
Simona Vinci, La prima verità. Storia della mia copertina/ 5
La prima verità doveva uscire già da tempo, era stato presentato nel copertinario Einaudi dedicato ai librai nel 2014 con un’altra copertina, non quella con la quale è effettivamente uscito due anni dopo, nel marzo 2016. L’immagine era stata scelta allora partendo dall’idea di una figura femminile che si specchiasse nell’acqua. Era bella. Molto bella. Mi piaceva, anche se forse non era ancora quella giusta, così come ancora non era del tutto giusto il libro. La seconda volta, due anni dopo, con Severino Cesari, siamo partiti da suggestioni diverse, come sempre abbiamo fatto per scegliere le copertine dei miei libri: suggestioni, idee, confrontate con una ricerca iconografica fino a giungere all’illuminazione. Una delle suggestioni che avevo in mente era quella di una bocca spalancata con posato sulla lingua un sasso bianco, (che riportasse al personaggio del bambino con il sasso in bocca) l’altra era quella del gesto del silenzio, un indice posato sulle labbra. Shhh. Legato all’idea della verità e di un sapere iniziatico che non può essere trasmesso attraverso le parole. Immaginavamo qualcosa che non fosse illustrativo, che non fosse narrativo, ma evocativo. Un romanzo di 400 pagine – tanti fili intrecciati, tempi e luoghi diversi, molti personaggi – non lo si legge in un’unica “seduta”; un libro così rimane posato in casa, sul comodino, in bagno, in cucina, su uno scaffale, in borsa, per qualche giorno, forse settimane (spero di no!), insomma era necessaria un’immagine che, in qualunque punto il lettore interrompesse la lettura e lasciasse il libro aperto o con un segnalibro dentro, posandoci sopra lo sguardo fosse ogni volta nuovamente catturato e si rendesse conto via via che quell’immagine è in continua, muta, misteriosa sinergia con il testo.
Con queste tracce, l’ufficio iconografico dell’Einaudi ha fatto la sua ricerca e quando le fotografie sono arrivate, non ho avuto dubbio alcuno. Il dio bambino del silenzio era perfetto. L’antico dio bambino egizio, Horus, Oro, Sole, poi trasmigrato nella cultura ellenica con il nome di Arpocrate e in quella cristiana in seguito, e disceso per i secoli per giungere fino a noi in forma a volte di angelo o di putto, con il suo caratteristico gesto che intima dolcemente il silenzio portando il dito alla bocca. Il “signum harpocraticum” è ben noto agli studiosi di storia dell’arte. Arpocrate è il custode dei misteri, segnala il passaggio dall’umano al divino, impedisce ai demoni di entrare nel corpo attraverso la bocca, sa che ci sono cose che è impossibile dire e che la verità va cercata dentro, oltre, nella concentrazione, nella preghiera, nella trance, nel silenzio, nella fiducia che i segreti verranno rivelati – se ce ne sarà bisogno -al momento più opportuno. Questa immagine in particolare, che è di Robin Vandenabeele, e che è indicata solo come “Archangel Image” ho scoperto essere una fotografia scattata a una bellissima scultura dell’artista francese Étienne-Maurice Falconet conservata ed esposta al Museo del Louvre di Parigi e datata 1757. “Seated Cupid”, si intitola. Era lui. La nostra copertina perfetta. Poi, è arrivato Riccardo Falcinelli, e ha fatto, come suo solito, la magia.
Si ringraziano Monica Aldi, dell’ufficio iconografico Einaudi, e Riccardo Falcinelli.
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