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mostra Escher a Milano 5

Dialoghetto fra un critico e l’autore

 CRITICO. Vedo che hai pubblicato un altro romanzo, e con un titolo niente affatto pop, anzi un poco vintage e  molto, molto rétroL’ultima sillaba del verso. Troppo letterario, troppo simbolico, troppo difficile… E poi un altro romanzo … alla tua età…  Non hai  un po’ di vergogna? In fondo come critico non eri male, avevi una tua identità. Ma come narratore sei un avventizio. Rischi di mettere a repentaglio la tua reputazione. Chi te lo fa fare? Sarà magari la vanità delle persone anziane… Ma da te che accusi la società d’oggi d’essere narcisista, non mi aspettavo questo rigurgito  di narcisismo…

AUTORE. Sul titolo l’editore la pensava come te e ho dovuto insistere a lungo per far prevalere L’ultima sillaba del verso. A me piace proprio perché fa pensare, non è immediatamente fruibile. Quanto alla critica, è diventata un fenomeno chiuso e istituzionale, senza eco sociale o civile. Un critico universitario scrive per lettori quasi sempre coatti: studenti o colleghi. Ma è vero che fare critica è richiesto da una istituzione e avviene all’interno di una comunità, per quanto ormai sempre più burocratizzata, mentre fare lo scrittore è atto gratuito e solitario che nessuno ti richiede. Per cui, sì, provo un poco di vergogna. Ma d’altro canto certe cose in un saggio non si possono dire, in un romanzo sì. E a me queste cose preme dirle, e che ci sia qualcuno disposto a udirle e a reagirvi dà un qualche senso alla parte finale della mia vita. Rischio così di rovinare la mia identità e di mettere in pericolo la mia faccia? Non mi sembra un problema grave. Nella mia vita ho fatto per vent’anni il militante politico, per trenta il professore e il critico, ora scrivo qualche romanzo. Ma in fondo ho sempre cercato in modi diversi il senso della  vita, e non solo della mia.

CRITICO. Il libro ancora non l’ho letto, però l’ho preso in mano in libreria e ho scorso un paio di recensioni. Devo dirti che la prima reazione, conoscendo le tue idee politiche, è stata di stupore per la scelta dell’editore. Mi ha stupito che tu sia uscito con un grande editore come Mondadori che esercita una sorta di oligopolio sul mercato librario…Anche questa scelta dovrebbe contrastare con i tuoi convincimenti, no?

AUTORE. Il mio più caro amico della giovinezza, morto precocemente, era un marxista militante e rigoroso, e diceva: quando prendo l’auto per andare a una riunione politica o a una manifestazione di massa, arricchisco i petrolieri; persino quando accendo la luce per non stare al buio spremo plusvalore. In questa società tutto ciò che si fa – muoversi, lavorare, insomma vivere – va a vantaggio del capitalismo. Non c’è nulla da fare. Ma se di necessità, quando si va in treno, si cerca di prendere quello più funzionale, è’ così anche quando si sceglie un editore. D’altronde come critico pubblicavo da Laterza. Non vedo una differenza sostanziale  fra i due editori. Entrambi vendono libri per fare profitto.

CRITICO.  Mah, sarà,  la cosa di per sé a me non interessa molto, cercavo solo di mettermi dal tuo punto di vista …Però, ci vedo comunque un’involuzione. E poi, ho letto, metti al centro della storia una vicenda privata, l’amore di un uomo già anziano con una ragazza molto più giovane, e tratti di sentimenti e situazioni individuali, come la vecchiaia, la malattia e il deperimento del corpo. Nei due romanzi precedenti, invece, avevi parlato di fatti rilevanti sotto il profilo storico e politico, in uno, del ’68, e nell’altro di due momenti tragici della storia d’Italia, la Resistenza e gli anni di piombo.

AUTORE. La vicenda privata da me narrata si giustifica all’interno del quadro storico in cui è inserita e che rende improbabili se non impossibili la militanza politica e l’iniziativa  dei movimenti di massa. L’individuo viene ributtato nel privato perché si sono ridotte sin quasi a sparire le possibilità di un agire collettivo. Negli ultimi trent’anni è cambiato il sistema di potere lungo l’asse Craxi-Berlusconi. Renzi, sono scomparsi i partiti, si è trasformata la società. Depoliticizzazione della società, desocializzazione dell’individuo, desoggettivazione dell’io sono fenomeni convergenti che si affermano nel periodo che va dal crollo del muro di Berlino, Craxi e Mani pulite, da un lato, e l’attentato delle Torri gemelle di New York dall’altro. Sono stati gli anni ottanta e novanta e determinare la svolta storica che è lo sfondo necessario della vicenda d’amore. Quanto alla malattia e alla vecchiaia si riferiscono al momento in cui il narratore racconta, in anni più recenti, di questi avvenimenti passati. Il protagonista è un vecchio logorato da una terribile malattia che vive solo in una campagna solitaria, fra colli, selve di castagno, uccelli, con l’assistenza saltuaria di una donna kossovara giunta in Italia col gommone. È in bilico, mezzo vivo e mezzo già morto, e da questa condizione estrema si volge indietro a rievocare quel pezzo di storia e a riaprire, dopo tanti anni, un dialogo con la ragazza dal basco rosso sui capelli neri che aveva conosciuto e amato tempo prima e che sorprendentemente ora ritrova. S’illude che, come è l’ultima sillaba a conferire senso al verso, così l’ultima sezione della vita possa farne intravedere il significato complessivo.

CRITICO. Ma non lo sai che cercare il senso della vita non interessa più a nessuno oggi? Che la vita non ha alcun senso lo sanno ormai anche i bambini e saperlo non eccita più nessuno, il non-senso è diventato normale, una cosa scontata. È passato il tempo di Kafka o di Pirandello. Dovresti ispirarti piuttosto agli autori più recenti, quelli che entrano nella top ten list dei giornali e che vengono presentati nei talk show televisivi. Loro raccontano storie e basta, lo storytelling lo hanno nel sangue. Tu invece, se capisco bene, vuoi che la letteratura serva a qualcosa, non sia solo narrazione, e per questo continui a rimpiangere il passato e a chiederti  se esista una alternativa all’insignificanza e al cinismo oggi dominante. Sei irrimediabilmente fuori tempo. È per questo che nel romanzo, a quanto mi dicono,  strizzi l’occhio alle femministe?

AUTORE. Abbi pazienza. A me non interessano le trami forti, i personaggi coerenti, le avventure romanzesche, la narrazione per la narrazione. Piuttosto vorrei mostrare figure complesse e contraddittorie, la pluralità dell’io, la molteplicità dei punti di vista. A me non piace che dopo “oggi piove” chi legga trovi per forza “prendo l’ombrello”. Nel romanzo la protagonista femminile prima è vista dall’ottica maschile del narratore, poi è lei che racconta la propria storia rovesciando in modo imprevisto la prospettiva con cui il lettore sino allora l’aveva immaginata. Forse è per questo che secondo alcuni strizzerei l’occhio alle femministe…Piuttosto è vero che, mentre il precedente La rancura era  un romanzo patrilineare (anzi addirittura patriarcale, ha detto qualche lettrice),  questo è  un romanzo dove dominano figure di donne libere che vogliono costruirsi da sole la propria vita. Ed è anche vero che la contraddizione di genere mi sembra irriducibile, e in essa, come nell’emigrazione vedo le uniche chance che restano per il nostro futuro. Non credo insomma che la rassegnazione e la nostalgia siano l’unica  possibilità davanti alla decadenza,  alla corruzione e allo stato attuale d’impotenza.

CRITICO. Vuoi dire che ti consideri uno scrittore “impegnato”, come si diceva un tempo?

AUTORE. In un certo modo sì. Ho cercato di dare una risposta attuale (e anche politica, magari) a una precisa domanda: è ancora possibile oggi un romanzo che si ispiri a una intenzione di stile e sia insieme narrativo e lirico,  storico e filosofico, che cioè racconti una vicenda e un paesaggio attraverso una riflessione sulla storia recente d’Italia e sulla stessa  condizione umana? L’ultima sillaba del verso vuol essere una scommessa in tal senso.

CRITICO. Una intenzione di stile? Un romanzo storico, lirico, filosofico (ride)? Non entrerai mai in una top ten list.

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