibile, e il resto lo fa il calo di zuccheri. Per prima cosa ti viene da pensare che forse dovremmo fidarci più di noi stessi, noi commissari, e osare davvero un colloquio con questi sconosciuti che abbiamo davanti, rompere gli schemi rigidi che separano il percorso interdisciplinare della busta, la riflessione sull’esperienza lavorativa, la difesa argomentata delle scelte fatte negli scritti e, forse la cosa più importante di tutte da fare all’orale, la discussione dei temi della Cittadinanza. Capisci che alla fine la cosa più bella sarebbe sfruttare quell’ora per conoscere davvero un po’ quel ragazzo o quella ragazza che forse non rivedrai mai più, capire cosa pensa e come ragiona, di cosa ha paura e cosa sogna, quale idea ha del passato e quale del futuro, lasciando a lui la possibilità di far emergere, nel discorso, quello che ha studiato, e quanto e come lo ha studiato. In questo modo, forse, in quell’ora avrai davvero incontrato una persona, e te la ricorderai. Che poi, alla fine, se gli è rimasto qualcosa delle discipline affrontate per cinque anni, lo capisci lo stesso, anche senza fare domande.
Gabriele Cingolani, Commissario esterno di italiano e storia in una scuola paritaria di provincia.
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