
Come delfini in mare
1.
Camminando sotto casa, in un cespuglio ho udito sfrascare. L’ombra di un animale si è profilata nel folto, subito è sparita nel bosco. Un cinghiale, ho pensato, o un cerbiatto. Due giorni dopo, ripassavo dallo stesso punto col cane. Ho sentito grugnire nella forra sotto la strada asfaltata. Un cinghiale, certamente. Svoltato l’angolo, preso il viottolo, mi sono trovato nel mezzo di una nidiata di cinghialini. Scappavano goffamente in tutte le direzioni, a raggiera. Il cane li ha inseguiti, più per gioco che per istinto di caccia.
L’ho richiamato e mi sono arrestato. Meglio aspettare che la madre, probabilmente nascosta da qualche parte, si allontani. Non sarebbe stato simpatico un faccia a faccia con lei. Dopo cinque minuti ho ripreso il cammino sul sentiero e subito di nuovo ho sentito sfrascare nella forra. Questa volta il cane si è slanciato, e subito dopo ho sentito i suoi guaiti, stridi disperati. Ecco, ho pensato, la madre lo ha sventrato. Ma un attimo dopo il cane è tornato trafelato. Tremava per il terrore, gli era venuta la diarrea. Ho sorriso. La curiosità evidentemente era stata maggiore del coraggio. L’ho calmato, e poi abbiamo ripreso il cammino. Dopo poco il sentiero scendeva in basso e curvava a sinistra, nella valle. E allora volgendomi indietro, guardando in alto verso la strada percorsa, li ho visti. Un gruppo di cinghiali al galoppo. Sopra di me, nel campo tutto verde d’erba altissima le groppe scure andavano su e giù, apparivano e scomparivano. Come delfini in mare.
2.
La guida dell’isola d’Elba parla di una spiaggetta incontaminata. Per arrivarvi, bisogna percorrere in auto una strada sterrata, poi, arrivati alla fine, parcheggiarla e prendere un sentiero in mezzo al bosco.
Ho trovato subito la strada sterrata. Ma con mia sorpresa qualcuno aveva posto al suo imbocco un cartello di divieto di accesso e un avviso “Procedere solo a piedi”. Rassegnato, ho lasciato l’auto e mi sono inoltrato a piedi. Era l’ora del tramonto e questo imprevisto rischiava di farmi far tardi. La strada scendeva verso in mare con una serie dolce di curve. Strano. Non c’era nessuno, nessuno sembrava frequentarla ed era perfettamente tenuta, larga, senza buche né sassi. Dopo due chilometri, una grande villa, con davanti un SUV enorme, che evidentemente era arrivato per quella stessa strada che io avevo fatto a piedi (d’altronde, altre non ce ne erano). Evidentemente il proprietario si voleva godere da solo la strada e il paesaggio. Poco dopo, sulla sinistra, ecco il sentiero descritto dalla guida. Si snodava nel bosco, a mezza costa, fra chiazze di sole e di ombra. Di tanto in tanto giungeva il rumore del mare, ma era solo un’eco lontana. Il posto doveva essere più remoto di quanto pensassi. Dovevo affrettarmi, non volevo esser sorpreso nel bosco dal buio. Finalmente, ecco sotto di me la caletta. Stretta fra due pareti di roccia, col bosco alle spalle, il mare davanti, uno specchio tranquillo. In fondo alla cala la linea dell’orizzonte era già tutta arancione. Un paradiso. Sono sceso sulla spiaggia, e di colpo una massa scura ha attirato la mia attenzione. Sul bagnasciuga, un grande delfino. Spiaggiato. Morto, con i denti protesi verso il mare, la bocca spalancata . L’acqua gorgogliava sotto il ventre rossastro. Altre macchie rossastre sul dorso. Mi è venuto in mente che i giornali avevano parlato di un morbillo che uccideva i delfini indeboliti dall’inquinamento marino. Ne erano stati trovati diversi sulle spiagge toscane.
Sono tornato indietro. Le ombre sul sentiero erano diventate più fitte. La strada privatizzata, l’acqua inquinata. Come delfini in mare ormai è solo un paragone letterario, tutt’al più una metafora.
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