![0000000000000HatefulHeight00001](/wp-content/themes/yootheme/cache/0f/0000000000000HatefulHeight00001-0f8e827f.jpeg)
The Hateful Eight è un film bruttissimo! (Recensione senza spoiler)
Qualche sera fa ho assistito ad una proiezione dell’ultimo (l’ottavo) film di Quentin Tarantino, The Hateful Eight, girato in un prezioso (pretenzioso?) 70mm e che da oggi (4 febbraio) fa la sua comparsa nei cinema italiani. Già a partire da novembre siamo stati sottoposti da un’intensiva campagna marketing e non è arduo prevedere che il film contenderà al Quo vado di Zalone e al redivivo Di Caprio il record di incassi ai botteghini nostrani. Ho atteso con impazienza questo film: non sono un fan delle ultimissime cose di Tarantino, ma conosco a memoria Pulp Fiction e sono uno di quelli ancora convinti che Ezechiele 25.17 sia davvero un passo della bibbia.
Insomma, siamo davanti ad uno dei pochi registi americani contemporanei che vale la pena di seguire in ogni sua nuova opera e questa non fa eccezione. Purtroppo devo dirvi, brutalmente, che The Hateful Eight è un film bruttissimo, stanco e a tratti imbarazzante. E dire che tutti gli ingredienti erano molto promettenti: otto personaggi costretti a condividere uno spazio chiuso durante una notte di bufera; l’ambientazione western che vira al giallo e all’horror; la cornice storica (poco dopo la guerra di secessione); la colonna sonora di Morricone in odore di Oscar; il cast, sempre generosamente nutrito di star affermate e di attori un po’ decadenti ma pronti alla resurrezione, favorita dal genio del prodigioso Quentin.
Eppure le cose non si fondono e The Hateful Eight rimane una rimpatriata fra vecchi amici, lontano anni luce da quel capolavoro (di cui pure è una sorta di rielaborazione) che era Reservoir Dogs, esordio immenso del 1992. La forma è teatrale: tutto si svolge nel Minnie’s Haberdashery, un emporio in cui personaggi collegati più o meno inconsapevolmente vivono una sorta di giallo molto parlato. Le citazioni si sprecano, a cominciare dalla porta dell’emporio che i personaggi sono costretti ad inchiodare come una bara a causa della tempesta e che ci riporta nelle atmosfere del primo Kill Bill, con Beatrix Kiddo sepolta viva. Nonostante gli spazi chiusi e claustrofobici, The Hateful Eight prova a riproporre la struttura diegetica a incastro che aveva reso celebre il regista con Pulp Fiction, ma già brevettata in Reservoir Dogs. La lunghezza del film, però, non è giustificata né dalla trama (desolatamente prevedibile), né dai dialoghi (sorprendentemente deboli) e l’idea di presentare personaggi completamente negativi, cinici e dannati non fa che conferire pesantezza all’operazione. Buoni i primi venti minuti, con inquadrature riempite dal bianco della neve e dal vento incessante, anche se viene malignamente da pensare che, dopo Fargo (film e serie), sia difficile evitare uno spiacevole effetto di déjà-vu. Insomma, Tarantino prova la carta dell’abbuffata, cita il suo amico e collaboratore Robert Rodriguez di From Dusk till Dawn, e mette sul piatto una bistecca molto al sangue, condita di intrighi, bugie e tematiche nobili (avarizia, razzismo, misoginia). Eppure lo spettatore non può ignorare l’autocompiacimento che trasuda da ogni fotogramma. Quella leggerezza scanzonata di tono, che rendeva memorabili Pulp Fiction o Jackie Brown, qui diventa manierismo e credo che, per un regista come Tarantino, non ci sia nulla di peggiore. È desolante che le sue provocazioni si siano stemperate: anche la (così tanto pubblicizzata) violenza non lascia alcun segno, e dire che Django – che già nei suoi roboanti 30 minuti finali mostrava segni di cedimenti strutturali – ci aveva offerto alcune delle scene più insopportabili del cinema contemporaneo. Il problema è che storia di The Hateful Eight non supporta più il massacro, ma Tarantino non riesce ad accontentarsi – a differenza del ben più modesto Rodriguez – di confezionare un film gore, ma si sente il dovere di incuriosirci, sfidarci e stimolarci intellettualmente: in queste pretese sta il suo fallimento. Avevo letto di un film feroce, capace di colpire nello stomaco più e meglio di Kill Bill o Django, mi sono trovato davanti un prodotto pretenzioso, l’opera di un regista che non ha smesso di frequentare il postmoderno, ma che ha la grave colpa di prendersi terribilmente sul serio. E questo, nell’universo tarantiniano, è forse il peccato capitale più intollerabile. La sera dopo mi sono rivisto Reservoir Dogs e tutto ha ripreso un po’ di senso.
{module Articoli correlati}
Articoli correlati
Nessun articolo correlato.
-
L’interpretazione e noi
-
Capuana tra gli «ismi»
-
Libri in valigia: i consigli della redazione per l’estate 2024
-
La letteratura per i cittadini: rileggere Auerbach
-
L’illuminismo mio e tuo. Il carteggio fra Italo Calvino e Leonardo Sciascia
-
-
La scrittura e noi
-
Dulce literarum otium: chi ascolta, chi legge, chi interpreta?
-
«Sporgersi»: Il realismo è l’impossibile di Walter Siti
-
“Velare il discorso e ri-velarlo”. Intervista a Enrico Terrinoni
-
Non tutti i milites vengono per nuocere. Su “Miles Gloriosus” di Plauto
-
-
La scuola e noi
-
Formazione docenti e università telematiche private: l’anomalia italiana
-
CCC*
-
L’aguzzino benevolo o della narrazione sull’Esame di Stato
-
Ma di quale De Amicis stiamo parlando? Al margine delle polemiche sul futuro curricolo di storia nella scuola primaria.
-
-
Il presente e noi
-
La guerra dei cent’anni di Rashid Khalidi. Colonialismo d’insediamento e cancellazione della Palestina
-
La resistibile ascesa delle destre
-
Lettera aperta dei professori e del personale delle università di Gaza al mondo
-
L’oppositore. Matteotti contro il fascismo: un saggio di Mirko Grasso
-
Commenti recenti
- Alunia su Insegnare, con freschezza: una conversazione con Marco BalzanoGrazie per questa conversazione illuminante con Marco Balzano. Mi ha colpito molto l’idea della scuola…
- Francesco Ortisi su Libri in valigia: i consigli della redazione per l’estate 2024A proposito di “scuola democratica: L’istruzione e la formazione devono tornare al centro del discorso…
- L’esame di Stato non valuta la maturità degli studenti – Scomodo su La “maturità” della scuola. Un secolo di esami di Stato tra letteratura, politica, e società/ 3[…] del declino burocratico-amministrativo e delle alterazioni aziendaliste della scuola, notando che «di quelle speranze…
- Anna Boschetti su La guerra dei cent’anni di Rashid Khalidi. Colonialismo d’insediamento e cancellazione della PalestinaArticolo molto informato ed efficace, merita la più ampia diffusione
- Lettera aperta professori e personale delle università di Gaza su La distruzione delle università di Gaza[…] La distruzione delle università di Gaza […]
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Annalisa Nacinovich, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Daniele Lo Vetere
Editore
G.B. Palumbo Editore
Lascia un commento