Esperienze di lettura giocate sul tempo
Fuori la scuola
A pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico, mentre aspetto il mio turno in salumeria, una signora con un sorriso smagliante attira la mia attenzione e con sguardo complice esordisce: «professoressa sa che leggo anch’io?». Abbozzo un sorriso perplesso e cordiale chiedendomi chi sia…
Un anno fa in classe: l’idea
Tutto è iniziato l’anno scolastico precedente, quando, dopo diversi anni, mi è stata affidata una prima classe liceale in cui avrei insegnato solo italiano. Una classe della generazione zero. Allora mi sono chiesta come poter presentare i contenuti di sempre con strumenti e linguaggi nuovi, capaci di conquistare ragazzi abituati a stare sull’attimo, piegati costantemente sullo schermo del telefonino, la cui soglia attentiva non supera i venti minuti.
Con idealistica caparbietà, ho accolto la novità come una sfida. E così è nata l’idea di far passare tutta la didattica dell’italiano del primo anno dalla lettura integrale di libri per adolescenti. Lettura che è stata svolta in classe.
Presentando il piano di lavoro ai miei alunni, ho proposto loro di leggere un libro dopo l’altro alla ricerca di un solo obiettivo: la scoperta di noi stessi. I mezzi che avremmo adottato sarebbero stati la lingua italiana e la narratologia. Sguardi perplessi e sorrisi nascosti per buona educazione hanno accolto la proposta. Eppure già a metà del primolibro, l’ora di italiano si è trasformata in un appuntamento atteso sia da me che dagli studenti di I D.
I libri scelti con quattro lenti (la semplicità, i classici, gli interessi dei ragazzi, la letteratura d’oggi)
Forse potrà interessare qualche collega sapere quali sono stati i libri scelti per affrontare questo corso “destrutturato” di italiano. Confesso di aver selezionato una rosa di romanzi di formazione semplici e di facile fruizione, adeguati ad un pubblico di lettori non ancora avvezzo alla lettura. In classe abbiamo letto le avventure de Il gabbiano Jonathan Livingston, di R. Bach L’alchimista di P. Cohelo, Mio fratello rincorre i dinosauri dell’esordiente G. Mazzariol e un classico di H. Hesse, Narciso e Bocccadoro. Non sono mancate neppure scelte rassicuranti come Qualcuno con cui correre di Grossman, ormai entrato stabilmente nel canone scolastico, ma neppure scelte discutibili per gusto e qualità letteraria come Cose che nessuno sa di D’Avenia (che fa storcere il naso a tanti colleghi, ma colpisce gli studenti raccontando l’adolescenza e permette a noi insegnanti di affrontare la questione del gusto letterario in modo concreto e non aprioristico). Abbiamo letto anche Il piccolo principe di A. de Saint-Exupery, un classico dell’infanzia che mancava nel bagaglio delle letture della I D.
Le opere lette si sono prestate, come qualsiasi altro brano antologizzato, all’acquisizione e all’uso delle strutture narratologiche, offrendo anche un supporto testuale sempre nuovo per l’analisi linguistica.
Punti di forza: lunghezza dei libri e dilatazione dei tempi
La classe ha subito, quasi nella sua totalità, una mutazione radicale: da lettori “per caso” o per imposizione, gli studenti sono divenuti lettori curiosi, interessati e in qualche caso famelici. Inoltre, si noti che questo inaspettato cambiamento non è stato prodotto da scelte radicali, da metodologie o da progetti innovativi, ma dalla semplice sostituzione dell’antologia scolastica con la lettura integrale (e per ciò stesso più avvincente) dei testi e con la conseguente dilatazione del tempo di lettura. La dilatazione dei tempi ha creato una familiarità alla lettura, la quale a sua volta è divenuta una possibilità di habitus di lettori. In altri termini ho cercato di dare ai miei studenti della generazione zero quello che il loro contesto di vita gli sottrae quotidianamente: la durata per fare una reale esperienza delle cose e il tempo per riflettere.
E gli studenti?
Gli studenti si sono lasciati guidare e coinvolgere; del resto io stessa mi sono divertita e ho trovato una sincera motivazione nelle attività che presentavo. Questa circolarità positiva delle relazioni educative (che tante volte sperimentiamo in senso opposto) è stata evidente anche nelle restituzioni che alla fine di ogni lezione assegnavo come lavoro per casa: dai canonici riassunti, alla scrittura di testi espositivi ed argomentativi, dagli articoli di giornale alle interviste impossibili, dalle lettere personali alle pagine di diario. La lettura approfondita e dilatata ha però anche innescato forme di scrittura che non siamo più abituati a leggere (o almeno non lo ero io): ingarbugliati ed emozionanti testi introspettivi, pagine adolescenziali tormentate ed inquiete, oppure note esuberanti, spontanee e vivaci.
Una cornice rituale per generazioni che si incontrano
Le attività di italiano sono state iscritte all’interno di una cornice che ha avuto, e continua ad avere, il sapore della ritualità condivisa: ogni mattino la lezione si apre con un saluto alla classe in forma di poesia, al quale gli studenti ricambiano scrivendo alla lavagna le “parolacce”, cioè le parole nuove che giorno dopo giorno arricchiscono il loro bagaglio lessicale. Il gioco del saluto è stata la nostra “finestra lessicale”, attraverso cui abbiamo riscoperto le sfumature di una lingua ricca, viva ed attuale; e in questo senso è stato davvero una forma di saluto: un modo per creare un contatto fra il linguaggio di una generazione e quello di un’altra.
E le competenze?
Il dibattito sulle competenze, come sappiamo, è più che mai vivo e aperto, ma, come dicevo, questa attività didattica non si è avvalsa di metodi innovativi e non ha neppure posto in discussione il quadro epistemologico dentro cui solitamente ci muoviamo. L’unica leva che è stata azionata, per un bisogno di contatto tra generazioni, è stata quella del tempo. Come suggeriva, del resto, già qualche tempo fa Roberto Casati in Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere. C’è stato spazio, quindi, anche per i compiti di realtà, due in tutto l’anno.
Il primo compito si è tradotto nell’organizzazione di un momento di orientamento in entrata: gli studenti hanno accolto, nell’ambito delle attività di orientamento, i ragazzi della scuola secondaria di primo grado e attraverso un prodotto multimediale hanno raccontato cosa significasse essere al liceo, cosa avevano imparato in quel primo scorcio di anno. Anche in questo si è quindi cercato di mettere insieme narrazioni ed esperienza.
Il secondo compito di realtà è stato più articolato. Lo scopo era l’elaborazione di una dieta equilibrata per l’intera classe. Lo spunto è arrivato dall’osservazione delle abitudini alimentari degli studenti a scuola, ahimè perfettamente in linea con quelle di tutti gli altri adolescenti: patatine, cibi dolci e bibite gasate, orari irregolari e nessuna colazione al mattino. L’attività ha preso avvio da una colazione in classe con una torta preparata dagli studenti e una sorseggiata di tè. A seguire una discussione di classe che ha portato a prendere coscienza che per alcuni studenti l’alimentazione era un problema, mentre per altri era un piacevole intrattenimento. Così, insieme agli insegnanti di scienze e di scienze motorie, sono state condotte delle ricerche (sui principi alimentari, sul fabbisogno nelle varie età e nei diversi contesti, sulle molteplici diete, sui disturbi alimentari più comuni) riposate dal gruppo classe oralmente. Di seguito è iniziata la vera e propria attività:
- inchiesta tra pari;
- individuazione dei target alimentari;
- redazione e somministrazione di un questionario;
- tabulazione dei dati;
- creazione, con l’aiuto dell’insegnante di matematica, di istogrammi e grafici a torta;
- realizzazione di power point con l’intero percorso;
- relazione scritta dell’esperienza.
E infine, prima della redazione della dieta settimanale, è avvenuta anche la restituzione creativa di ciò che si era imparato: racconti su adolescenti che vivevano il problema dell’anoressia o della bulimia, strisce di fumetti che mettevano a fuoco il problema del cibo-spazzatura, sintesi didascaliche puntuali.
Tornando in salumeria
Alla fine dell’anno scolastico, ho chiesto agli studenti un feedback sull’esperienza didattica che ormai volgeva al termine. È venuto fuori, sia detto senza pretese statistiche, che si sono divertiti tanto e che studiare non è mai stato noioso, che hanno imparato in modo consapevole e soprattutto che la lettura è un’esperienza interessante che si può vivere dentro e fuori la scuola.
«Professoressa, allora, ha capito?», mi incalza la mamma in salumeria, mentre io cerco ancora di capire di quale studente sia madre. Poi la guardo con serietà e le confesso che la lettura è davvero pericolosa perché contagia.
NOTA
Fotografia: G. Biscardi, Tazza di tè, Palermo 2014
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Complimenti prof.
Finalmente una voce a favore della lentezza. Ho una prima media, NOI siamo la SLOWCLASS3.0 dell’Istituto: una sfida.
Buon lavoro!