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Le tracce di italiano all’esame di stato

 A una insegnante, Roberta Olmastroni, presidente di commissione agli esami di stato, e collaboratrice anni fa a La scrittura e l’interpretazione, ho chiesto un parere sulle tracce per i temi di italiano all’esame di stato. Mi ha mandato questo breve commento, in cui prende le distanze dalla stroncatura che Christian Raimo ne ha fatto sul settimanale “Internazionale”. Le obiezioni di Raimo al tema corrispondente alla tipologia A sono sostanzialmente due: il testo non è noto agli studenti che a scuola non studiano Caproni; non è certo fra i maggiori o i più significativi di Caproni. Sulla tipologia B il suo dissenso riguarda la natura stessa del genere proposto, il saggio breve, improponibile a scuola.

Sulla tipologia A, ecco quanto mi scrive Roberta Olmastroni:

«Non concordo con Raimo. La tipologia A su Caproni, proprio nella sua semplicità, ha permesso a tutti di scrivere. A chi non ne ha particolare abilità, ha concesso di buttar giù qualcosa di dignitoso senza sentirsi quello che “non ho capito che chiedeva”. A chi sa scrivere non ha impedito, anzi ne ha lasciato il modo, di volare alto. Qualcuno dei miei studenti (quinta liceo al Volta di Colle val d’Elsa) ha tirato fuori confronti con Parini, Leopardi, Pascoli, D’Annunzio e la letteratura inglese. Riferimenti scontati? Forse per noi che mastichiamo pane e letteratura sì. Per i ragazzi sono stati invece l’occasione di declinare, in uno scritto loro, competenze e conoscenze acquisite. E poi, si sa, dipende tutto da come quei riferimenti li si argomenta, li si rende convincenti e magari “seduttivi”. Chi “sa”, ha potuto incrementare la scarna analisi formale del testo proposta con valutazioni retoriche e linguistiche più approfondite. Chi “sa un po’ meno”, ha avuto la tranquillità di poter provare a dire comunque, e meglio che può, qualcosa.

Se poi ragioniamo sull’ultimo punto dell’Analisi del testo, il 3, quello che di solito genera panico o imbarazzo, non possiamo non considerare come questa volta non sia stato così. La prassi vuole che si propongano all’esame di stato autori recenti che non sono sempre trattati compiutamente (inutile dire che l’apertura al secondo novecento è necessaria perché, usciti da un liceo, gli studenti abbiano almeno un’idea di cosa e come si scrive in tempi e in contesti più vicini all’epoca che vivono); talvolta di questi autori si fa cenno nel biennio, quando si impara a leggere e decifrare i codici del testo poetico. Nella prima traccia d’esame si chiede, di norma, un confronto tra il testo proposto e la produzione poetica dell’autore, e se ne chiede la contestualizzazione nell’epoca di riferimento. Che spesso gli studenti non conoscono. Ecco: in questa occasione il punto conclusivo della traccia chiedeva un’interpretazione complessiva della poesia in riferimento al tema riscontrabile in altri testi letterari, senza restrizioni o costrizioni. Questo punto è stato, dunque, affrontato con agio da tutti. Ci saranno trattazioni banali, certo, ma anche scritture ricche e belle. Tutti hanno avuto da scrivere, e nessun imbarazzo nel farlo. E chi valuta può soffermarsi sulla capacità di scrittura dello studente, che si è mostrata per quella che è senza essersi franta di fronte alla fatica di doversi arrampicare per strade impervie e non perfettamente comprese. Raimo scrive che la poesia fornita dalla traccia d’esame non è tra le più significative di Caproni. Può esser vero. Ma resta il punto: la traccia d’esame non deve essere “bella” in sé, ma deve permettere di scrivere, semmai, e il più possibile, cose “belle”.

 Son gli studenti a dover dare prova di sé. Gli autori lo hanno già fatto.»

Nella sostanza concordo. Aggiungerei solo che, per poter svolgere il tema, avere studiato Caproni in classe, poteva essere utile, ma non era certo indispensabile. L’analisi di un testo, una volta fornite le coordinate cronologiche, si può benissimo fare “al buio”: per saperlo “leggere”, per accertare le conoscenze della lingua e della retorica e della importanza del tema (la natura e l’uomo) nella letteratura italiana e nella cultura del nostro tempo non occorre saper storicizzare un autore in senso strettamente storico-letterario (averne studiato la poetica, l’adesione a qualche movimento ecc.). Quando detti l’esame di storia dell’arte, il mio professore all’Università di Pisa, Ludovico Raggianti, ci faceva fare, per scritto, la lettura di un’opera  di un autore di cui non forniva il nome: stava allo studente dedurlo dall’esame dell’opera, ma, anche se non ci riusciva, poteva egualmente dare la sua interpretazione e ottenere comunque il massimo dei voti. D’altronde Caproni non è certo un “minore”, né è conosciuto solo a Livorno e a Genova come ha dichiarato qualche sciagurato “esperto” interrogato dalla televisione: è, con Sereni, Zanzotto e pochi altri, fra i  maggiori poeti del secondo Novecento ed è perciò presente nei manuali scolastici (anche se, purtroppo, a scuola ci si ferma spesso a Montale e tutt’al più si arriva a Pasolini, che di Caproni, fra l’altro, era massimo estimatore).

A proposito della tipologia B, la mia interlocutrice scrive:

«Per quanto riguarda la tipologia B, invece, concordo con Raimo. In realtà sono anni che ci lamentiamo sulla natura ambigua di un progetto ambizioso (scrivere un saggio, e pure breve!) che fa uso di stralci di opere che, quando anche siano di valore culturale o documentario (non quest’anno!), sono discutibilmente tagliuzzate; quel che resta, spesso, non ha più la ricchezza né, talvolta, la natura stessa della proposizione originale. La traccia B è un fallimento già nella sua pretenziosa proposizione».

Qui ho qualche perplessità. Bisogna distinguere la critica al genere “saggio breve” dalla critica alla traccia proposta. Pomposamente si chiama “saggio breve” il vecchio “tema”, uno scritto a carattere prevalentemente argomentativo in cui uno studente espone il proprio punto di vista su un argomento di interesse generale. Ora saper argomentare il proprio punto di vista è un aspetto fondamentale della vita democratica e della formazione di un cittadino. Non sarei quindi in linea di massima contrario al genere. Piuttosto si tratta di intendersi, lasciando perdere tipologie pretenziose come “saggio” (che è una cosa seria, oggi in crisi e abbastanza disusata) o “articolo di giornale” e limitandosi magari a usare l’espressione: “testo argomentativo”. Ma,   sospendendo sinora la questione della denominazione del genere, il giudizio di merito dipenderà soprattutto dall’argomento e dai testi di appoggio che vengono forniti. In questo caso l’argomento non era ben illustrato e risultava perciò troppo generico (la natura come minaccia e come idillio) e i testi di appoggio mi paiono male assortiti: due opere pittoriche (di Turner e Pellizza da Volpedo) e quattro testi letterari (di Leopardi, Foscolo, Pascoli e Montale, quest’ultimo largamente sforbiciato) disomogenei e appartenenti ad aree storiche e culturali molti distanti. Insomma, a mio avviso, la tipologia B di quest’anno è una traccia che spinge lo studente ad affastellare confusamente concetti culturali e nozioni di storia letteraria.

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