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diretto da Romano Luperini

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Letteratura per giovani adulti /12 – Intervista a Carlo Greppi

 A cura di Morena Marsilio

1. Quando ha iniziato a scrivere narrativa destinata ai ragazzi e quale è stata la molla che l’ha spinta a scegliere proprio i giovani come destinatari privilegiati dei suoi testi?

A marzo del 2015 sono stato invitato dalla Fondazione Feltrinelli a partecipare a un dialogo intitolato La storia la racconteranno ancora i libri di storia? Oltre a me c’erano due giganti: il giornalista Paolo Rumiz e David Bidussa, maestro e amico che aveva già firmato l’introduzione del mio primo libro, un saggio (L’ultimo treno. Racconti del viaggio verso il lager, Donzelli 2012) che mi aveva dato l’opportunità di girare parecchio nelle scuole di tutta Italia, in particolare nelle settimane intorno al 27 gennaio, Giorno della Memoria. Nel mio intervento ho parlato di serie tv, di graphic novel e dei ragazzi, dei viaggi che da anni organizzavo e che continuo a organizzare con l’associazione Deina. L’aver accompagnato decine di migliaia di ragazzi ad Auschwitz e in altri luoghi del Novecento europeo, alla scoperta della storia, era ed è un’esperienza che mi ha segnato molto. Quell’incontro si è rivelato una scintilla: è nato subito un dialogo serrato con l’editore Feltrinelli che mi ha proposto di fare un libro destinato ai ragazzi con cui avevo condiviso tanto. Ho accettato con grande entusiasmo, e ho voluto raccontare proprio uno di questi viaggi, una sorta di modello archetipico di quel percorso di presa di coscienza che è un treno della memoria. A gennaio 2016 usciva così per Feltrinelli Non restare indietro, il primo dei miei due romanzi per “giovani adulti”, grazie al quale ho incontrato migliaia e migliaia di altri studenti.

2. Quali sono i temi più ricorrenti nella sua narrativa e a quale bisogno comunicativo rispondono?

Le scelte, la capacità di formare e allenare il proprio spirito critico in qualunque contesto. La disobbedienza, quando necessario, laddove giustizia e legge si divaricano o addirittura si fronteggiano. Il Novecento ci ha insegnato a tenere alta la guardia, a essere preparati al peggio, e i presagi del tempo che stiamo vivendo sono piuttosto oscuri. I miei libri parlano tutti di storia, mettendola però in relazione e in dialogo con la nostra contemporaneità. Bruciare la frontiera – il mio secondo romanzo per “giovani adulti”, uscito a inizio 2018 – e L’età dei muri, l’ultimo saggio che ho pubblicato, sono due libri che partono dalla storia e invadono il nostro tempo. O viceversa, dipende da come la vogliamo vedere.

Dico spesso che il nostro presente sarà il passato di qualcun altro: che noi stessi, quando guarderemo alle nostre spalle, ci chiederemo se siamo stati in grado di fare le scelte giuste. Controcorrente, se la corrente va verso il baratro. Nei miei libri e nei miei interventi – in tv, sui giornali, sui social media – cerco sempre di raccontare storie che gettino luce sul buio, per scardinare meccanismi di assuefazione alla sofferenza altrui che esistono anche oggi. In maniera trasversale tra le generazioni, ovviamente, anche se ho la sensazione che gli adulti degli anni Duemila siano più capaci di ferocia e di meschinità dei ragazzi, che mi sembrano sempre più cauti e attenti.

3. Ritiene che sia cambiato il modo in cui la sua generazione ha vissuto l’adolescenza e quello in cui la affrontano i giovani oggi?

Non in maniera rilevante. Mi sembra di notare un contrasto meno frontale al “mondo adulto”, ma forse è la mia prospettiva che non mi permette di vedere al meglio le sacche di (sano) conflitto esplicito. O meglio, forse l’aspetto più preoccupante dei “giovani d’oggi” è l’immagine che di loro è troppo spesso tracciata, che rischia di generare la più classica delle profezie che si autoavverano. Se molti adulti – a partire dai genitori – ripetono loro che non combineranno mai niente, che la maggior parte dei lavori per cui si formano non esisteranno più e che non avranno opportunità, che dovranno cambiare aria e accontentarsi, che il mondo è in crisi ed è meglio riversare le proprie frustrazioni su nemici immaginari, come potranno avere fiducia nel futuro e nel genere umano? Come potranno immaginare nuovamente il mondo aperto che sta svanendo ai nostri occhi, annientato da un ritorno di fiamma delle retoriche più letali della nostra contemporaneità?

A volte li vedo insicuri e annichiliti, ma dietro quell’armamentario di esitazioni e corazze sono pronti a esplodere, credo. A cambiare il mondo, spero. Come tutti i giovani, in ogni epoca e in ogni luogo. Ritengo che sia nostro dovere innanzitutto ricordarci del fatto che siamo stati adolescenti anche noi, e in secondo luogo coltivare il loro spirito critico, il loro bisogno di costruirsi un’idea del mondo autonomamente e anche in opposizione. Se stiamo fallendo, almeno in parte, noi, non vuol dire che falliranno anche loro. Ubriachiamoli di stimoli, dimostriamoci sempre aperti al confronto. Un fascista adulto si combatte, con un ragazzo si parla sempre. L’adolescenza, l’età in cui si scolpiscono i nostri valori e in cui siamo ancora disposti a cambiare idea, a discutere, l’età in cui vogliamo capire, non dura per sempre.

4. Quali sono state le letture che l’hanno “formata” e quali sono, oggi, i modelli letterari cui si rifà?

Da bambino ero un salgariano di ferro, poi grazie a un incidente che mi ha costretto a letto per qualche mese ho letto Il Signore degli Anelli in pochi giorni e chissà quanti altri “classici” che erano il mio pane quotidiano dell’infanzia (ne cito qui alcuni in rigoroso ordine alfabetico: Alexandre Dumas, Michael Ende, Robert Louis Stevenson, Mark Twain, Jules Verne,…), poi ho avuto una fase di vorace frequentazione di Tex, mentre crescevo e iniziavo ad appassionarmi a generi anche molto diversi fra loro. Una passione smisurata per il “realismo magico” di Gabriel García Márquez si è intrecciata con autori nordamericani contemporanei come Don DeLillo, Edward Bunker, James Ellroy e Chuck Palahniuk: di quest’ultimo, ad esempio, leggevo immediatamente il nuovo romanzo appena uscito, e poi aspettavo per interminabili mesi il successivo. Negli ultimi anni sono stregato dagli autori che surfano i confini tra fiction e non-fiction (dall’intramontabile Romain Gary ai contemporanei Emmanuel Carrère, Javier Cercas, Laurent Binet, al collettivo italiano Wu Ming,…) o che comunque trattano temi di grande profondità in intrecci spesso finzionali (tra gli ultimi letti che meritano di essere segnalati: Exit West di Moshin Hamid, Patria di Fernando Aramburu, M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati,…). Ovviamente io per lavoro leggo tanta saggistica anche molto “tradizionale”, ma confrontarmi con la narrativa è irrinunciabile: non potrei farne a meno.

Anche il rapporto con il cinema è stato per me fondamentale, naturalmente, e solo molto più avanti, dopo i miei vent’anni, ho scoperto il fumetto “d’autore” (il “romanzo grafico”, il graphic novel, insomma): Pratt, Spiegelman, ovviamente, e poi Manu Larcenet, Gipi, ZeroCalcare… ma siamo arrivati a oggi, direi.

5. La disaffezione dei giovani nei confronti della lettura è sempre più diffusa: quali pensa possano essere le ragioni principali e come le agenzie educative potrebbero operare per remare controcorrente?

Oggi i prodotti culturali di valore sono disseminati in vari linguaggi, e questa ne è forse la ragione: la serialità “televisiva” (che oramai fruiamo prevalentemente da dispositivi altri), i videogiochi, i graphic novel, forme di narrazioni autobiografiche per immagini rintracciabili nei vari social media come Instagram. Questo uso costante degli schermi, per adulti e ragazzi, credo sia nocivo. Non lo criminalizzo, ma spesso ci allontana da ciò che ameremmo fare. Ma dobbiamo esserne consapevoli, prima. E la scuola in questo è davvero una miniera, perché a scuola si propongono ancora libri ai ragazzi, li si può educare alla lettura come esperienza immersiva, come scoperta, come viaggio nel tempo, nello spazio, e dentro noi stessi. E i dati ci confermano che questa strategia ha una sua efficacia: in quell’incontro che fu la “matrice” di Non restare indietro – diventato poi a sua volta un ebook intitolato Il passato al presente. Raccontare la storia oggi (2016) – riprendevo i dati Istat che ci dicono che la fascia di età in cui si legge di più rimane comunque quella tra i 15 e i 17 anni. E questa è un’ottima notizia. Eppure esiste una porzione considerevole di quella generazione che è disconnessa, che non ha mai avuto accesso a Internet, che è sostanzialmente fuori dai radar (all’epoca si stimava che fossero l’11,5% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni residenti in Italia). E con la rivoluzione digitale si è comunque aperto un mondo, del quale non dobbiamo abusare ma che dobbiamo tenere in considerazione.

Io credo che l’obiettivo delle agenzie educative debba essere quello di mostrare ai ragazzi la meraviglia della scoperta, dell’incontro con mondi altri, online e offline, non necessariamente solo attraverso le pagine scritte e stampate. A me è capitato di innamorarmi delle narrazioni quando ero bambino, anche perché sono cresciuto in una casa piena di saggi e romanzi, in una famiglia in cui il libro era considerato un oggetto magico. Ho avuto una fortuna pazzesca e sono enormemente grato alla mia famiglia per questo, e penso che sia nostro compito trasmettere questa passione attraverso i canali che abbiamo a disposizione: nel mio caso i sei libri che ho scritto e gli interventi di varia natura che costellano le mie settimane. Innanzitutto il lavoro nelle scuole, che frequento continuamente – come uno zio un po’ logorroico che va a trovare i nipotini.

6. La scuola resta un importante baluardo per cercare di innescare un circolo virtuoso tra giovani e lettura, soprattutto facendo leva su quello spazio, insieme periferico e centrale, di libertà costituito dalle letture personali assegnate nel corso dell’anno scolastico. E in questo ambito, inoltre, si potrebbe utilmente mettere in contatto i ragazzi con la narrativa dell’estremo contemporaneo. Potrebbe indicare tre romanzi o raccolte di racconti italiani o stranieri degli ultimi vent’anni, a suo parere irrinunciabili, che proporrebbe in lettura ad adolescenti tra i 16 e i 18 anni?

Provo a immaginare un percorso tematico, perché è davvero difficile rispondere. Ultimamente mi sono più volte chiesto: se dovessi raccontare a dei ragazzi il rifiuto e l’esclusione attraverso libri altrui, cosa farei? Quella che segue potrebbe essere una bozza di traiettoria di lettura.

La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead (2017) è un’opera magnetica ambientata negli Stati Uniti dell’Ottocento in cui sono apparentemente inscalfibili le fondamenta dello schiavismo, nonostante le lotte – reali e immaginate – degli abolizionisti. È un libro da leggere prima o dopo il manifesto di Ta-Nehisi Coates, Tra me e il mondo (2016), che con rara nitidezza mostra agli statunitensi (e a noi) come quella ferita della loro storia sia ancora drammaticamente aperta. Sempre a proposito di esclusioni, reali e percepite, Un giorno questo dolore ti sarà utile (2007) di Peter Cameron è un romanzo estremamente tenero e che secondo me invita all’immedesimazione, come lo è Se ti abbraccio non avere paura (2012) di Fulvio Ervas o Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (2003) di Mark Haddon – due libri che parlano in qualche modo di diversità – o La vita davanti a sé di Romain Gary, secondo me uno dei punti più alti della letteratura del Novecento, e perfetto per i ragazzi. È un libro che non conta in questa lista perché è del 1975, ma comunque avevo già sforato consigliandone cinque… mi fermo, dunque, perché ci si prende facilmente gusto.

Fatemi però aggiungere una bonus track: il silent book L’approdo (2006) di Shaun Tan, un capolavoro assoluto. È un racconto illustrato (senza testi, appunto) che mette in scena un viaggio e una lontananza, non vi dico di più. Chi lo legge non può essere sedotto dalle retoriche violente tornate in voga: quelle immagini ci riportano, con immensa dolcezza, al lato più meraviglioso del nostro essere umani. Ridanno valore alla vita, quella nostra e – soprattutto – quella altrui.

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