Inchiesta sul lavoro di editor/13: Laura Cerutti (Feltrinelli)
A cura di Morena Marsilio e Emanuele Zinato
- Editing e condizioni materiali del lavoro intellettuale. Qual è il suo rapporto lavorativo e quanti libri è chiamato a editare in un anno?
Lavoro come editor della narrativa italiana in Feltrinelli dal 2015 con un contratto di assunzione a tempo indeterminato – il primo dopo anni di consulenza editoriale in altre realtà aziendali.
Il numero di titoli da editare (e prima ancora da acquisire) può variare un po’ da un anno con l’altro, ma ultimamente si tratta sempre di una cifra sopra i 20 titoli. Ma c’è da tener conto che spesso, mentre si lavora ai libri in programmazione, si continuano anche a seguire gli autori dei titoli usciti nei mesi precedenti, per un confronto sulla ricezione e per eventuali premi, iniziative ed eventi, e intanto si sta già lavorando su progetti dell’anno seguente o di quello ancora successivo, perché le gestazioni narrative possono essere lunghe.
- Su che basi si imposta il dialogo tra l’editor e lo scrittore. Come viene “associato” un autore a un editor (per affinità tematiche, di generi letterari…); quanto del lavoro di editor può rientrare in queste categorie: semplice revisione (ruolo tecnico), interpretazione (ruolo di critico); riscrittura (ruolo creativo). Quanto e come queste tre funzioni si traducono in un dialogo con l’autore?
Il dialogo, proprio perché è tale, varia moltissimo a seconda dello scrittore o della scrittrice con cui lavoro, e naturalmente anche in rapporto alla fase in cui si trova la composizione del testo. Tengo a specificare subito che mi occupo di narrativa letteraria italiana, e che parlo della mia esperienza: altri tipi di testi e di generi hanno modalità di lavoro estremamente dissimili. Per quanto mi riguarda è importante comprendere di volta in volta di cosa hanno bisogno sia il testo sia chi lo ha scritto, lo sta scrivendo o lo scriverà: come si può immaginare, un conto è infatti partire da un testo finito, un altro è iniziare a parlare di un’opera senza che ancora ne sia stata scritta una parola – giusto per citare i due casi limite. Nel secondo caso possono servire molti incontri e molte telefonate per comprendere quale progetto possa lievitare e come. Si tratta, come sempre ha detto e ancora dice chi fa questo mestiere per questo tipo di narrativa, di un lavoro di maieutica: non può che essere così, l’autore è l’autore e le eccezioni celebri – viene in mente il solito rapporto Carver/Lish – in fondo sono celebri proprio perché infrangono la regola.
Detto questo, io sono convinta che in ogni editing si sommino ruolo tecnico e ruolo critico: come si può lavorare su un testo, tanto più a livello strutturale, se non ci si interroga e se non si interroga chi lo ha scritto anche sui significati profondi del testo, sulla sua interpretazione appunto? Per quanto riguarda il ruolo creativo – al di là della stesura dei paratesti o del materiale di comunicazione interno alla casa editrice o destinato ai librai –, io sono sempre felice quando una mia proposta di riscrittura viene presa per ciò che è, ossia per uno spunto funzionale, che vuole portare l’autore a rivedere una frase o un passaggio di proprio pugno. Ciò che l’autore spesso chiede è proprio uno sguardo professionale esterno, che segnali con rispetto e competenza criticità, ridondanze, potenzialità, aperture.
Solitamente l’editor si occupa dei titoli che acquisisce – se invece con editor intende il redattore e quindi il lavoro più ravvicinato sul testo, ogni casa editrice credo abbia il suo modo di associarli. Ma in fondo si tratta soprattutto di conoscere qualità e limiti (tutti ne abbiamo!) del redattore a cui affidare il testo – sia dal punto di vista delle sue competenze strettamente professionali, sia conoscendo i suoi tratti caratteriali.
Sia per l’editing strutturale sia per il desk editing, che entra nel tessuto più minuto del testo e delle singole parole, vale insomma l’obiettivo di lavorare con sintonia e intesa – il che non significa che il confronto sia meno acceso – per pubblicare al meglio il testo.
- La sua specifica formazione da editor.
Mi ritengo estremamente fortunata per aver studiato con il professor Vittorio Spinazzola, non solo per la sua caratura di studioso e critico, ma anche per la sua attenzione, da sempre, al lavoro editoriale (per dirne una, fu promoter del Master in editoria organizzato dall’Università degli Studi di Milano, Aie e Fondazione Mondadori). I suoi corsi e i suoi seminari sul successo editoriale mi hanno fatto comprendere come gli strumenti critici esplorati sui grandi testi del canone possano e debbano essere utilizzati anche per comprendere le tendenze contemporanee e i successi commerciali. Insomma, posso dire con grande riconoscenza e affetto che mi ha fornito una visione e i primi strumenti del mestiere.
Ho poi lavorato in Mondadori con Antonio Franchini e Giulia Ichino per molti anni e in Feltrinelli con Alberto Rollo, nei primi due anni dal mio arrivo, e oggi con Gianluca Foglia, il direttore editoriale della casa editrice: professionisti da cui ho imparato molto – sia attraverso il confronto, sia semplicemente osservandoli lavorare. Perché questo è un lavoro che si impara moltissimo facendolo. E facendolo anche con gli autori. Ricordo sempre uno dei miei primi editing, su Donne informate sui fatti di Carlo Fruttero: con ironia e garbo, Fruttero mi insegnava indirettamente il lavoro a mano a mano che accettava o rifiutava un suggerimento e me ne spiegava la ragione.
Ogni nuovo libro è un po’ un’avventura, e ancora mi affino grazie alle scrittrici e agli scrittori di cui ho la fortuna di essere editor. Del resto viviamo un momento di grande trasformazione: la formazione di un editor non può che essere continua!
- Tradizionalmente si considera l’editor un agente dell’editoria che tende a formattare il prodotto letterario per favorirne la vendita. Quanto questa immagine oggi corrisponde al lavoro reale di editor?
Tutto quanto ho detto sopra mi pare proprio che urli un grande No, non corrisponde! Se fosse così, tanto varrebbe confezionarsi in casa i propri titoli, anziché cercare (impiegando tempo e fatica) delle voci autoriali per poi omologarle… non è molto economico. Un editor cerca di tenere ben dritte le antenne per intercettare cosa si muove nell’immaginario, cercando di individuarlo con qualche anticipo. Poi è vero che in un programma editoriale ci possono anche essere titoli che seguono correnti e fenomeni affermati, perché evidentemente esprimono il bisogno di una fetta più o meno grande di lettori. Ma nessun editore, io credo, in questo campo può limitarsi a inseguire e confermare, c’è una parte di innovazione e di scouting fondamentale per tutti, qualsiasi sia il tipo di narrativa di cui si occupa. Proprio perché l’immaginario non è materia statica.
- Come lavora allo scouting? Quali modalità di “reclutamento” e selezione predilige? Quali canali utilizza?
Per quanto riguarda questo lavoro di scouting, esistono i canali più tradizionali o rodati – gli agenti letterari, i premi, le fiere, l’attenzione alla pubblicazione di altri editori, ma anche gli invii spontanei o i manoscritti che arrivano per suggerimento di autori o mediatori culturali vicini alla casa editrice o all’editor, o anche talvolta dai lettori (che, per inciso, dietro le quinte svolgono un lavoro di grande responsabilità e competenza); e poi gli inserti e le riviste culturali, non solo cartacee, le scuole di scrittura e i festival (per esempio sono appena stata al Women’s Fiction Festival di Matera, dove le autrici, o aspiranti tali, hanno l’opportunità di presentare agli editor invitati i loro manoscritti). Tuttavia come si è aperta la concorrenza dei soggetti che si contendono il tempo libero dei lettori – ormai i nostri concorrenti non sono più solamente i titoli degli altri editori, ma i prodotti degli altri settori dell’industria culturale e dell’intrattenimento –, così si allarga anche il mare in cui trovare autori. Che magari già scrivono in modi e luoghi diversi – penso in primis naturalmente alla Rete e ai social –, e lo fanno con talento: sono territori da esplorare in ogni caso, perché se non si troveranno autori, si vedranno comunque delle tendenze interessanti (penso per esempio alla frammentazione del tessuto narrativo delle scritture per lettori e lettrici più giovani).
In questo quadro il problema, lo si può capire, è talvolta avere il tempo per dedicarsi alla pesca in questo grande mare, perché il quotidiano lavoro operativo e relazionale e le tempistiche diventate, come anche in altri settori, molto rapide rischiano talvolta di erodere parecchio lo spazio dedicato alla ricerca.
- Quale rapporto ideale (dissolvenza, rimozione, assunzione di eredità) gli editor odierni intrattengono con le figure editoriali ‘leggendarie’ del novecento (da Vittorini a Sereni)?
Credo che ci sia una grande curiosità e molto rispetto e ammirazione per le grandi figure del Novecento che hanno ricoperto questo ruolo – come dimostrano libri ed eventi professionali dedicati, che riscuotono sempre sensibile successo fra i professionali. Attraverso il loro lavoro si legge in filigrana anche come è cambiato il mestiere, come sono cambiati il mercato e l’industria culturale, i tempi e le competenze richiesti dal lavoro, oltre naturalmente a come sono cambiati i lettori.
- Casi di studio: può fare uno o più esempi di testi esemplari con cui si è confrontato?
È molto difficile trovare casi esemplari, proprio perché – come detto sopra – ogni opera è un individuo! Sicuramente, ripeto, per me è stato una sorta di battesimo lavorare con Fruttero: andavo da lui ogni giorno in bicicletta dall’albergo alla casa nella pineta in cui abitava, e sentivo fortissimo attraverso le sue parole il legame con quel mondo popolato delle figure leggendarie di cui parlavamo prima. Sentivo di lavorare a un progetto totalmente nuovo per lui, perché era la prima volta che scriveva un romanzo senza Lucentini, ma allo stesso tempo la sua esperienza e le relazioni che aveva coltivato e vissuto, da Calvino a Citati, erano presenti, erano lì con noi.
Un caso interessante dal punto di vista professionale credo sia il lavoro con un autore quando lo si è seguito per molti anni attraverso le sue opere e la sua scrittura. Se penso per esempio a una scrittrice come Chiara Gamberale, che ho incontrato ormai una dozzina di anni fa ai tempi dell’editing de Le luci nelle case degli altri, ecco che lavorare al suo ultimo romanzo (in uscita a fine ottobre 2021) porta con sé un rapporto cresciuto negli anni, la ricchezza e la complessità di un percorso, la fiducia consolidata, la conoscenza della modalità in cui lavorare al meglio insieme. Diverso ancora il caso de Le assaggiatrici di Rosella Postorino, dove l’acquisizione del romanzo è avvenuta su un testo parziale, sicché ho avuto la fortuna di poter seguire l’autrice sia nel lavoro sulle pagine già scritte sia nella gestazione del resto dell’opera, in un dialogo continuo e nella continua lettura del testo via via che andava trovando la sua compiutezza.
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