Due o tre note sull’ideologia del Movimento 5 Stelle
Il Movimento 5 Stelle rifiuta le ideologie. Ma in realtà ha una propria solidissima, e molto ingenua, ideologia.
Il Movimento dichiara di non essere né di destra né di sinistra. Esistono, afferma, solo decisioni buone o cattive (dobbiamo abituarci a questo schematismo morale di tipo manicheo), provvedimenti che fanno gli interessi del 99% della popolazione e altri che fanno solo quelli di un piccolo gruppo di potenti. Per prendere buone decisioni basta seguire la tecnica e la tecnologia. Conoscere le cose significa conoscere tecnicamente le cose: le leggi, i regolamenti, in cui i grillini diventano rapidamente espertissimi, la macchina delle decisioni, i funzionamenti e le informazioni della rete, vista come divinità onnipotente e positiva. La tecnica insomma. La tecnica per il Movimento è innocente, al più neutrale, ma in genere progressiva. L’ideologia della tecnica e della tecnologia si trasforma così in mistica (evidente nella futurologia di Casaleggio). Che la tecnica non sia affatto neutrale né in sé necessariamente positiva, che abbia incorporato nel proprio DNA un preciso sapere-potere, che risponda a determinati interessi e che insomma dipenda da un preciso comando ed esiga altrettanta precisa obbedienza, sfugge ai grillini. Il loro ingenuo scientismo tecnologico è frutto di questi anni in cui molti hanno un computer e un cellulare multiuso, e in cui, si immagina, sapere vuol dire sapere consultare Wikipedia e aggiornarsi sulla rete. Se al parlamento europeo occorre comunque allearsi con qualcuno, inutile stare tanto a guardare per il sottile: non conta essere di destra o di sinistra, basta tecnicamente arrivare a certi numeri, con chi non importa.
Come in ogni mistica religiosa, il discrimine fra “buoni” e “cattivi”, fra “puri” e devianti o eretici è fortissimo. Da un lato il sistema, dall’altro loro, i grillini. Il sistema è immaginato all’ingrosso, come una piovra che coi suoi tentacoli manovra e controlla. Bisogna scardinarlo e sostituirlo con qualcosa che resta sempre indefinito, anche se si capisce che, spazzate via le mediazioni intermedie, sarebbe regolato da decisioni prese soprattutto attraverso referendum elettronici. Dal sistema loro non si lasciano contaminare. Rispetto agli altri (a tutti gli altri) i grillini si considerano diversi, se non superiori, degli eletti, e per questo tendono a marcare le distanze da tutti gli altri, sino al dileggio e alla irrisione. Anche al loro interno sono sempre alla ricerca di eretici da epurare. Il dissenso diventa subito una eresia da mettere all’indice, scomunicare, espellere.
Ovviamente si tratta di una mistica ipermoderna, cioè sostanzialmente mediatica. Il leader è una star, ha una storia famosa alle spalle, un’aureola mediatica sulla testa, sa parlare alle telecamere, è ricchissimo, ha ville, auto, tutto ciò che una star deve avere. Soprattutto sa parlare alle folle, usando la tecnica che d’Annunzio e Mussolini avevano promosso un secolo fa e Berlusconi ha perfezionato in senso mediatico nell’ultimo ventennio, con degrado crescente del linguaggio e del costume civile. Dialogo con la folla che risponde a comando, anzitutto. E poi: parolacce, giochi osceni di parole, barzellette, battute, linguaggio bellico (“arrendetevi”, “siete circondati”, “è la guerra, è la guerra”…) che evoca astutamente la violenza mentre sembra escluderla dai concetti effettivamente svolti.
In questa ideologia, tutto torna. La coerenza non manca, favorita da una rassicurante semplificazione. Chiunque può fare politica. Non perché chiunque può avere una passione, una idea, una prospettiva, una speranza politica, ma perché chiunque può usare un computer e imparare ceti comportamenti tecnici. Una lunga preparazione non serve. Le mediazioni non servono. La politica la fa direttamente ciascuna persona, senza deleghe. Tutto è facile, tutto è semplice. Le complicazioni, la necessità di approfondimenti complessi, la esigenza di mediazioni sono solo trucchi messi in giro da una cricca di congiurati al potere.
Siccome essere “buoni” e fare il “bene” è semplice e facile (il che incoraggia tutti, lusingando la grande massa esclusa dal potere, anonima e frustata), se il male esiste deve essere un grande complotto a produrlo. Se si escludono dall’analisi le grandi forze economiche e sociali che fanno la storia, non resta che la personalizzazione estrema. Se non si studiano i conflitti sociali e le contraddizioni materiali, non rimane che questa conclusione: è il malvagio interesse di singole persone o di pochi gruppi che produce il male. E’ la logica imperante del complotto. Di qui un atteggiamento perennemente inquirente e sospettoso, a volte socialmente utile, a volte invece solo fastidioso.
Uno, si dice, vale uno. Tutti devono valere allo stesso modo, come accade nei referendum. Democrazia diretta. O meglio: regolata dall’elettronica. Chiunque vota premendo un tasto sul computer, conta. Le decisioni, dicono, si prendono così. Ma questa forma di rappresentanza spesso non è affatto democratica: non tutti intanto possono parteciparvi (l’esercizio della tecnologia è anche una forma di privilegio sociale); inoltre essa dipende sempre da come vengono presentati i quesiti e dalla loro stessa scelta, e dipende anche dalle circostanze di fatto in cui il referendum si svolge e che spesso vengono precostituite ad arte: se prima si prendono accordi con una forza xenofoba inglese, e si propaganda questa soluzione lasciando in ombra le altre possibili, sarà difficile poi che non prevalga.
Infine. Siccome si sa che in uno stato, in una società articolata e complessa, in una grande nazione, non sempre è possibile la immediata democrazia elettronica, a decidere di fatto saranno un paio di persone, fra l’altro prive di delega a svolgere questa funzione (dato che deleghe non ci sono). Il sogno della democrazia diretta si trasforma così in leaderismo e in autoritarismo. Uno vale uno per quasi tutti, non per tutti. Pochi, quelli che hanno il controllo del blog e delle informazioni e della tecnologia che lo guida, possono decidere tutto.
La civiltà ha bisogno di mediazioni. Certo, può guastarsi per eccesso di mediazioni, come è successo da noi. Ma la soluzione non è tornare allo stato di barbarie, quando le mediazioni non esistevano affatto. La civiltà richiede competenze, specializzazioni, deleghe revocabili e controllate. Ma controllate dalla partecipazione diretta alla politica, che è altra cosa dalla partecipazione telematica.
{module Articoli correlati}
Articoli correlati
Comments (5)
Lascia un commento Annulla risposta
-
L’interpretazione e noi
-
Sul Narratore postumo di Sergio Zatti
-
Tra neorealismo e persistenze moderniste: il romanzo italiano degli anni Cinquanta
-
Il romanzo neomodernista italiano. Questioni e prospettive – Tiziano Toracca dialoga con Federico Masci e Niccolò Amelii
-
Professori di desiderio. Seduzione e rovina nel romanzo del Novecento
-
-
La scrittura e noi
-
Antifascismo working class. Intorno all’ultimo libro di Alberto Prunetti
-
Auster in aula
-
Oggetti dismessi tra incendio e rinascita – Sul romanzo d’esordio di Michele Ruol
-
Luperini-Corlito, Il Sessantotto e noi
-
-
La scuola e noi
-
La scuola ai tempi del Mim /1: cultura di destra e crisi della globalizzazione liberal
-
I paradossi dell’orientamento narrativo
-
Omero e noi
-
Contare le parole
-
-
Il presente e noi
-
Il convegno di LN: i laboratori/1. Oltre le ideologie del digitale
-
Il convegno di LN: le relazioni/3. La formazione docenti (di letteratura) iniziale e in itinere
-
Il convegno di LN: le relazioni/2. I docenti e la lettura
-
Il convegno di LN: le relazioni/1. I docenti di lettere e la didattica della letteratura
-
Commenti recenti
- Attilio Scuderi su La scuola ai tempi del Mim /1: cultura di destra e crisi della globalizzazione liberalRingrazio Daniele Lo Vetere per questa prima, lucida tappa di una riflessione che seguirò con…
- Oliviero Grimaldi su Soft skills /2. Come ti spaccio le “soft skills” per risorse emotive della classeMolto interessante e quasi del tutto condivisibile. Resta aperto un problema: la stragrande maggioranza dei…
- CONVEGNO LN “LA DISUMANIZZAZIONE DELLA VITA E LA FUNZIONE DELLE UMANE LETTERE” | ADI-SD SICILIA su Il convegno di LN: i laboratori/1. Oltre le ideologie del digitale[…] La relazione del laboratorio didattico curato da Alberto Bertino e Stefano Rossetti: Oltre le…
- Teresa Celestino su Il convegno di LN: le relazioni/3. La formazione docenti (di letteratura) iniziale e in itinereBellissimo intervento. Del resto, sostenevo molte delle posizioni qui presenti in un contributo scritto qualche…
- CONVEGNO LN “LA DISUMANIZZAZIONE DELLA VITA E LA FUNZIONE DELLE UMANE LETTERE” | ADI-SD SICILIA su Il convegno di LN: le relazioni/2. I docenti e la lettura[…] Leggi anche I docenti di lettere e la didattica della letteratura e I docenti…
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
Di quale ideologia moriremo?
Questa critica all’ideologia del Movimento 5 Stelle è del tutto condivisibile. Ma, per completare il quadro, dovrebbe essere accompagnata da una critica all’ideologia renziana, che nella sostanza ha i medesimi difetti.
IL M5S HA SEMPRE RAGIONE E RENZI NON ESISTE
Tento di controbilanciare l’articolo e il relativo commento con due mie note di tempo addietro
dai titoli e toni volutamente provocatori ma con una provocazione che vorrebbe essere significativa (significativa di una qualche verità politica):
IL M5S HA SEMPRE RAGIONE (ANCHE QUANDO HA TORTO)
Il M5S ha ragione anche quando ha torto o per dirla in altri termini non sbaglia mai neanche quando sbaglia; neanche quando i suoi sostenitori sono peggio di quelli di tutte le altre forze politiche. Perché il M5S è l’unica realtà politica oggi operante in Italia e forse nel mondo con caratteristiche rivoluzionarie. E la rivoluzione non può mai essere sbagliata. Perché la rivoluzione è cambiamento e il cambiamento è il cambiamento di ciò che c’è in nome di ciò che non c’è. La rivoluzione quindi va nella direzione di ciò che non c’è e ciò che non c’è in quanto non c’è non può mai essere sbagliato. Sbagliato e doloroso può essere soltanto ciò che c’è. Non necessariamente ciò che c’è è sbagliato e doloroso. Ma se lo sbaglio e il dolore esistono allora riguardano per forza ciò che esiste, ossia ciò che c’è. E che cosa c’è adesso? Il consumo universale di uomini e cose. Ed è sbagliato il consumo universale di uomini e cose. È sbagliato perché è doloroso e ogni dolore evitabile è uno sbaglio. Ed è sbagliato perché è stupido ed ogni scemenza evitabile è uno sbaglio. Il consumo universale è una scemenza evitabile perché è inevitabile che comunque vada qualche cosa esista. Fosse anche il consumo stesso. Dunque consumare non ha senso perché ottiene l’effetto opposto di quel che richiederebbe la sua natura. La natura del consumo richiede la distruzione, l’annichilamento. Ciò che ottiene – scomparissero pure tutti gli uomini e tutte le cose – è il qualcosa inevitabile. Fosse pure questo qualcosa il consumo stesso. Purché non sfoci nel delitto – cioè in qualsivoglia forma di distruzione – la rivoluzione del consumo, ogni tentativo di rivoluzionare il consumo, di ridurre il consumo, non può sbagliare mai. Non c’è sbaglio se non c’è distruzione. E non c’è distruzione in una rivoluzione che vuole rivoluzionare il consumo, cioè la distruzione. Non c’è sbaglio nella negazione della distruzione. Sia perché la distruzione è lo sbaglio, in quanto autodistruttiva e quindi autocontraddittoria, negatrice di sé stessa, sia perché sbagliare sbaglia solo ciò che c’è e la rivoluzione del consumo ancora non c’è.
RENZI NON ESISTE
Renzi non esiste. Non è una persona politica. Non ha idee, non ha progetti, non ha né scienza né etica per la politica. Non ha idee, non ha progetti, non ha né scienza né etica per la politica che non siano quelli – il cui dominio è tuttora perdurante – del consumismo. Del consumarsi di lavoro e del consumare l’ambiente con ogni sorta di sprechi in nome di ogni sorta di idiosincrasia simbolica. A partire da quella della tradizione. Cioè dello spreco perché siamo abituati, addomesticati a sprecare. (Stesso dicasi del lavoro, dello stacanovismo borghese, causa prima e ben cospirata della disoccupazione e cioè dell’ingiustizia.)
Renzi non esiste. È solo il nome che l’economia di mercato, il conformismo o cerebrolesione dell’economia di mercato, ha assunto oggi in Italia. Andreotti, Berlusconi, Renzi: il gattopardismo dell’economia di mercato in Italia. Economia di mercato che come tale non ha nulla a che vedere con l’Italia – il mercato, il consumo e l’ingiustizia essendo inter-nazionali. Allora anche l’Italia o la Francia sono soltanto dissimulazioni – con il loro nome che farebbe credere a nazioni – dell’economia di mercato. Cioè dell’organizzazione consumistica mondiale. Cioè dell’organizzazione nichilistica mondiale. Consumare, annichilire – prima di tutto l’anticonformismo; la possibilità di non conformarsi – e quindi di non consumare e di non annichilire.
Consumare, annichilire, Renzi: sono sinonimi. Si dice “Renzi” per non dire “consumare”, “annichilire”. Renzi è in Italia la dissimulazione vigente e imperante del consumare e dell’annichilire. Del consumare e dell’annichilire la possibilità – culturale e colturale – di non consumare e di non annichilire. Possibilità consumata e annichilita con la prostituzione del patrimonio culturale, la burocratizzazione della scuola, i test, i concorsi, il nozionismo, il “merito” (solo per test, concorsi, nozionismo); infine e ovviamente lo spettacolo della compravendita dappertutto. “Fiera delle vanità”, la chiamavano quando ancora non era totalitarismo.
Renzi non esiste. Viene votato proprio perché non esiste. Perché non cambia niente. Perché non aggiunge niente all’esistente. Niente di diverso da quel consumare e annichilire in cui consiste l’esistente oggi e da troppo tempo; troppo che prima o poi quantitativamente straboccherà nell’irreversibile.
Renzi non esiste. È l’estrema autoconvinzione della borghesia (cioè del consumo e dell’annichilamento: e consumo e annichilamento proprio a causa di questa convinzione) di esistere solo e soltanto e sempre lei.
Renzi non esiste. Altrimenti non sarebbe perfetto il suo non dire niente – per chi non è capace di ascoltare né di sentire niente. Ma anche qui: finché si può, finché si potrà, non ascoltare, non sentire? Finché potrà, insomma, il nulla dare l’illusione di esistere?
Frattanto il potere ce l’ha chi – come il giornalismo – cavalca quest’illusione. E chi è costui? L’illusione stessa! Perché chi cavalca l’illusione del niente non può che essere a sua volta niente. Niente o Renzi. Renzi o giornalismo.
Il problema è che siccome il niente non esiste – e infatti si tratta dell’illusione del niente – Renzi pur non esistendo come persona politica ma soltanto come illusione del niente: ha fatto, fa, farà, male e male. Non foss’altro – e non lo è: perché c’è molto e molto altro – quello di quest’illusione; perpetrarla.
Rivoluzione?
Apprezzo lo spirito critico, ma non condivido le considerazioni di Tommaso Franci, che non conosco e voglio immaginare molto giovane. Sia nella sostanza politica, che mi pare debole. Sia nella forma in cui espone il suo pensiero, che gioca troppo sul paradosso provocatorio e non si cura di dimostrare o argomentare.
Sul secondo testo (Renzi) ho poco da dire: mi pare confuso e generico (e per un’analisi più attenta ed elaborata rimanderei a questo link: http://www.poliscritture.it/2014/04/29/2034/). Sul primo invece (M5S) mi permetto queste puntuali obiezioni:
Non capisco quale fondamento possa avere l’affermazione:« il M5S è l’unica realtà politica oggi operante in Italia e forse nel mondo con caratteristiche rivoluzionarie». In cosa sarebbe rivoluzionario? Non so quale sia l’idea di rivoluzione di Franci. Sicuramente, però, da quel che scrive, non tiene conto della storia e delle rivoluzioni vere. La rivoluzione avrebbe in qualsiasi caso e a priori un valore positivo («La rivoluzione quindi va nella direzione di ciò che non c’è e ciò che non c’è in quanto non c’è non può mai essere sbagliato»). Mancandole ogni specificazione, rimane cosa indeterminata. Una rivoluzione dall’alto o dal basso, fascista o socialista, andrebbe bene lo stesso? Produrrebbe eventi equivalenti? Ed ogni «cambiamento» è, di per sé, sicuramente positivo? Se così fosse, allora anche quello in corso, che definiamo grossolanamente globalizzazione o mondializzazione, andrebbe bene. Non capisco poi cosa sia «il consumo universale di uomini e cose». Chi consuma? Chi sono i “consumati”, quali le cose consumate e perché? E perché questo “consumo” sarebbe una «scemenza evitabile»? La rivoluzione consisterebbe nel «rivoluzionare il consumo», nel distruggere ogni forma di consumo?
Su questa base non penso che si possa avviare la riflessione che auspicavo. Un saluto
Rivoluzione!
Apprezzo il buon senso, ma non condivido le considerazioni di Ennio Abate, che non conosco e voglio immaginare molto vecchio. Sia nella sostanza politica, che mi pare debole. Sia nella forma in cui espone il suo pensiero, che non gioca e perciò non dimostra né argomenta.
Sul secondo testo (Renzi) ho poco da dire: non mi pare né confuso e né generico (e comunque sia per un’analisi più attenta ed elaborata rimanderei a questo link: http://www.tommasofranci.it/potere-e-prostituzione-nellitalia-di-berlusconi-retrospettiva-filosofica-per-un-futuro-con-almeno-qualche-stella/ ). Sul primo invece (M5S) mi permetto queste puntuali reiterazioni:
Capisco bene quale fondamento possa avere l’affermazione:« il M5S è l’unica realtà politica oggi operante in Italia e forse nel mondo con caratteristiche rivoluzionarie». Non so quale sia l’idea di rivoluzione di Abate. Sicuramente, però, da quel che scrive, non tiene conto di quanto scrivono gli altri:
1) la rivoluzione (= cambiamento) non può mai essere sbagliata a priori perché a priori riguarda ciò che non è, ciò che non esiste, e ciò che non è non può essere sbagliato;
2) ciò che non è non può essere sbagliato ma può essere giusto qualora il suo scopo sia l’ottenimento della conditio sine qua non della giustizia, cioè l’esistenza;
3) il consumismo (il potere presente) minaccia l’esistenza (i dati sul collasso ecosociale dovrebbero essere di dominio pubblico);
4) chi si oppone (e quindi progetta di rivoluzionare) tale status quo fa per forza e a priori qualche cosa di giusto (nega la negazione …);
5) una rivoluzione dall’alto o dal basso, fascista o socialista, non va bene lo stesso perché esse non si propongono di rivoluzionare uno status quo di distruzione fisica dell’ambiente (non sono anticonsumistiche, non sono ecologiche); anche se la rivoluzione socialista va bene a priori per quanto riguarda il suo voler rivoluzionare (cambiare) la distruzione degli uomini.
Su questa base penso che si possa avviare la riflessione che auspicavo. Un saluto
Mannaggia!
@ Franci
Mannaggia!
Lei sbeggeggia
e troppo filosofeggia.
Faccia pure la sua rivoluzione
mi avvisi però
e se ancor tra i vivi sarò
all’inaugurazione
giuro – verrò.
Doppio saluto. Passo e chiudo.