Amore a geometria variabile nel romanzo di Alessandra Sarchi
E’ cambiata la geometria dell’amore, ci suggerisce Alessandra Sarchi con il suo romanzo L’amore normale, pubblicato due anni fa e ancora atto a confermare che è possibile una “letteratura che esplori i sentimenti e non sia quella serializzata delle nuove Liale […], un brand, un marchio di garanzia per vendere” (http://www.alessandrasarchi.it/wp-content/uploads/2014/09/Pigmei_Pagina-99.pdf).
Rispetto al tradizionale “triangolo” contemplato in tanta narrativa “rosa”, il libro di Sarchi sembra prediligere un problematico quadrilatero: si tratta di un ménage che può far pensare a un trapezio scaleno, perché qualche elemento sghembo c’è, in questo amore del terzo millennio.
Al centro del romanzo sta una rodata coppia di coniugi, Laura e Davide: hanno due figlie, un lavoro sicuro (insegnante lei, medico lui), una vita di coppia assestata ma turbata – un anno prima dell’avvio della vicenda raccontata – da un tumore al seno. E’ stata l’irruzione della malattia – peraltro priva di conseguenze fisiche gravi – a mettere in moto meccanismi sopiti in Laura, che non vuole essere compatita o trattata con troppe attenzioni, ma desidera piuttosto ritrovare il gusto per la vita e tornare a emozionarsi. L’incontro fortuito con un amore di vecchia data, Fabrizio, rappresenta tutto questo: è l’uomo che sa suscitare in lei l’allegria anche il giorno prima di farsi operare, quando invece Davide non sa celare tutti i suoi timori.
Ed è in modo altrettanto casuale che Davide conosce Mia al reference desk della biblioteca pubblica presso cui si è recato per una ricerca d’archivio: Mia è giovane, fresca, libera – una calamita da cui Davide è inevitabilmente attratto:
Forse perché c’era meno distanza tra noi o perché si era accalorata parlando – sotto le ascelle un lieve alone di sudore – fatto sta che ho risentito il profumo del giorno prima. Odore di limone, una presenza così forte da costringermi a indagarne la natura, farmi delle domande sulla sua provenienza, il suo passato. Non sapevo quasi nulla di questa donna così vicina in quel momento, e che stava già per andarsene verso un futuro altrettanto in conoscibile e distante.
Poi c’è stato uno scarto. Rimanendo seduta si è chinata a raccogliere un tovagliolo caduto per terra, tenendomi il braccio per non perdere l’equilibrio. Rialzandosi, con le guance arrossate e i capelli sugli occhi, ha detto: «Mi baci?» (pp. 84-85)
I personaggi di questo trapezio cominciano così la loro doppia vita: la fetta di esistenza percepita come autentica si svolge fuori casa, nelle pieghe della clandestinità mentre la vita “normale”, priva di scosse, continua a produrre una quotidianità accettabile, nella quale ciascuno vive le sue grandi o piccole prove. Mia, il personaggio più giovane e più vitale del quadrilatero, oltre a capire se vorrà relegarsi nel ruolo dell’amante a vita, deve reinventarsi un lavoro, dopo aver visto scadere il contratto a tempo che aveva in biblioteca; Fabrizio è alle prese con un secondo matrimonio complesso, poco lineare, nel quale si sente escluso dalle scelte più importanti e dolorose della moglie e della figlia adolescente di lei; Davide e Laura fanno i conti con un matrimonio ormai opaco ma non rissoso e con la crescita prepotente di Violetta, la loro primogenita che, a sua volta, vive le sue prime esperienze amorose con il coetaneo Guido.
L’autrice sceglie di condurre questo tourbillon di amori alternando le voci narranti, mutando i punti di vista, spostando le prospettive, muovendosi con mimetismo tra i tanti io narranti: sa mettersi nei panni della differente e ricca psiche dei personaggi maschili così come riesce a realizzare figure femminili sfaccettate e complesse (tra le altre quella di Giovanna, l’amica di famiglia di Laura); rivive con Violetta i turbamenti e i desideri di un’adolescente; dissemina nelle pagine un erotismo delicato e pervasivo che non è mai disgiunto dal coinvolgimento amoroso:
L’amore che abbiamo fatto dopo, appoggiati a una roccia piatta, è stato necessario come un battesimo. Ogni volta ci arriviamo ciechi, come chi ha avuto la testa avvolta nella nebbia tutto il giorno senza il coraggio di confessarsi che è lì che torna di continuo il pensiero. Non c’è nemmeno stato bisogno di togliersi i vestiti, solo le scarpe, così che con i piedi ho sentito l’acqua. (p.194)
Il romanzo, diviso in due parti, si svolge in luoghi ben distinti che corrispondono a due fasi precise della vicenda e a posture interiori decisive per lo scioglimento della trama: la città fa da sfondo all’innamoramento e alla clandestinità delle due coppie di adulti mentre il mare del sud, con il caldo dell’estate, è lo scenario in cui i vertici del trapezio, ormai smascheratisi a vicenda, si confrontano in un’inedita vacanza a quattro alla fine della quale tutti i nodi dovrebbero sciogliersi .
Lungi dall’essere un romanzo che racconta in modo banale la mediocrità del tradimento, il libro di Alessandra Sarchi è la felice conferma di una scrittura matura, frutto di una cultura raffinata e di una sensibilità altrettanto densa e capace di scandagliare in profondità la mobilità dell’animo umano. Che la Sarchi sia una fine esperta d’arte passata alla narrativa lo dimostra la presenza di opere figurative assai diverse a fare da sfondo alla storia.
Il quadro di Primaticcio Penelope e Ulisse – la coppia del mondo classico che da sempre ha parlato alla modernità in forme e voci diverse – permette di tratteggiare l’ambivalenza tra verità e doppiezza che Laura e Davide, oramai rispettivamente presi dalle storie con Fabrizio e con Mia, provano davanti alla tela, esposta a una mostra che visitano insieme (Cfr. pp.129-137).
La Joie de vivre di Matisse – che Giovanna ha riprodotto nella sua camera della casa al mare – rappresenta allegoricamente l’illusione di Laura di poter vivere l’amore in un’immersione panica con la natura in cui ogni costrizione sociale, in primis l’istituzione matrimoniale, possa allentarsi e sciogliersi:
Guarda – le dice Giovanna, l’amica ormai attempata che ha vissuto il femminismo e i movimenti – questi a me sembrano dei, o semidei, i corpi atletici fieri della loro nudità. Alcuni non hanno nemmeno le espressioni del volto, solo un ovale, come se la gioia li avesse colmati. Avrebbero potuto farsi la guerra a vicenda, invece sono andati in un bosco. Almeno, Matisse li ha portati in un bosco. […] Avevano sviluppato la capacità di contemplarsi, di riconoscere come l’amore e il desiderio siano forze che ci fanno sentire unici. (pp.216-217)
Tuttavia è l’ultima in ordine di apparizione, ma la più antica e ancestrale raffigurazione iconografica, a porre il sigillo a questa vicenda: Laura accompagna Violetta, incinta, e Guido a visitare delle grotte punteggiate di graffiti primitivi dei Messapi: madre e figlia sono colpite dalla presenza di una donna gravida nella comunità tratteggiata ed è attorno a questa immagine che Violetta interroga la madre sulle intenzioni che erano sottese a quella strana vacanza: “E voi che regole intendevate darvi?”, chiede, aggiungendo poche righe dopo con una lucidità quasi implacabile “Tu volevi che fossimo come loro, primitivi, senza regole”. (p. 284) La risposta di Laura, riferita dapprima ai Messapi ma estesa ai contemporanei, porta in evidenza l’ingovernabile natura dell’amore:
L’amore deve averli sorpresi come una forza che non riuscivano a comandare. Dopo un po’ si saranno dati dei divieti, per limitare i danni. Però a noi è rimasta la traccia del conflitto, l’asimmetria che crea l’attrazione, quello sbilanciamento che ti tira fuori da te per desiderare più di tutto l’altro, ciò che è diverso. […] Non era previsto che si arrivasse a questa combustione. Questa libertà di dirsi le cose fuori dai ruoli. Ma lei ora sa molto più di quanto io le abbia mai detto, ha il suo pezzo di verità, di mondo, e io un dolore muto. (pp.285-286)
L’epilogo del romanzo, mentre riconferma la geometria variabile, e tratti potente e incoercibile, dell’amore costringerà Laura e Davide a fare i conti con l’amore più grande che sovrasta tutti gli altri, quello per i figli:
Amo tuo padre – dice Laura a Violetta mentre sono nella grotta – […] E amo Fabrizio. E te e Bettina sopra ogni cosa. Te e Bettina più di tutto. Ma queste cose non stanno mai insieme nella realtà, nello stesso tempo e nella stessa parte della mia testa. (p. 285)
Approdata alla scrittura con la misura breve della narrazione in Segni sottili e clandestini, giunta al romanzo con una spiccata sensibilità sociale e ambientale in Violazione (insignito del Premio Volponi Opera Prima), la Sarchi tocca in L’amore normale le corde più intime e profonde dell’uomo d’oggi e lo fa con un linguaggio sapiente e netto, mai banale che dà spazio a percezioni e stati d’animo, a pensieri e riflessioni, tenendosi lontana in modo siderale dal “rosa”.
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