Viaggi della memoria. Ideologia o educazione?
Errori storici
Nel 2013 ho partecipato, per la prima e a oggi unica volta, a un viaggio ad Auschwitz-Birkenau, allora conosciuto come Treno della Memoria. Ricordo che al ritorno pensai che si sarebbe dovuto rendere obbligatorio questo viaggio per tutti. E, pur sapendo che molti colleghi la pensano diversamente, lo penso ancora oggi. La recente dichiarazione del Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Maria Roccella ha quindi avuto su di me un effetto paradossale. Vedendo di sfuggita la notizia, collegando il tema con la dichiarazione di questa figura istituzionale, ho sperato per un momento che finalmente il concetto di pari opportunità si potesse applicare davvero a tutti. Del resto se è vero che, almeno sul territorio torinese dove abito e insegno, il Comune stanziava fondi per la partecipazione gratuita al progetto, recentemente la gratuità è diventata un ricordo. Sono infatti associazioni di promozione sociale a occuparsene, e i ragazzi e le ragazze che aderiscono sono tenuti a pagarsi il viaggio.
Il momento di illusione è durato poco. La lettura della dichiarazione della Ministra va infatti in tutt’altra direzione: “Tutte le gite scolastiche ad Auschwitz, cosa sono state? Sono state gite? A che cosa sono servite? Sono servite, secondo me, sono state incoraggiate e valorizzate, perché servivano effettivamente all’inverso. Ovvero servivano a dirci che l’antisemitismo era qualcosa che riguardava un tempo ormai collocato nella storia, e collocato in una precisa area: il fascismo. Le gite ad Auschwitz secondo me sono state un modo per ripetere che l’antisemitismo era una questione fascista e basta”, prosegue Roccella condannando – dirà in seguito – “chi ancora oggi scatena la caccia all’ebreo nelle città e negli atenei dell’Occidente”. (Fonte Ansa, 12 ottobre 2025)
Tralasciamo pure il fatto che le “gite” non esistono più nella scuola dal 1992, quando sono diventate viaggi di istruzione con la Circolare Ministeriale n. 291. Ma da insegnante di storia ravvedo in queste parole alcuni problemi. Il pot-pourri concettuale di questa dichiarazione è un errore storico grave, perché se di antisemitismo dobbiamo parlare, lo dobbiamo fare storicamente, rintracciandone le radici ben prima del fascismo, come già ampiamente riconosciuto, e nella consapevolezza che il fenomeno dell’antisemitismo è un problema che non è mai scomparso con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Relegare le “gite ad Auschwitz” a una funzione comprensibile solo se associata al nazifascismo non restituisce completezza né all’antisemitismo, né alla matrice storica del fascismo, né a questi viaggi di istruzione. Proclamarne dunque l’inutilità, oltreché svilire il lavoro delle associazioni che li organizzano con attenzione e con una preparazione che inizia ben prima della partenza, svilisce il lavoro degli insegnanti che credono convintamente che viaggi simili possano essere la base di un lavoro di restituzione storica e di costruzione dell’individuo da un punto di vista civico. La “funzione antifascista” di un Viaggio della Memoria è qualcosa di più complesso e completo, che non si ravvede nelle parole della Ministra, che si domanda a cosa siano serviti. Roccella afferma che “servivano effettivamente all’inverso.” All’inverso di cosa? Poi spiega che “servivano a dirci che l’antisemitismo era qualcosa che riguardava un tempo ormai collocato nella storia, e collocato in una precisa area: il fascismo”. Oltre all’omissione storica già accennata e che credo qui non sia il caso di approfondire, a livello linguistico ravvedo un altro errore macroscopico, l’uso dell’avverbio “ormai”, come se con il fascismo avessimo fatto già del tutto i conti. Ma se con l’antisemitismo, come afferma la stessa Ministra, non li abbiamo fatti, non si capisce come mai allora li avremmo fatti con il fascismo.
La dichiarazione prosegue rincarando la dose “Le gite ad Auschwitz secondo me sono state un modo per ripetere che l’antisemitismo era una questione fascista e basta”, dimenticando che il fascismo è stato ben peggio di un semplice movimento antisemita e che anzi, proprio per questo, l’antisemitismo durante la Seconda Guerra Mondiale è stato seguito anche da chi fascista non si professava. Conclude poi con un riferimento alla “caccia all’ebreo nelle città e negli atenei dell’Occidente”, semplificazione quanto mai inesatta delle attuali dinamiche che riguardano il movimento di protesta contro il genocidio a Gaza.
Spostamento del piano
Come sempre accade nel teatrino della politica italiana, si è parlato immediatamente di strumentalizzazione delle parole. E siccome a tutti deve essere concessa la possibilità di spiegarsi (e forse tutti dovrebbero esercitare il diritto di ammettere di avere sbagliato), preferisco replicare raccontando un’altra esperienza che vivo come insegnante da alcuni anni e che, mi pare, si possa inserire utilmente in questo dibattito, portando un elemento diverso che spero possa dimostrare che questo tipo di viaggi sono enormemente utili anche agli insegnanti oltreché, ça va sans dire, agli studenti.
Da anni partecipo a un progetto organizzato dal Comitato 3 Ottobre, un’associazione nata nel 2014 con lo scopo di ricordare il naufragio del 3 ottobre 2013, quando persero la vita 368 persone intorno alla Baia della Tabaccara presso Lampedusa. Ogni anno, in concomitanza di quella data, studenti e di insegnanti di tutta Europa si incontrano sull’isola per attività di conoscenza del fenomeno. Da poche decine di partecipanti, in circa dieci anni si è arrivati a più di 650 studenti e studentesse coinvolte, esclusi coloro che, in funzione di testimoni, di superstiti, di lavoratori di quel vasto sistema che gira intorno al Mediterraneo, aiutano a comprendere il fenomeno. Poter conoscere da dentro un problema di questa portata è fondamentale, perché la narrazione mediatica è del tutto insufficiente a fornire il quadro completo della situazione.
Il 16 marzo 2016 il Senato della Repubblica ha approvato la proposta di legge del Comitato 3 ottobre per l’istituzione della “Giornata della Memoria e dell’Accoglienza”, volta a creare una memoria e una cultura dell’inclusione e dell’accoglienza.
La “Giornata della Memoria e dell’accoglienza” si celebra il 3 ottobre di ogni anno e coinvolge diversi Comuni, comunità locali e, in particolare, numerose scuole distribuite su tutto il territorio nazionale ed europeo.
Ogni anno, dicevo, accompagno studentesse e studenti, e grazie a campagne di fondi e a progetti ministeriali, su cui andrebbero spese parole per dimostrare il crescente disinteresse intorno all’evento, ho potuto portare, dal 2019 al 2024, tredici studenti. Quest’anno, in accordo con colleghi e dirigenza, ne abbiamo portati 40, organizzandolo come viaggio di istruzione. Tutte le persone che hanno partecipato concordano nell’idea che questo tipo di viaggio verrà ricordato per sempre. Funziona in modo simile ai Treni della Memoria. I viaggi nei campi di concentramento si ricordano per l’impatto emotivo, e qui credo ci sia addirittura un valore aggiunto dato dall’attualità del tema trattato.
Recentemente ho risentito gli ex allievi che ho accompagnato gli anni scorsi. Per tutti quel viaggio è stato determinante nella loro formazione di esseri umani. Il viaggio di quest’anno è stato, se possibile, un successo ancora più grande. Io e i colleghi accompagnatori abbiamo ricevuto parole di gratitudine sentite e commosse da tutti i partecipanti e dai loro genitori. Sapevo che questo viaggio sarebbe riuscito a coinvolgerli. Sono felice di avere avuto ragione e lo rifarei.
Ideologia e razzismo
Le attività di questo progetto si svolgono in un luogo piccolo e circoscritto, il paese di Lampedusa, appunto, in larga parte percorribile pedonalmente, i cui punti più lontani sono raggiungibili a piedi in circa mezz’ora di cammino spedito. La maggior parte delle attività laboratoriali si svolge a scuola, nell’Istituto Comprensivo Pirandello, mentre ci sono numerose tavole rotonde che hanno luogo in Piazza Castello in orario pre-serale e altre, più ricreative, anche se sempre inerenti il tema principale, serali. Ce ne sono altre, importanti: la marcia del mattino del 3 ottobre, che conduce fino alla Porta d’Europa, da anni appuntamento fisso dei tg RAI, un incontro comune con i sopravvissuti del naufragio che tornano sull’isola per l’occasione, un evento commemorativo notturno nell’orario del naufragio. Ma quel che si rivela vincente, oltre all’argomento eviscerato con cura lungo i 4 giorni di attività, è un’alchimia fatta di vicinanza, di incontri, di momenti di pausa, la stessa che nasce ad Auschwitz in virtù della delicatezza e dell’importanza del tema. Si piange, si empatizza, si percepisce cos’è il dolore, ci si sente fortunati. Il ritmo degli eventi è serrato. Ho visto allieve e allievi stanchi, ai limiti dell’influenza, pallidi di stanchezza, a cui dicevo di andare a riposare, di saltare magari una tavola rotonda per rimettersi in forma. Ma mi sentivo rispondere che no, che erano a Lampedusa per un motivo, che non volevano, se possibile, perdersi nulla. Anche ad Auschwitz si piange e si empatizza.
Sono forse diverse le lacrime per chi è morto nelle camere a gas e per chi è morto in mare o nel deserto? Sono diverse quelle di chi piange per qualcosa successo 80 anni fa e per qualcosa che continua a succedere? Queste sono domande che non tollerano una risposta positiva. Non sono diverse. Non è diverso piangere per un ebreo o per un islamico. Non fa più paura uno o l’altro. Non è nemmeno sulla paura che si deve classificare la provenienza o la religione degli esseri umani. Ci sono vittime della storia ed è su di loro che vale la pena piangere, ed è su di loro che vale la pena riflettere a livello storico e ancor più a livello didattico. Non è politica, ma umanità. Non porto nessuno a Lampedusa per fare propaganda e la politica è già storia. Non parlo degli anni ‘50 in Italia cancellando i nomi dei partiti o delle stragi degli anni ‘70 dicendo che sono state commesse da persone cattive, e facendo approfondimenti sull’attualità mi ritrovo a fornire informazioni, avvertendo l’utenza che cerco di essere neutro, ma che una neutralità totale è impossibile, e che sta a loro verificare. Esattamente come dovrebbero verificare le informazioni che sentono in famiglia, in televisione, sul canale di Joe Pizzi o sulle catene di Sant’Antonio.
L’antisemitismo non è peggiore del razzismo ma è una sua forma, che va indagata nelle sue ragioni storiche e nelle sue implicazioni attuali, esattamente come ogni altra forma di razzismo.
La base del nostro paese è democratica e tale deve rimanere. Perché tale sia nel futuro bisogna educare senza dare niente per scontato, perché le acquisizioni di ieri non sono le certezze di oggi. Quello che dovremmo tutti chiederci, sempre, è quale società vogliamo costruire. Nel mio lavoro c’è una volontà per la pace, e Lampedusa è un modo sano di costruire riflessioni che muovano verso questa direzione.
(Foto originale di Maria Chiara Pollicino)
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Ancora rimpiango di essermi lasciato trasportare da quel momento di rabbia. Lei professore sa a cosa alluda..