Perché leggere Aldo Capitini nella Scuola del XXI secolo
Maestro, anche dell’oggi
Aldo Capitini, primo nonviolento italiano, ha attraversato i due terzi del secolo che gli fu dato vivere (1899-1968) regalandoci una vita esemplare nella ricerca della verità in quanto non menzogna, nella persuasione in quanto appassionamento e coerenza nei valori, e nella rinuncia a qualsiasi ideologia fissata in partiti, etichette e accademie filosofiche, culturali, religiose, letterarie e politiche. Del suo percorso egli stesso ha tracciato una snella ed efficace narrazione autobiografica in Attraverso due terzi di secolo (1968), si direbbe per permetterci di cogliere gli snodi di un’esistenza eroica, nella forza umile della sua dissonanza rispetto ai miti imperanti. Il suo incessante prendere posizione, scrivere in quotidiani e periodici, oltre che nei suoi numerosi saggi filosofici, pedagogici, politici e nella sua originale poesia, il suo muoversi e operare attraverso l’Italia tutta, nel creare reti di persone, nel ricercare, nello stabilire e coltivare contatti con quei giovani a cui era molto attento, lo offrono anche ai nostri giorni come un concreto modello di maestro.
Se potesse parlarci, Capitini si dichiarerebbe pronto alla sua aggiunta al nostro cammino, così di adulti alla ricerca di compagni di viaggio, come di ragazzi del XXI secolo, bisognosi di esempi rispettosi di identità in crescita. Come ogni vero maestro, egli sceglie ancora oggi un atteggiamento maieutico, osserva e ricerca le capacità di ognuno e lo riconosce centro di un pensare, ascoltare, parlare ed agire in costante evoluzione, le cui capabilities acquisiscono valore solo in un processo cogenerativo, quello della tramutazione della realtà di tutti e per tutti.
Si potrà procedere come musica e non come statue, si potrà volgere il tu-tutti alla tensione persuasa nella pace unità-amore, soltanto se forti di convinzioni spoglie di ogni retorica, ovvero lontane da ogni forma precostituita, e orientate ad una prassi condivisa, partecipata e pronta a rinnovarsi.
Utopia concreta
Giovane il pensiero, la filosofia della prassi nonviolenta e corale di Aldo Capitini perché:
- pura da ogni utilitarismo ed individualismo;
- moralmente libera da ogni logica e strategia di compromesso, pronta invece a piegare i mezzi ai fini;
- tutta orientata ad una finalità educativa e coevolutiva, nella costante scelta dei mezzi più idonei a fini degni di una societas aperta all’accoglienza di ogni limite, ovvero di tutti gli esausti, i sofferenti, gli emarginati, ma anche delle esigenze della natura, biotica e abiotica (la scelta vegetariana per il suo valore morale) di cui l’uomo è responsabile;
- orientata all’azione nel presente, in quanto forte della conoscenza del passato, ma soprattutto impegnata in una tensione’ verso il futuro, un futuro di compresenza, di reale cura, dall’ intimo, di ogni tu;
- inclusiva, perché il tu, grazie al quale soltanto si nasce e rinasce ogni giorno («La mia nascita è quando dico un tu», Colloquio corale, 1956), non è mai scelto, ma è parte di quell’umana compagnia che già Giacomo Leopardi (l’amato Leopardi della tesi di perfezionamento in Lettere di Capitini alla Scuola Normale Superiore di Pisa, del 1929) considerava nella Ginestra degna solo se «confederata», se «tutti abbraccia con vero amor».
L’impegno teorico e pratico di Capitini si distende dall’antifascismo fino alla morte, nel 19 ottobre del 1968, nella realizzazione aperta, mai compiuta una volta per tutte, di reti contatti con tutti e per tutti, nei COS, Centri di Orientamento Sociale, tra Umbria, Toscana, Marche ed Emilia Romagna, per la costruzione dal basso della nuova democrazia, dal 1944, e, nei COR, Centri di Orientamento Religioso, dal 1952. A muovere Capitini è la volontà di sostanziare di prospettive di ulteriore apertura il suo pensiero e la sua azione, offrire ad ognuno la propria aggiunta, e ottenere appoggio e sostegno al suo progetto di democrazia di tutti, un’omnicrazia da cui nessuno si senta escluso, ignorato, inascoltato. La natura di utopia concreta dell’operato intellettuale e dell’azione di Aldo Capitini rimase in buona parte incompresa in epoche di dittature, guerre – la prima e la seconda guerra mondiale, la guerra fredda -, e nel nascente neocolonialismo, sorto come una beffa sulle spoglie della conquista dell’indipendenza da parte degli Stati ex-colonie, subito svuotata di significato.
Capitini per la scuola del XXI secolo
Eppure potrebbe essere che proprio quell’utopia concreta, quella visione così libera da etichette e compromessi, da ogni logica di conquista del potere e del dominio, diventi (e debba diventare) un habitus mentale ed un modus operandi nelle comunità nazionali (e forse nel mondo globale bisognoso di una rifondazione su nuove basi ) e lo possa essere intanto nella scuola di questo XXI secolo, chiamata a sfide che la società e la politica sembrano impreparate fino in fondo a comprendere e gestire. Rivelatore della maturità a cui approda la sua concezione nonviolenta, teorica e pratica, è lo scritto del 1962 La nonviolenza oggi, dove l’apostolo italiano del pensiero di Gandhi osserva come, tra i modi di quel capitalismo avanzato che si definiva come neocapitalismo, vi fosse da una parte “assicurare un certo benessere ai lavoratori” e dall’altro permettere “una certa libertà di movimento e perfino di espressione e di informazione, sempre tuttavia controllata e riportata a nuclei ideologici socialmente e religiosamente conservatori”[1]. Questo “benessere” non può per Capitini essere affatto inteso come garanzia per la pace perché sulla comunità umana (locale e mondiale, morale, intellettuale e di lavoro) pesa la minaccia dell’alienazione, della divisione e della dissoluzione, cioè l’impossibilità di una vera emancipazione individuale e collettiva. Secondo Capitini, dall’egoismo dell’ homo oeconomicus nella prima metà del Novecento si sono generati meccanismi per il consolidamento di Stati conservatori e per la discriminazione di una parte dell’umanità sul piano economico-sociale, oltre che sistemi di assoggettamento di intere popolazioni all’imperialismo e alla “baldanza militaristica”[2]. Al contrario, “la nonviolenza parla col suo atto a tutti…, segnala una via per tutti, …fa bene intimamente a tutti, influisce su tutti”, costituisce una “forza” che può “superare imperi e controimperi, se si svilupperà prima del disastro, perché se si svilupperà dopo, avremo un nuovo Medioevo, in mezzo alle rovine di quest’epoca. (…) Il problema è tanto più pressante, se è vera l’ipotesi di una distruzione atomica totale dell’umanità: urge stabilire un nuovo metodo di lotta, senza distruzione degli avversari”[3].
Una comunità nella quale progressivamente si riduca la violenza che ha caratterizzato il Novecento, il secolo delle più vaste ed atroci guerre, ma anche dei nazionalismi aggressivi sul piano politico ed economico, dovrà avere come fondamenta, per Aldo Capitini, “centri” morali di fede nonviolenta e di iniziativa, capaci di attuare un’ampia apertura anche verso l’ambiente, il comune habitat per l’uomo e per gli esseri più deboli e più sottoposti all’arbitrio umano, ovvero le specie animali e vegetali.
[1] A. Capitini, La nonviolenza oggi, Edizioni Comunità, Milano 1962; poi in A. Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, p.137; ripubblicata a c. della Tavola della Pace, 2007, p. 6. Sull’attualità della nonviolenza di Aldo Capitini, si veda l’Introduzione di M. Martini all’antologia degli scritti di A. Capitini, Le ragioni della nonviolenza, Edizioni ETS, Pisa 2007².
[2] A.Capitini, La nonviolenza oggi, Tavola della Pace, ecc., p.9.
[3] A. Capitini, La nonviolenza oggi, cit., pp. 10-13.
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