Perchè i Promessi sposi
Scorrendo l’intervento di Teresa Agovino, anch’io mi sono chiesta perché insisto così tanto – da insegnante – su I promessi sposi. E anch’io mi sono risposta: perché il romanzo di Manzoni fa discutere, è attuale, è bello, e insegna l’italiano. Nel proporlo miei studenti al secondo anno del Liceo, e poi nuovamente al quarto, faccio la cosa che mi sembra più naturale: lo leggo; lo leggo insieme a loro e insieme a loro lo smonto, come fanno i bambini per capire il funzionamento di un giocattolo. Ci divertiamo abbastanza. Ma la parte più divertente del gioco è – in ultimo – rimontare i pezzi. Proverò a illustrarvi di quali pezzi dispongano.
LA STRUTTURA DEL ROMANZO – Manzoni crea una sorta di congegno prodigioso, capace di restituire il dialogo serrato tra Macrostoria e Microstoria, di rappresentare la doppia dimensione dell’esistenza di ognuno: le piccole storie dentro la grande Storia. Mi piace dire ai miei studenti che la struttura de I promessi sposi ha una conformazione simile a quella delle “scatole cinesi”: la scatola più piccola e più interna contiene il tempo della storia (la vicenda di Renzo e Lucia raccontata nel Manoscritto); ed è contenuta nella seconda scatola, quella che contiene il Manoscritto, ma anche il Seicento, il secolo dell’autore che – nella finzione manzoniana – ha scritto lo “scartafaccio”; la terza scatola contiene il tempo del racconto, che è il tempo in cui vive il narratore onnisciente, che recupera e nuovamente racconta la vicenda dello scartafaccio; la quarta è la scatola dell’Autore, lo scrittore ottocentesco Alessandro Manzoni. E c’è infine pure una quinta scatola, che è quella del lettore, che vive nella sua epoca e s’incarica di custodire, aprire e interpretare tutte le altre scatole, in un rapporto serrato tra sé, la sua storia, le storie degli altri, la Storia di ogni tempo. Scoprirsi proprietari di un quinto del romanzo è solitamente per i miei allievi l’incentivo più forte per andare alla conquista dei rimanenti quattro quinti.
IL SISTEMA DEI NARRATORI – Il sistema dei narratori (non dico certo cosa nuova) è il corrispettivo necessario della struttura del romanzo; e come tale viene analizzato. Nel caso de I promessi sposi, la compresenza di diversi narratori consente a una vicenda apparentemente banale (due poveri giovani desiderano sposarsi, ma un malvagio signore glielo impedisce) di essere restituita nella sua complessità di piccola storia inserita nella Storia grande. Renzo ha narrato oralmente la sua vicenda al cronista secentesco, che la scrive; ma l’Autore dà l’incarico di raccontare tutto al Narratore onnisciente. Questo significa che l’Autore, pur ritenendo importante ascoltare la voce di Renzo e la voce del suo Anonimo cronista, non ritiene né l’uno né l’altro idonei a farsi carico del racconto della vicenda nella sua interezza, come se ognuno dei due non potesse restituirne che una visione parziale, riduttiva. L’Autore riconosce al narratore onnisciente la grossa responsabilità di fare ordine nella vicenda narrata, che è un po’ come la vita di ognuno: complessa, costituita da molti piani. Ma, se il narratore onnisciente, dall’alto della sua posizione, interviene (e non senza saccenteria…) a mettere ordine fra le cose, riconoscendo a ciascuna il suo rilievo, e a tutte – nel loro complesso – la loro ragion d’essere e d’essere tutte insieme, d’altra parte è la funzione dell’Autore che sembra predominare: nella visione borghese e illuminista di Manzoni, lo scrittore è chiamato ad assumersi compiti educativi nei confronti dei lettori, deve aiutarli a comprendere la realtà e a interrogarsi su di essa e sulle loro responsabilità, alla luce di certi principi da lui considerati irrinunciabili; un atteggiamento che, a tratti invadente o paternalistico, ha decretato – soprattutto in certi momenti storici – un’accoglienza non proprio entusiastica nei confronti del romanzo, anche da parte di lettori meno frettolosi di Matteo Renzi. Io non sempre mi trovo a condividere il modello educativo e gli strumenti di lettura dei fatti che l’Autore propone; anzi, a volte sono insofferente, li sento come una forzatura indebita. Ma – anche per ragioni in qualche modo autobiografiche – mi è sembrato sempre importante sottolineare ai miei studenti la difficile posizione che Manzoni assume, che è quella di ogni “educatore”; educare non consiste nell’impartire norme comportamentali ritenute accettabili, ma impone la ricerca: indagare la realtà sulla quale si desidera intervenire, comprenderne i meccanismi di funzionamento, avere il coraggio di operare delle scelte e, se necessario, di schierarsi. E questo può risultare molto gravoso, persino doloroso ed espone senz’altro colui (o colei) che scrive (o più genericamente “che educa”) all’errore di valutazione e al giudizio di chi legge (o di chi riceve una educazione). In un’epoca in cui si scambiano per cattedre i luoghi più improbabili, salvo a ignorare che ogni ruolo assunto pubblicamente concorre a formare la comunità, trovo non secondario che questa voce ci ricordi il coraggio di educare.
IL SISTEMA DEI PERSONAGGI – Se propongo ai miei studenti una riflessione anche sul sistema dei personaggi del romanzo, non è soltanto perché comprendano chi faccia cosa o perché vorrei scongiurare il rischio di vedere quei personaggi cristallizzati nella fissità di etichette dure a morire (don Abbondio ignavo, fra Cristoforo militante, Lucia santa, Renzo ingenuo e testa calda, don Rodrigo arrogante…), ma perché esaurire un personaggio in uno stereotipo si traduce, nella vita, nel giudizio sommario sulle persone; e questo è rischio più grande. Con i miei studenti faccio riferimento – di solito – ai sistemi che conoscono già: il sistema numerico, il sistema solare, il sistema-lingua, l’ecosistema, i team di ricerca, le squadre sportive…; esempi dai quali risulti evidente che – per ciascuno dei sistemi menzionati – gli elementi che li compongono hanno certamente un valore di per sé, una caratterizzazione specifica, ma possono modificarla o chiarirla ulteriormente entrando in relazione con altri. Vale ovviamente lo stesso per il sistema dei personaggi di qualsiasi romanzo, ma vale per questo in particolare. In assenza di una valutazione “in sistema”, liquideremmo (per esempio) con l’etichetta di “malvagio” personaggi diversissimi fra loro come don Rodrigo, il conte Attilio o l’Innominato, per il sol fatto di vederli compiere generiche “cattive azioni”; condanneremmo Gertrude senza appello, se non conoscessimo il sistema familiare e sociale in cui ha consumato la sua vita; perché “così va spesso il mondo… voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo”.
LA SINTASSI (PIU’ CHE LA LINGUA) – Con un simile sistema dei personaggi, in cui “genti meccaniche e di piccol affare” s’incontrano e dialogano con personaggi d’alto lignaggio, la lingua fu per Manzoni – com’è noto – una grossa scommessa. Che sia stata vinta, per qualche aspetto mi pare indiscutibile, per altri meno. Per esempio, non sono convinta che sia “pressoché perfetta” e che possa servire ancora oggi, come allora, a combattere l’analfabetismo: la lingua è il prodotto e il veicolo di un modo preciso di intendere e rappresentare il reale e non sono certa che la realtà d’oggi – stritolata fra gli estremi paradossali di globalità e autoreferenzialità – possa trovare referenti adeguati nel dizionario manzoniano, improntato su un’idea in parte illuministica, in parte romantica della cultura, della politica, della vita. Quello che – invece – mi sento di proporre sempre ai miei studenti come “modello” (non da ricalcare, ma da tenere costantemente presente come parametro di riflessione) è la sintassi: articolata, complessa, straordinaria nell’aggettivazione, nel posizionamento ragionato di ogni singola parte del discorso, non solo attenta, ma acuta nel controllo dei rapporti di subordinazione, la sintassi de I promessi sposi è l’espressione di un modo altissimo di intendere la funzione della lingua. Le strutture sintattiche non basta che siano grammaticalmente corrette: Manzoni insegna che esse hanno una connotazione – per così dire – etica, capace non solo di rappresentare le strutture del reale, ma anche di orientarne la percezione e la riflessione su di esse.
I “MODELLI”: E già che di modelli parliamo, qualche parola la spenderei volentieri su I promessi sposi come modello per la letteratura del secolo successivo. Che il romanzo manzoniano aiuti a comprendere la letteratura novecentesca, che a Manzoni è più o meno debitrice di temi, strutture o modalità narrative, è questione che sicuramente va sottoposta agli studenti della triennale. Io, da insegnante liceale, mi pongo tuttavia con maggiore urgenza il problema del recupero (come ho già detto altrove) dello strumento della prospettiva (instaurare rapporti, misurare gli scarti, individuare posizioni e mobilità nello spazio e nel tempo dell’oggetto letterario), che dia ragione – se ve ne sono – dei lasciti tematici (e non solo) di Manzoni, ma ugualmente consenta di cogliere il rapporto di continuità/scarto che Manzoni instaura con altri modelli narrativi, a lui precedenti o anche a lui contemporanei. Senza il recupero della prospettiva, temo che i nostri studenti rischino l’appiattimento monodimensionale su un qui e un adesso che fa urgenti e importanti solo certi temi perché cari a certa narrativa moderna o a certe sollecitazione più vistose e contingenti. Valga per tutti l’esempio della digressione: c’è una linea che ci conduce da Ariosto a Manzoni, lettore di Sterne, sino a raggiungere Gadda, studioso di Manzoni…
ATTUALITA’ – Una volta che gli studenti hanno sul tavolo tutti i pezzi, allora possono giocare; possono divertirsi a rimontare il congegno, possono sceneggiare, recitare, disegnare intere scene del romanzo, possono tentare tutte le operazioni che credono; anche quelle “attualizzanti”, se correttamente intese. Per tutti noi la Storia, la Macrostoria, è un terreno di prova che ci obbliga a misurarci con noi stessi e con gli altri, a capire quale sia il nostro ruolo all’interno di essa e se davvero ne abbiamo uno. Quando entriamo nella Macrostoria con le nostre Microstorie, scopriamo di avere delle responsabilità, piccole o grandi, che a volte stentiamo ad assumerci, travolti dalle “contingenze”, da quello che è legato solo al momento che viviamo, incapaci come siamo di pensarci immersi in una Storia più grande in cui anche le azioni del singolo hanno peso, rilevanza, spessore. E’ questo – io credo – che fa il romanzo di Manzoni ancora straordinariamente attuale e non quella triste similitudine – troppo spesso praticata nelle nostre scuole – che è più o meno strutturata in questo modo: “Come nel Seicento…, così oggi…”.
Fotografia: Palermo 2018, romanzo.
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