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diretto da Romano Luperini

Una Signora della Scrittura. Intervista a Sandra Petrignani di Luisa Mirone

La “Giornata della letteratura”, un presidio difeso con amore e passione da ADI SD e, ormai da un decennio, appuntamento atteso di ogni novembre, nel 2024 è stata dedicata a Elsa Morante, ma ha offerto anche una occasione preziosa per ripercorrere le pagine di molte altre scrittrici italiane, coetanee di Morante e altrettanto significative, che tuttavia sono ancora poco frequentate dalle antologie per le scuole. La sede catanese di ADI SD ha scelto di dedicare ad alcune di loro un percorso di riflessione sulle scritture femminili del primo Novecento, “In aula con le Signore della Scrittura” chiamando a fare da madrina Sandra Petrignani. Da giovane giornalista, Petrignani ha avuto modo di intervistare alcune delle figure più significative della letteratura italiana novecentesca e di continuare poi a ripensare la loro “lezione” da lettrice instancabile e da narratrice elegante e sobria: un’esperienza multiforme, dunque, che la rende interlocutrice affascinante e dispensatrice di riflessioni, suggestioni, perfino aneddoti di grande interesse non solo per chi desideri riattraversare questo segmento di storia letteraria italiana, ma per chiunque ami leggere e discutere di letteratura. Alcune delle questioni emerse durante quell’incontro di novembre, Petrignani ha accettato di affrontarle nuovamente per Letteraturaenoi.

D1. L’itinerario narrativo di Sandra Petrignani attraversa insistentemente i sentieri della biografia e della autobiografia: dalle interviste alle grandi protagoniste italiane del primo Novecento letterario (Le Signore della scrittura, La Tartaruga 1984; n.e. 2022) all’esplorazione delle case di alcune notissime scrittrici (La scrittrice abita qui, Neri Pozza 2002) e della Capitale esplosiva e già decadente degli anni ’50 (Addio a Roma, Neri Pozza 2012), dalla indagine su Natalia Ginzburg (La corsara, Neri Pozza 2018, finalista premio Strega) alla recentissima Autobiografia dei miei cani (Feltrinelli Gramma 2024), passando attraverso gli appassionati (e appassionanti) mémoires da lettrice consegnati alle pagine di Lessico femminile e Leggere gli uomini (Laterza 2019 e 2021). È una postura scevra da curiosità pettegola e sensibilmente diversa dall’atteggiamento autoreferenziale di tanta cosiddetta autofiction: cosa cerca e cosa trova la scrittrice Sandra Petrignani scavando nelle vite degli altri e nella propria, cosa ritiene di portare alla luce per sé, le sue lettrici e i suoi lettori?

R1.  Fin da piccola leggo per entrare in contatto con un altro essere umano, quello che ha scritto intendo. Potrei dire meglio: con la sua anima. Niente come la letteratura permette questo. Anzi direi che è proprio l’unico modo per entrare in contatto con l’intimità altrimenti irraggiungibile di un’altra persona. Non ho mai provato particolare interesse per la trama di un libro, per dire, se non per quanto mi faceva capire di chi l’aveva inventata, elaborata. Perciò immagino che il mio modo di scavare nella vita degli altri e nella mia risponda a una stessa esigenza: stabilire un ponte fra la persona che sono o la persona che racconto e il lettore. Naturalmente deve essere un lettore sintonico, che non legge per passare il tempo o per avere conferme, ma semmai per sentirsi porre domande. Chi sono? Perché esiste il male e il dolore? Come mai anche la vita apparentemente più risolta si rivela uno scacco, un fallimento?

D2. Nel Prologo molto intenso di Lessico femminile, si legge (p.7):

(…) non è delle donne lo sguardo globale, totalizzante. Le donne sono inclini alla concretezza. Non so se è un atteggiamento migliore o peggiore rispetto a quello degli uomini. È semplicemente diverso, e mi incuriosisce approfondire questa diversità, ricomporre come in un mosaico la tela di un pensiero e di un lessico nostri. Capire qualcosa di più della mia stirpe, trovare il bandolo del nostro comune sentire. Una mappa per orientarsi nel presente, dopo tanto passato e un confuso futuro che a volte sembra farci arretrare e minaccia di sottrarci tante combattute conquiste. Non perché il cammino delle donne sia tutto giusto, e poi l’umanità – in generale senza differenze di sesso – sembra non imparare niente dai suoi errori. Ma è anche vero che l’umanità che dà la linea al mondo è perlopiù di genere maschile. Forse il pensiero delle donne, inseparabile dalla materialità delle cose, dall’urgenza della vita, ha una chance in più.

Cosa intende Sandra Petrignani per “inclinazione femminile alla concretezza”? Cosa per “carenza”, nelle donne, “di sguardo globale”? Quanto ha a che vedere tutto questo con l’annaspare grottesco e doloroso dell’umanità contemporanea, incapace di tirarsi fuori dalle sabbie mobili di una cultura di stampo patriarcale?

R2. Quando ascolto le notizie agghiaccianti delle guerre a noi tanto vicine di questi nostri minacciosissimi giorni e vedo tutti quegli uomini in televisione, sui giornali, che stanno decidendo il destino dell’umanità, tutti maschi, pochissime, insignificanti le presenze femminili, mi sento ancor più impotente e schiacciata e mi chiedo se le cose nel mondo andrebbero diversamente se a ad avere un ruolo decisionale ci fossero almeno altrettante donne. Non ne sono certa. Forse dovrebbero essere in maggioranza per contare qualcosa, se no il sesso così detto “forte” prevarrà sempre. Mi piacerebbe che fosse così, che nelle donne ci fosse un istintivo atteggiamento di salvaguardia della vita, del pianeta, della natura, degli animali, oltre che del nostro disgraziato genere umano. Lo spero proprio in nome della concretezza femminile e per quello sguardo delle donne interessato alle piccole cose vicine, non astratto. Ma bisognerebbe metterle alla prova.

D3. Tra le “lezioni” più importanti apprese leggendo da ragazza i libri di scrittori-uomini, Sandra Petrignani annovera questa (Leggere gli uomini, p.44):

Imparavo la grande libertà di certi scrittori di esprimersi senza curarsi delle aspettative del lettore o dei criteri codificati su ciò che è bellezza o non lo è nella narrazione.

Ritiene che questa “grande libertà” possa ormai considerarsi acquisita tra le conquiste femminili, in particolare delle scrittrici-donne? E ancora: ritiene che oggi chi narra lo fa davvero senza “curarsi delle aspettative”? E se no, quali aspettative le sembra che nutra, oggi, chi scrive?

R3. La mia generazione ha fatto in tempo a conoscere scrittori e artisti che si sentivano parte di una Società Letteraria e Artistica, ora completamente inesistente. A riconoscerti scrittore, quando ero giovane, non era il pubblico, ma gli altri scrittori e la critica letteraria. Il successo, andare o non andare in classifica, quanto vendevi o se da un libro veniva realizzato un film non era garanzia di grandezza o di “successo”. Nel senso che nello stesso successo, soprattutto se facile e immediato, era insito un sospetto di banalità. Oggi ognuno va per la sua strada, gli editori si equivalgono, tutti alla ricerca non del libro più interessante ma di quello che meglio possa corrispondere al gusto del più vasto pubblico possibile. Si pubblicano ancora scrittori insoliti e molto interessanti ma in un unico calderone in cui le distinzioni le fanno soltanto i pochi che hanno un gusto, e purtroppo non hanno nessun carisma per convincere stuoli di lettori che non si vergognano della loro ignoranza. In questo senso non c’è differenza fra scrittori e scrittrici. Quindi per concludere non mi sento di parlare di libertà in simili condizioni.

D4. Nel suo percorso da giornalista, Sandra Petrignani ha intervistato tanto uomini quanto donne. Quale valenza attribuisce all’intervista? E, nella sua esperienza, ha potuto registrare differenze sostanziali tra le interviste rivolte alle donne e quelle rivolte agli uomini – al netto delle differenze ovvie, dettate dalle diversità di formazione e natura che distinguono le persone le une dalle altre?

R4. Mi è sempre piaciuto molto intervistare gli scrittori. Sia perché a volte ne sono venute fuori vere e proprie amicizie (con Lalla Romano, con Giorgio Manganelli, con Luce D’Eramo, per dire) sia perché avevo come un lasciapassare a essere indiscreta, a cercare di tirar fuori qualche segreto, a soddisfare le mie curiosità. E ho sempre notato che con le donne era più facile stabilire una complicità, un rapporto di fiducia. Gli uomini erano sempre più abbottonati e sospettosi. Ma ero piuttosto scaltra e spesso sono riuscita a evadere le loro difese.

D5. In Addio a Roma, Ninetta, una ragazza trasteverina, attraversa la Capitale e i luoghi-simbolo della dolce vita, tracciando la parabola – insieme vitale e mortifera – che dagli anni Cinquanta, con i suoi straordinari protagonisti, conduce fino alla «nuova preistoria contemporanea» e ha per estremi emblematici il trasferimento di Pasolini dal Friuli a Roma e la sua morte violenta, venticinque anni dopo. Come ci parla, quanto riesce ancora a parlarci oggi questo itinerario simbolico?

R5. Forse Pasolini sì è impresso nella consapevolezza generale più per la sua morte violenta che per altro, ma certo invece la parabola della sua vita è significativa e emblematica lungo tutto il suo arco perché è uno scrittore che si è sempre interrogato su ciò che lo circondava dalla vita quotidiana degli umili (aveva grande passione per la realtà contadina sperando non soccombesse sotto quella operaia) fino alle malefatte della politica che spesso denunciava. Il cosiddetto “impegno” ha cambiato caratteristiche oggi, però penso che PPP in questo senso resti un esempio, o forse un simbolo effettivamente.

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