Da Belacqua a Falcone: tre video per leggere Dante
L’esperienza che qui si racconta ha avuto come protagonisti un gruppo di studenti appartenenti a due classi di triennio del Liceo Scientifico, nelle quali ho insegnato Italiano e Latino. A fondamento di tale esperienza vi è uno studio attento e rigoroso di Dante: un’ampia lettura dei canti condotta in classe nelle ore curriculari, un continuo sforzo di appropriazione dell’enciclopedia necessaria alla loro comprensione e – quando possibile – una serie di incursioni nella critica dantesca, da De Sanctis ad Auerbach, da Singleton a Maria Corti. La direzione che quest’esperienza vuole indicare non passa dunque affatto per una semplificazione del tradizionale insegnamento di Dante né, men che meno, per un’accensione acritica per le magnifiche sorti e progressive garantiteci dalla tecnologia. Si vuol proporre, al contrario, una riflessione su ciò che la tecnologia può aggiungere a quanto di buono – e irrinunciabile – una solida tradizione didattica ci consegna. Con l’imprescindibile sottolineatura del verbo “aggiungere”. Che mai e per nessuna ragione può esser confuso con “sostituire”.
Dante su YouTube: ma perché?
Sposare il digitale con la Commedia, portare la lectura Dantis su YouTube. Si può fare, ha senso farlo, chi è che ha voglia di farlo? Se l’avessero chiesto a me, fino a qualche anno fa, non mi sarei fatto avanti. Perché io Dante l’ho sempre letto in classe, nel più antico e frontale dei modi. Cercando di contagiarlo agli studenti, di farlo vibrare nell’aria che insieme respiravamo. E veicolando questo contagio con la parola, l’unica materia di cui Dante sia fatto. Tra l’altro – con un po’ di presunzione – ho sempre pensato che il risultato non fosse male. Perché, allora, mandare Dante in esilio su YouTube?
Ma l’invito veniva dall’Accademia della Crusca[i]. Ai ragazzi e alle ragazze del Liceo siciliano in cui insegnavo l’idea è piaciuta. Al punto che di video danteschi ne hanno girati tre[ii]. I primi due nel tempo lasciato libero dalla scuola, senza perdere un’ora di lezione. L’ultimo, addirittura, durante il primo anno di Università. Prima di ripercorrere le tappe di questa ricerca, una domanda va dunque posta: dove hanno trovato, studenti e studentesse, la motivazione per dedicare a Dante tante ore del loro tempo libero? Se ciò è avvenuto, a parer mio, il merito è solo di Dante.
A che serve Dante?
Se non avessero conosciuto il faticoso piacere di leggerlo, se non avessero imparato a scalarne le difficoltà per godersene dall’alto la conquista, se non avessero accumulato lezioni (frontali), ore di studio e di approfondimento (i deprecati compiti per casa), i “Pelandroni”[iii] non si sarebbero mai buttati in questo gioco. Pensare a Dante come a un autore ostico, e al multimediale come al soave liquore con cui ammannirne i succhi amari a studenti riottosi sarebbe fuori luogo. Questo lavoro non si sarebbe dato senza un preciso punto di partenza: agli studenti è servito, è stato utile, è piaciuto leggere Dante a scuola.
Lo dico con le loro parole. Per Giuseppe (oggi studente di Medicina) «in Dante c’è tutto: tutte le emozioni e tutti gli ideali, non importa se esaltati o condannati. Se trascuri Dante vuol dire che non l’hai mai letto, oppure che trascuri ogni cosa». Annalisa (che studia Lettere) da Dante ha appreso a «porre il testo come fonte a partire dalla quale interrogarsi e sviluppare una ricerca che non può che condurre al testo stesso, in tutta la sua inesauribilità. Per scoprire quali domande ci pone oggi e quali noi poniamo ad esso, per cercare ciò che resta celato e si rivela in modo diverso in tempi diversi». Samuele (studente di Economia) osserva che «leggendo la Commedia ci si aspetta di staccarsi dalla nostra realtà, e invece si impara a rapportare ad essa i valori di Dante. Valori come giustizia e verità sono importanti per il contadino, il manager o l’avvocato. La cosa assurda e meravigliosa è ritrovarli in uno scrittore di otto secoli fa». «A che serve questo libro infelice in cui tutto è un inferno? – chiede invece Davide (Psicologia) – A nulla. E c’è pure quella donna che fa tanto soffrire il poeta… Sarebbero queste le parole di chi non ha letto Dante, o non ha saputo esercitare l’arte della lettura con la dovuta attenzione. Dante serve, ma solo se ci approcciamo a lui come un amico fidato che può aiutarci in quei dilemmi che da soli non sappiamo affrontare. Riscoprire il presente attraverso il passato, a questo serve Dante».
Sono riflessioni, mi pare, che sfiorano molte questioni: il nostro essere cittadini, anzitutto; il bisogno di ricomporre il senso d’un sapere sempre più tecnicistico e frammentato; la scoperta di cosa sia un classico (se “classico” è un testo che sa risponderti quando lo interroghi con le domande del presente). Difficile stabilire in che misura, per ciascuno, sia stato decisivo il Dante-parola studiato sui banchi, e quanto abbia inciso il percorso di ricerca nato dalla sfida di portarlo su YouTube. Più semplice è provare a ricostruire, per tappe, le acquisizioni di questa ricerca. Molte delle quali – ma non tutte – si collocano all’intersezione tra i linguaggi che essa implica, nascono dal fecondo attrito tra la poesia di Dante e il diverso codice in cui s’è provato a tradurla.
Immedesimazione
Prima tappa, anno scolastico 2014-2015. Tra i canti che è possibile mettere in scena c’è il quarto del Purgatorio. Non è male. Tradurre Dante in un linguaggio a lui estraneo sarà forse più semplice, se si sceglie un Dante vagamente assimilabile all’oggi. E non sarà difficile, per studenti di quarta liceo, immedesimarsi in un pelandrone come Belacqua. Anche l’ambientazione delle riprese (un’aula, una palestra…) ruberà Dante al suo tempo per avvicinarlo a noi. In più, dato che ci troviamo a Caltagirone, faremo figurare da montagna del Purgatorio quella meravigliosa scalinata ingentilita dalle ceramiche.
Testualità
Ma la pigrizia di Belacqua è solo il sorridente epilogo del canto. Come arriveremo fin lì? Senza troppa fantasia, partiamo da un prologo in classe e lasciamo il professore a districarsi tra Aristotele e Averroè. Se c’è un professore, però, ci vogliono gli alunni (annoiati e distratti, certo!). Ed ecco che l’onesto intento didascalico che ci sorregge – illustrare il canto a chi guarda il video – comincia a non bastare, che il prologo diventa scena a sé, filo di un nuovo testo. Questo meccanismo centrifugo si ripropone di continuo. Per esempio, chi era Belacqua? Un certo Bevilacqua, dicono. Sarà un soprannome. Magari glielo hanno dato perché beveva. Magari non beveva proprio acqua. E allora sul set comincia a rotolare qualche bottiglia di birra (di una marca, però, smerciabile in Antipurgatorio). Il testo parallelo comincia a svolgersi per la sua strada. Lungo fili che divergono, ma che dovranno poi ricongiungersi tra loro (e col Testo principale).
Metadantismo
È srotolando uno di questi fili che, per caso, ci capita di accostare la mano alla quarta parete. Di scoprirne, sfiorandola, la provvidenziale fragilità. Nel canto, Virgilio spiega a Dante perché il sole sta alla sua sinistra. Sarebbe necessario un supporto cartografico. Ma in commercio non si trovano planisferi o globi con la montagna del Purgatorio. Si decide di costruire un globo: c’è chi ritaglia le terre emerse nella stoffa e le appiccica su una palla da pilates, c’è chi prova a dipingere a mano i continenti. Ma non funziona: la sera prima delle riprese, Virgilio non ha ancora in mano uno strumento per impartire a Dante i necessari rudimenti astronomici.
Qualcuno però trova, in un negozio di giocattoli, uno di quei palloncini che, gonfiati, dispiegano sulla superficie una dettagliata rappresentazione della Terra. Il guaio è che lì c’è disegnata l’America, e perfino le rotte degli aerei. Siamo seri, può mai Virgilio spiegare a Dante l’astronomia medievale palleggiandosi in mano un globo così poco tolemaico? Certo che sì. A patto che il video si denunci esplicitamente come finzione. E che il nostro Dante, sfogliando al momento opportuno un volume dell’Enciclopedia dantesca, spieghi al maestro che, stavolta, a sbagliarsi è lui. I fili che avevamo in mano ci hanno condotto in un territorio che non ci aspettavamo di esplorare. Il nostro lavoro, a questo punto, consisterà nel fare di tutti questi fili un testo: un testo ibrido e minore, che corre a fianco del Testo vero con l’irrequieta fedeltà di un cane senza guinzaglio. Un cane che voglia, però, fare la stessa strada del suo padrone.
Da Belacqua a Stazio
Seconda tappa, primavera-estate 2015. In pizzeria, si festeggia con studenti e genitori il premio vinto. E si scopre che tutti vogliono ripetere l’esperienza. L’obiezione che l’anno successivo ci saranno gli esami, e che di tempo se ne troverà ben poco, è respinta all’unanimità. Se non ci sarà tempo d’inverno, il video si gira subito, d’estate. Mamme e papà si fanno avanti per accompagnare i figli nell’impresa. Il professore potrebbe mai opporsi?
La scelta cade su Purgatorio XXII. Gli studenti ne conoscono qualche verso, hanno letto quel po’ di Virgilio che basta. Di tutte le difficoltà che il canto presenta, solo una (il finale con l’albero capovolto) viene subito risolta d’ufficio, decretando che sia Belacqua a vestirsi da albero. Si decide di girare in mezzo alle meraviglie naturali che abbiamo sottomano (l’Etna e le gole dell’Alcantara), si programmano in dettaglio le riprese. E intanto si lavora accuratamente ai materiali di scena, con la serietà terribile che i ragazzi sanno mettere nel gioco.
Intertestualità
Ma Purgatorio XXII è un canto fatto di libri. Ci sono di mezzo le Bucoliche e un po’ di testi medievali che, rileggendo Virgilio a modo loro, hanno condotto Dante al più geniale dei fraintendimenti. C’è quel Virgilio rimasto lì con la lanterna in mano, potente similitudine da trasporre dalla carta in Full HD. Ci sono gli eroi di Stazio, con quella Manto su cui si rompono la testa i filologi. Stava all’Inferno tra gli indovini, con gli occhi impudicamente affacciati sul fondoschiena; perché adesso Dante la disloca nel Limbo? E c’è naturalmente l’Eneide. Belacqua è già lontano: proporsi di ridurre Dante alla nostra dimensione renderebbe questo canto, in video, troppo povero. E se invece provassimo a portare sullo schermo proprio quest’intreccio di libri? Magari dando loro un volto, facendone dei personaggi al pari di Virgilio o Stazio?
Meta-videomaking
In questo canto, poi, manca Dante. Ossia: c’è come narratore, ma è inconsistente come personaggio. L’aver già sbirciato al di là della quarta parete, a questo punto, ci torna utile. Dante poeta diventerà un protagonista del video, figurandovi in veste di regista. Sarà lui, nella nostra finzione, a far correre il racconto per immagini accanto alle terzine del Testo. Ma anche lui, alla fine, dovrà arrendersi a quell’albero parlante e capovolto che chiude il canto. Ci costruirà sopra una gag abbastanza buffa, vestendo da albero il più pigro della compagnia. Ma il video non può certo chiudersi così. Né da esso possiamo pretendere che rappresenti quel che non può rappresentare: non abbiamo dimenticato che, per capire Dante, il mezzo più sicuro resta sempre leggere Dante.
Valorizzazione
È scostandosi dal canto, però, che il video si risolve come testo. Pensando ai valori che troviamo nei versi di Dante, all’eco della sua voce quando viene a contatto col nostro tempo. Il canto ci mostrava un albero e ci suggeriva un valore, la Temperanza. Ma l’angelo, nei primi versi, non si era forse tenuto in bocca la parola Giustizia? E allora sappiamo dove trovare l’albero, a poche ore d’autostrada da qui. È a Palermo, sotto casa di Giovanni Falcone. Il video non può che finire lì, non può che finire con un verso che colleghi Dante a quella memoria, che scavalchi i secoli parlandoci di giustizia, coraggio, verità. Le parole le troviamo nel Paradiso, più o meno a metà della cantica: Questo tuo grido farà come vento. A noi, non rimane che trascriverle.
A guisa di rampollo
Terza tappa, primavera 2017. È da quell’albero che, l’anno successivo, i Pelandroni ripartiranno. Ma per fare un viaggio diverso dai precedenti. Si sceglie Paradiso IV, canto dottrinale tra i meno frequentati, il cui tema (la responsabilità di chi si piega alla violenza) può prestarsi a essere illustrato attraverso i volti di altre vittime di mafia. Sceneggiatura e regia, stavolta, sono interamente affidate a ragazzi e ragazze. I quali non esitano a lasciarsi alle spalle ogni intento didascalico, per affidarsi – in un video costruito sotto il segno del dubbio – a un continuo cortocircuito tra Dante e il presente, o il passato recente. Tra le terzine s’intrufola qualche riga di Saramago, le immagini girate in strada evocano gli attentati di Parigi, la topografia celeste sfuma nelle architetture impossibili di Escher, la storia di suor Piccarda si conclude sui volti del commissario Montana, di Borsellino, Libero Grassi, Pippo Fava. Del tutto nuova è la cifra della colona sonora. A guisa di rampollo, anche questa tappa della ricerca parte da Dante per farvi ritorno. Ma la distanza dal Testo aumenta: non si pretende più di illustrarlo, gli si pongono delle domande, ci si lascia interrogare da esso. Il risultato (dirà la Crusca) è che questo terzo video è il miglior lavoro realizzato dai Pelandroni. Ne parlerei ancora volentieri, ma forse parlarne toccherebbe agli stessi Pelandroni. Che però – se non stanno preparando un esame – sono ancora lì a interrogarsi sulla prossima tappa della ricerca.
[i] “La selva il monte, le stelle”, premio internazionale di lettura dantesca bandito da Loescher e Accademia della Crusca dal 2013 al 2017.
[ii] I video hanno ottenuto i seguenti riconoscimenti: primo premio nell’anno 2015 per il video I pelandroni della montagna (Purgatorio, IV); primo premio nell’anno 2016 per il video E per insegna, una lanterna (Purgatorio, XXII); menzione d’onore nell’anno 2017 per il video Storie dal Paradiso (Paradiso, IV, fuori concorso). Il video E per insegna, una lanterna è stato inoltre proiettato a Ravenna, nel settembre 2017, nell’ambito delle celebrazioni di “Dante 2021”.
[iii] Dal titolo del suo primo video, I pelandroni della montagna, il gruppo ha assunto la denominazione di “Compagnia dei Pelandroni”.
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