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diretto da Romano Luperini

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Fra ermeneutica e percezione dello spazio. Geocritica e poesia dell’esistenza di Alberto Comparini

 Alberto Comparini  nel suo recente libro,  Geocritica e poesia dell’esistenza (MImesis, 2018),  tenta di porre in dialogo la tradizione filosofica esistenzialista con alcune odierne tendenze della critica attenta alla rappresentazione dello spazio, una geografia storica definita geoesistenzialismo. L’autore ricostruisce i rapporti intercorsi tra letteratura e filosofia in Italia nel Novecento, soprattutto a Milano, e integra la prospettiva geocritica, in voga negli  studi letterari degli ultimi decenni (desunta da  Bertrand Westphal e da Edward Soja) con  le riflessioni fenomenologiche di Antonio Banfi e di  Enzo Paci, e con la produzione poetica di  Antonia Pozzi e di  Vittorio Sereni.

Pubblichiamo l’introduzione alvolume , per gentile concessione dell’autore.

***

 […] la prospettiva filosofica apre la possibilità della

prospettiva estetica, la prospettiva estetica apre se

stessa alla presenza vivente dell’arte.

A. Paci, Dall’esistenzialismo al relazionismo (1957)

Questo libro ha un duplice obiettivo: costruire le basi per un’ermeneutica letteraria basata sulla geocritica di scuola francese e tedesca, e verificare, attraverso il modello elaborato nella prima parte del lavoro, le interferenze tra poesia e filosofia (fenomenologia, esistenzialismo, relazionismo, nichilismo) nel Novecento italiano attraverso le opere di Antonia Pozzi e Vittorio Sereni. Per descrivere tale percorso si è deciso di focalizzarsi sulla letteratura italiana contemporanea, la cui parabola storica, come si cercherà di mostrare nel corso della nostra analisi, è profondamente legata agli sviluppi e agli studi di filosofia continentale in quattro aree geografiche (Torino, Milano, Firenze, Padova).

Inizialmente il progetto aveva un taglio strettamente comparatistico e doveva sviluppare un modello interpretativo geocritico lungo tre letterature nazionali (Italia, Francia e Germania). Dopo un esame dei testi (letterari e filosofici) si è preferito ridurre l’indagine ai rapporti intercorsi tra letteratura e filosofia in Italia per una ragione, in primo luogo, di carattere storico: come rimarcano Pietro Rossi e Carlo Augusto Viano nell’introduzione alla curatela Le città filosofiche (2004), «sarebbe arbitrario inferire […] un’analogia tra storia letteraria e storia filosofica»[1]; questa riflessione riassume efficacemente e sinteticamente lo stato (passato e attuale) degli studi su questo argomento, nonché un generale disinteresse per la questione. Da cui la seconda ragione, di carattere metodologico.

Riflettendo sulle ragioni di tale assenza, mi sono interrogato sui limiti e sui pregiudizi dell’ermeneutica, da un lato, e sul ‘demone della teoria’, dall’altro. La storia della critica del Novecento è particolarmente multiforme, ma nei molteplici paradigmi che ne hanno caratterizzato gli sviluppi, la Storia ha occupato il ruolo di tesi o di antitesi di ogni dialettica interpretativa, anche nei suoi risvolti più ‘negativi’, come il post-strutturalismo e le derive ideologiche della più recente teoria americana.

Chi scrive ha una formazione storico-filologica e il libro si inserisce all’interno di questa visione del mondo. Tuttavia, per ricostruire tale percorso è stato necessario modificare i termini di questa Weltanschauung, dando il primato epistemologico alla Geografia e mettendo in secondo piano la Storia. Dagli anni Settanta ad oggi, la geocritica di scuola francese (Henri Lefebvre, André Frémont, Bertrand Westphal) e tedesca (Martina Löw, Karl Schlögel) – e in parte americana (Edward Soja) – ha fornito agli studiosi strumenti importanti per affrontare gli intricati meccanismi della Storia attraverso una struttura reticolare capace di mettere in dialogo l’interdisciplinarietà, l’eterogeneità e la pluralità di un sistema tanto complesso quale è la letteratura.

La narrazione geocritica che ho ricostruito ruota attorno a duetipi di relazioni dialettiche – rapporti genetici e rapporti periferici – in quattro città ‘filosofiche’, avente come centro di indagine la ‘Scuola Banfi’ – e le sue ramificazioni ‘estetiche’, da Luciano Anceschi a Enzo Paci – e come oggetto di studio la ‘poesia dell’esistenza’ di Antonia Pozzi e Vittorio Sereni. L’assenza di Guido Morselli – figura indubbiamente fondamentale, benché ancora trascurata, della letteratura italiana del Novecento e del circolo banfiano – è dovuta non solo alla scelta del genere letterario preso in esame (la lirica), ma anche alla sua visione del mondo, assai più vicina al marxismo del Banfi post-resistenziale che al dibattito filosofico intorno alla fenomenologia e all’esistenzialismo degli anni Trenta e Quaranta.

Come in Geografia e storia della letteratura italiana (1967) di Carlo Dionisotti, le ‘mappe’ e i ‘grafici’ sono i testi – dalla critica letteraria alla saggistica filosofica, passando attraverso l’opera in versi e in prosa di Pozzi e Sereni – che ho cercato di studiare secondo una visione ‘genetica’: rispetto a una tradizione critica diacronica e tematica, che ha letto i rapporti tra letteratura e filosofia attraverso una serie di elementi condivisi da un certo numero di autori in un periodo che attraversa senza soluzione di continuità l’intero Novecento, si è preferito procedere secondo un modello sincronico, volto a individuare relazioni ed interferenze (non necessariamente intertestuali, secondo la Wirkungsgeschichte di Hans-Georg Gadamer) dirette tra testo e contesto, tra letteratura e spazio.

In altri interventi, sempre attraverso un taglio geocritico e un orizzonte epistemologico afferente all’idea di storia intellettuale tracciata da Dominick LaCapra[2], ho avuto modo di mostrare come questa interdisciplinarietà sia parte integrante della cultura italiana del Novecento (Torino[3] e Firenze)[4]. In questo libro ho scelto come intorno geografico Milano, la cui centralità nello sviluppo dell’estetica fenomenologica in Italia mi ha permesso di discutere su ampio spettro, a livello teorico ed ermeneutico, i possibili piani di interpretazione e le ramificazioni di questo imprescindibile incontro tra letteratura e filosofia, di problematizzare determinate visioni del mondo e di proporre un nuovo modello (geocritico, da un lato, e filosofico, dall’altro) per studiare la poesia (italiana) del Novecento.

Questo lavoro, infine, non mira di certo a definire Pozzi o Sereni come poeti strettamente ‘fenomenologici’, ‘esistenzialisti’ o ‘nichilisti’, ma intende affrontare la loro opera secondo quell’«antica discordia tra filosofia e poesia» (607b-c) di cui parla Socrate nel X libro della Repubblica di Platone, e tenta di offrire, lungo questa prospettiva ermeneutica, una nuova lettura che tenga conto dell’afflato filosofico che sta alla base della loro poetica[5].


[1] P. Rossi, C.A. Viano, Introduzione, in Le città filosofiche. Per una geografia della cultura filosofica italiana del Novecento, Atti del Convegno «Per una geografia della cultura filosofica italiana del Novecento» (Torino, 2-4 dicembre 1998), a cura di P. Rossi e C.A. Viano, il Mulino, Bologna 2004, pp. 7-16, p. 9.

[2] Cfr. D. LaCapra, Rethinking Intellectual History. Texts, Contexts, Language, Cornell University Press, Ithaca and London 1983; Id., History and Criticism, Cornell University Press, Ithaca and London 1987.

[3] A. Comparini, Letteratura ed esistenzialismo nel «Partigiano Johnny» (1968) di Beppe Fenoglio, in «Rivista di Letteratura Italiana», a. XXXIV, n. 2, maggio-agosto 2016, pp. 135-160.

[4] Id., Hölderlin e l’ermetismo fiorentino, in «Studi Novecenteschi», a. XLIII, n. 92, luglio-dicembre 2016, pp. 103-135; Id., Temporalità ed esistenza in «Un brindisi» (1946), in «Luziana», a. I, 2017, pp. 41-59. Un saggio sulla poesia di Bigongiari – Esserci e temporalità ne «La figlia di Babilonia» (1942) di Piero Bigongiari – uscirà per la rivista «La parola del testo» nel 2019.

[5] I primi risultati di queste ricerche intorno alla scuola di Milano sono usciti su rivista tra il 2015 e il 2017: A. Comparini, Filosofia e conoscenza nelle «Parole» (1939) di Antonia Pozzi, in «Rassegna Europea di Letteratura Italiana», a. XLV-XLVI, 2015, pp. 151-174; Id., Sereni e il nichilismo metodico di «Stella variabile» (1981), in «Critica Letteraria», a. XLV, n. 176, luglio-settembre 2017, pp. 557-579; Id., Per un’estetica della relazione. Gli «Strumenti umani» (1965) di Vittorio Sereni, in «Studi Novecenteschi», a. XLIV, n. 94, luglio-dicembre 2017, pp. 289-327.

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