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diretto da Romano Luperini

Astensionismo e crisi della democrazia

Astensionismo record in Lombardia e Lazio

L’astensionismo record raggiunto nelle ultime elezioni amministrative in Lombardia e Lazio getta una luce sinistra sullo stato di salute della nostra democrazia, che dovrebbe preoccupare le cittadine, i cittadini e le forze politiche e sociali che più conseguentemente si ispirano ai suoi principi. Il 12 e 13 febbraio si votava in due regioni molto popolose (circa un quarto dell’intero corpo elettorale) e importanti da punto di vista economico e politico. Dunque un test molto significativo. In entrambe le regioni la percentuale di votanti è crollata di circa il 30% (la Lombardia dal 73,1% del 2018 al 41,7% di oggi; il Lazio dal 66,6% al 37,2%, cosa che nella serie storica sfonda il limite più basso prima mai raggiunto, il 37,7% dell’Emilia-Romagna del 2014). A Roma si è raggiunto il punto più basso di afflusso alle urne di tutta la storia della Repubblica: ha votato solo un cittadino su tre. La percentuale dei votanti è stata particolarmente bassa nei quartieri più periferici della capitale, cosa indicativa dello stato di abbandono in cui versano le nostre periferie, nonostante la vuota retorica che su di esse si è fatta nell’ultimo decennio.

Il fenomeno era ampiamente prevedibile e l’avevo indicato nell’articolo precedente di analisi del voto alle politiche. Per capire in dettaglio quanto sta accadendo non abbiamo disponibili molti studi statisticamente fondati e l’idea che il “partito dell’astensione” arruoli prevalentemente elettori di centro-sinistra è più intuitiva che fondata sullo studio serio dei flussi elettorali. Le analisi disponibili sul profilo socio-demografico degli elettori e degli astenuti non segnalano particolari differenze per quanto si siano spesi in tal senso alcuni commentatori (ad esempio Goffredo Buccini su Il Corriere della sera del 14 febbraio scorso: ”sappiamo già che i protagonisti di questa fuga dalle urne sono i più giovani, che si sentono giustamente poco rappresentati e poco protetti, e i più disagiati: la coincidenza delle curve tra condizione di povertà e astensionismo è da tempo assai chiara”). Secondo l’analisi dell’istituto demoscopico You Trend i profili di chi ha votato e chi si è astenuto non sono distinguibili. Il direttore di You Trend, Lorenzo Pregliasco, ha dichiarato: “sembra effettivamente un’astensione trasversale a livello socio-demografico”.

Cause e conseguenze dell’astensionismo

Sono stati invocati vari motivi tecnici per spiegare l’astensione record, compresi quelli meteorologici (la stagione troppo fredda), ma è evidente che siamo di fronte ad un fenomeno di ordine generale, che sta dentro un trend di disaffezione al voto di alcuni decenni e che ci porta al livello di altri paesi come gli USA, dove da molto tempo la percentuale di votanti ballano intorno al 50%. Gli esponenti della destra hanno tagliato corto, dicendo che gli astenuti sono in larga misura di centrosinistra, ma anche di destra, dato che ormai la loro vittoria era scontata e quindi c’era poca motivazione ad andare a votare. In realtà la solita You Trend smentisce l’affermazione perché gli elettori sicuri della vittoria della destra sono molto di più tra coloro che sono andati a votare che tra chi non c’è andato (67% vs 50% in Lombardia e 55% vs 38% nel Lazio). Questo è di scarsa importanza per i politici di destra, a cui il deperimento della democrazia interessa il giusto. Si è visto il tiepido appello contro l’astensionismo fatto alla vigilia del voto dalla Meloni. Di sicuro sotto il profilo politico aver dato per scontata la vittoria della destra ha nuociuto alle forze del centro-sinistra, come già avevo notato alla vigilia del 25 settembre (cosa confermata da un agguerrito esperto di flussi elettorali come Antonio Floridia, PD Un partito da rifare?, 2022). Lo schieramento di centro-sinistra si è presentato diviso anche a questa tornata elettorale come alle precedenti politiche, puntando a marcare il proprio territorio (è stata la tattica del second best di Letta, Conte e Renzi-Calenda). È stato nuovamente battuto. Probabilmente in tal senso può essere letto il divario tra gli astenuti lombardi e laziali: la percentuale è superiore nel Lazio (62,8% vs 58,3), dove PD e M5S correvano divisi, rispetto alla Lombardia. Anche per questa via si ripropone l’annosa questione dell’unità a sinistra, anche se sotto le specie di un’unità almeno elettorale stante le vigenti leggi maggioritarie sia su scala nazionale che regionale. Si ripropone anche quella che Floridia definisce “una bufala”, cioè che “si vince al centro” con buona pace di Renzi e Calenda, come del resto dimostrano 70 anni di politiche compromissorie della sinistra.

Crisi della democrazia e rischio autoritario

Si ripropone la questione più generale della crisi della democrazia e del conseguente rischio autoritario, che torno a sottolineare. La democrazia sembra avere meno capacità di attrazione rispetto al passato per le cittadine e i cittadini, per le lavoratrici e i lavoratori, per “le masse” come si sarebbe detto un tempo, leggendo l’articolo 1 della nostra Costituzione. I lavoratori sono scomparsi dai monitor del lessico politico, di destra e di sinistra, sostituiti dalla locuzione ipocrita di “imprese e famiglie”, che ideologicamente annulla la divisione tra le classi sociali. L’astensionismo diffuso gioca a favore della destra e non solo sul piano elettorale, ma anche perché rimanda ad un’idea di società in cui tutte le leve decisionali stanno nelle mani di pochi “ottimati”, che hanno risorse finanziarie per fare politica e per governare la carta stampata e i nuovi e vecchi media. Si profilerebbe in base a questa lettura una sorta di repubblica oligarchica, nel cui modello costituzionale stanno sia il presidenzialismo sia l’autonomia differenziata, intesa come secessione delle regioni ricche con il definitivo declassamento del Sud a “colonia interna”. È lo stravolgimento costituzionale, che sta nei programmi della destra, accompagnato dal ridimensionamento dello stato sociale con la progressiva privatizzazione del sistema sanitario e la riduzione del sistema scolastico ad una burocratizzazione selettiva, che bloccherebbe definitivamente ogni mobilità sociale vero l’alto e sposterebbe nel privato la formazione delle élite dirigenti. Ancora una volta è “il fascismo morbido”, su cui sembra puntare il governo Meloni con il sostegno della grande borghesia italiana e con la gestione “giolittiana” del caso italiano a opera della tecnocrazia europea.

Opporsi e resistere con le passioni vitali

Per opporsi a questo progetto, manca non solo una linea di unità a sinistra, ma per usare la terminologia di Gramsci la “linea progressiva”, che unifichi le forze del lavoro e della democrazia intorno ad alcune idee guida di uguaglianza e di giustizia sociale capaci di suscitare quelle “passioni” vitali, che possono attrarre le masse dei nuovi proletari, prodotti dalla rivoluzione informatica, le donne e le persone transgender che vogliono liberarsi, e le nuove generazioni. Tali passioni possono esercitare un ruolo egemonico, culturale e politico verso gli altri strati sociali. Viviamo nell’epoca delle “passioni tristi” come ha scritto, utilizzando la terminologia di Spinoza, uno dei leader del movimento no-global, Miguel Benasayg, filosofo e psicoanalista argentino delle banlieue parigine, che ha combattuto a fianco del Che. La tristezza del nostro presente, egemonizzato dal neo-liberismo, ha trasformato il futuro come promessa di emancipazione umana in un orizzonte fosco privo di speranze, schiacciato tra i rischi di catastrofe della guerra atomica e quelli di catastrofe ecologica. Abbiamo bisogno di passioni politiche vere, che ci aprano la strada verso l’avvenire.

Per il momento è necessario resistere anche con modeste iniziative costruendo nuclei anche piccoli di compagne e compagni che lavorino all’estensione della rete dei comitati per la democrazia costituzionale, che si preparino alla difesa della Costituzione, che raccolgano le firme per la legge di iniziativa popolare contro l’autonomia differenziata per inceppare la nuova “porcata” di Calderoli e che utilizzino perfino i gazebo delle primarie del PD per dare una spinta dall’esterno e spostarne l’asse politico a sinistra.

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