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diretto da Romano Luperini

foto copertina 108 metri

No future. La storia dietro la copertina di 108 metri. The new working class hero /11

 

Sapevo che c’era una storia dietro la foto della copertina di 108 metri prima ancora di sapere che storia fosse. È una fotografia in bianco e nero, con due ragazzi in primo piano e delle ciminiere industriali sullo sfondo. Mi è piaciuta subito, l’ho scelta come foto di copertina ma ci ho messo un po’ per ricostruire la storia dietro le immagini fissate sulla pellicola. Ed è una storia working class, piena di rabbia e lacrime. Di disoccupazione e di morte. Di comunità devastate dal fantasma di Margareth Thatcher. Una storia che adesso finalmente posso raccontare.

Intanto dietro la copertina c’è un romanzo. Un memoir di emigrazione in Inghilterra: due anni in cui ho fatto parte della nuova working class inglese, quella dei servizi, delle pulizie, dei cleaner e dei kitchen assistant, dopo che la vecchia working class, quella delle industrie e dei minatori, era stata devastata dalle politiche conservatrici dei primi anni Ottanta. Politiche che distrussero le comunità working class del nord del paese o della Scozia, trasformando in Trainspotting quella che era The Road to Wigan Pier.

 

alberto arci scarlino 2003

108 metri – il titolo richiama la lunghezza delle rotaie forgiate dalle acciaierie di Piombino  – doveva uscire il 29 marzo 2018. Ai primi di ottobre 2017 dalla sezione copertine di Laterza mi chiedono se ho qualche fotografia personale che possa aiutare la grafica a elaborare un progetto di impaginazione. Trovo una foto del periodo in cui facevo il manovale a Punta Ala. Me la scattò il mio amico fotografo Stefano Pacini mentre giocavo a biliardo in un Arci maremmano e all’epoca, il 2003, ero più in forma di adesso che lavoro soprattutto alla tastiera. In un’altra foto, sono ritratto con un giaccone in stile omino della Michelin, in una fredda e ventosa passeggiata nelle colline del Dorset.

Da Laterza mi fanno due controproposte, con due fotografie prese dal catalogo Magnum. Ignoro le circostanze dello scatto ma entrambe mi piacciono. Sono molto diverse, entrambe perfette per un’estetica working class, eppure mi riconosco solo in una. La prima presenta un busto maschile, muscoloso e tatuato, con una birra sul banco. Classica situazione da romanzo calcistico alla Cass Pennant. La seconda coglie due giovani su uno sfondo industriale. Uno ha l’aria cool, l’altro appare più sfigato. Fumano con rabbia, mentre dietro di loro torreggiano delle ciminiere.

foto copertina scartata 108 metri

Non ho dubbi. La prima foto è troppo macha e ci sono margini di maschilismo in certa narrativa working class britannica con cui non voglio identificarmi. La seconda racconta una storia che sento come mia. Le ciminiere mi ricordano lo stabilimento Solvay visto dalla strada di accesso a Rosignano la domenica mattina, quando Renato, mio padre, mi portava a contemplare la bellezza e la forza maligna delle fabbriche, quello che Alessandro Portelli ha definito “il sublime operaio”.

Scelgo la seconda fotografia, insomma. Dopo qualche tempo mi arriva la copertina. La foto è stata montata, in bianco e nero, sul classico formato bicromatico della collana di Laterza “storie di questo mondo”, su cui risalta il rosso del logo di Laterza. Mi piace il montaggio tra il titolo, le lettere, il righello metrico su un lato. Intanto la foto continua ad attrarmi e a interrogarmi. Qualcosa divide quei due ragazzi, uno è un punk, un ribelle, l’altro, con le lenti a fondo di bottiglia e la giacca a vento, è “rude razza pagana” e ricorda i miei abiti d’infanzia poco eleganti. Mi sento un po’ come ognuno di loro e direi che entrambi raccontano due aspetti del protagonista. Il ribelle e il mulo, quello cool e lo sfigato. Assieme compongono la personalità del personaggio e forse anche dell’autore di 108 metri. Mi piace il vento terso che si intuisce dai capelli scomposti, un vento associato a una giornata di fredda luminosità britannica. E poi la recinzione sghemba e la traccia della presenza dell’autore della foto, che scatta col sole alle spalle e proietta un’ombra sulla roccia su cui sono seduti i due ragazzi. Quale sarà mai la loro storia? La curiosità mi attanaglia.

Scopro altri dettagli sulla fotografia solo il giorno in cui vado in redazione di Laterza per firmare le copie-omaggio. Nel risvolto della quarta ci sono i crediti. La foto è stata scattata nel 1982 da Peter Marlow dell’agenzia Magnum e fa parte di un reportage intitolato “Death on the dole”. Una storia di morte e disoccupazione. Siamo a Widness, un importante polo chimico industriale nel nord dell’Inghilterra. Sono gli anni della guerra della Thatcher contro la working class britannica, sono gli anni della guerra delle Falkland-Malvines. Gli anni in cui io avevo 9 anni,  gli anni del secondo capitolo di 108 metri, col passato del protagonista, la scuola, l’esultanza per i mondiali, la passione per il calcio inglese.

Decido di approfondire la storia della fotografia della copertina. Tanto più che con la seconda ristampa arriva una fascetta con una frase di Alessandro Robecchi, una fascetta rossa che fa contrastare in maniera più vivida il bianco e nero della foto di Marlow. La foto la sento mia, parla di storie operaie. Devo capire chi sono i ragazzi ritratti, quello  sulla destra che fuma aspirando con rabbia e l’altro che guarda un punto di fuga distante. E mi piacerebbe capire qualcosa anche di quella prima foto che la grafica mi aveva mandato e che poi ho scartato.

Riesco a recuperare dal file la descrizione testuale associata alle fotografie. Ci sono dei codici numerici, li inserisco nel catalogo on line dell’agenzia Magnum e ritrovo le due istantanee. La prima: “GB, England. Liverpool supporter ”. È uno scatto di Ian Berry del 1981. Ripenso immediatamente all’omino del subbuteo con la maglia rossa di Ian Rush, il fantastico attaccante dei reds. E poi penso a “You’ll never walk alone”, l’inno – del Liverpool, ma anche del Celtic di Glasgow – un inno calcistico alla solidarietà con cui, traslitterando il testo, chiudo il mio libro. Quella foto l’ho scartata perché non mi interessava l’estetica working class troppo maschile, carica di testosterone.

L’altra fotografia, più relazionale, più adolescenziale, mi affascinava. La prima riproduce un personaggio, la seconda racconta una storia. Dovevo ancora scoprire quale fosse quella storia. Recupero allora il codice di questa fotografia dalla descrizione testuale della jpg e trovo sul catalogo Magnum quel che mi interessa. Eccola: “GB. Cheshire. Widnes. Death on the Dole.The aftermath of the suicides of two unemployed teenagers, Sean Grant and Graeme Rathbone (Raffy) who felt that life on the dole had no future and gassed themselves with car fumes. Damien Percival (left) and Alan Nevitt, both out of work, by the power station where their friends Sean and Raffy committed suicide. Damien thinks that it was a daft thing to do.” Sono interessanti anche i tag, le parole chiave associate alla foto: “Keywords: Economic crisis England Unemployed person Blue Collar Worker Boredom Cigarette Industrial building Industrial landscape Jeans Poverty Seated Smoke (From Fire) Smoker Spectacles Unemployed person Wasteland Winter Working class”.

Guardian

Siamo a Widness, un importante polo chimico del nordest dell’Inghilterra. La foto racconta l’inverno della classe operaia, la noia, la disoccupazione, la miseria, sullo sfondo di un paesaggio industriale. Si tratta di un fotoreportage di Peter Marlow del 1982. Due teenager disoccupati si erano tolti la vita nel 1981 perché erano disoccupati. “Cosa ci resta da vivere se non abbiamo un lavoro?”, avevano scritto. No future: non è solo una posa punk, per la classe operaia è una questione concreta, di vita o di morte. Sean e Graeme si suicidano in auto deviando dentro all’abitacolo le emissioni del tubo di scappamento. Marlow si reca nella comunità operaia di Widness un anno dopo, nell’anniversario di quelle due morti, fotografando alcuni amici dei ragazzi suicidi. Nella foto della copertina ritrae Damien (quello a sinistra di chi guarda) e Alan (quello con gli occhiali) nei pressi della centrale elettrica dove i loro amici si sono suicidati. Sono anche loro disoccupati. Damien commenta lamentando che quella di uccidersi è una scelta stupida. Ha una spilla sulla giacca, forse è un attivista: ci sono ragioni per combattere. I due ragazzi non si guardano, sono chiusi nel dolore, è inverno, il vento scompiglia i capelli di Damien, Alan aspira con rabbia la sigaretta. Nei loro volti vedi il no future, leggi le storie delle famiglie working class da cui discendono, immagini il riverbero del fantasma della Lady di ferro che continuerà a incalzare e a perseguitare una generazione di lavoratori britannici. In quei giorni io ero ancora un bambino ma stavo per diventare adolescente, mente le raffinerie dove lavorava mio padre cominciavano a chiudere, mentre i 40mila marciavano a Torino, mentre i minatori inglesi accettavano le sottoscrizioni dei loro compagni operai italiani, mentre guardavamo il calcio inglese in tv e guardando le ciminiere dietro le nostre abitazioni sognavamo posti come Liverpool e Manchester, che nel nostro immaginario erano gemellati con Piombino e Terni, iron town dove prima o poi avrei dovuto lavorare al fianco di ragazzi simili a quelli ritratti in quella foto. Poi è arrivata la Thatcher, e le fabbriche hanno chiuso, e anche le raffinerie. E io non sono andato al professionale ma al liceo (“studia e vattene da qui che non c’è più pane da mangiare”).

Adesso che conosco la loro storia, torno a guardare la copertina con occhi diversi. Alan sa incassare, sembra chiuso in se stesso, nel dolore. Damien distoglie lo sguardo dalla camera e cerca una prospettiva di fuga.  Secondo la scheda della Magnum,  ha dichiarato al fotografo che il suicidio di Sean e Graeme è stato un atto stupido. Le sue parole sono dure, ma sono un atto di speranza. Tiene la testa alta, per continuare a guardare verso la luce. Sfida il vento che gli scompiglia i capelli. Nel suo sguardo c’è una prospettiva e un futuro. Nonostante la working class inglese abbia dovuto affrontare catastrofi di ogni tipo, nonostante il vento che soffia contro il suo sguardo, bisogna continuare a fissare l’orizzonte, come Damien, e bisogna saper incassare i cazzotti della vita, come Alan. Non camminiamo da soli. You’ll Never Walk Alone.

PS: Curiosando tra le foto di Peter Marlow, ne ho trovata una molto bella: un’istantanea del fotografo accanto alla figlia Chloe, che lui stesso ha ritratto continuamente nel corso della propria vita. Prendetela come una sorta di indizio del terzo titolo della trilogia working class, alla cui scrittura sto lavorando in questi giorni.

PPS: La grafica che ha realizzato la copertina per Laterza è Silvana Amato. Riconosco il suo stile in Hool di Philipp Winkler pubblicato da 66thand2nd una settimana dopo il mio 108 metri. Le analogie sono molte tra le due copertine. Anche qui giovani e bianco e nero. Romanzo di hooligan tedeschi e sottoculture giovanili, quello di Winkler. L’iconografia working class di quegli anni è simile: il rapporto tra il calcio, gli spalti e le fabbriche dismesse è parte di tanto proletariato industriale.

Hool

Il link con le foto al reportage di Marlow sul sito di Magnum:

https://pro.magnumphotos.com/Catalogue/Peter-Marlow/1982/GB-Widnes-Death-on-the-Dole-NN129269.html 

 

 

 

 

 

 

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