Prendimi così come sono. Un percorso nella poesia di Antonia Pozzi
Leggere poesia: una dichiarazione d’intenti
Il secondo anno del biennio della scuola secondaria di secondo grado è tradizionalmente dedicato all’analisi del testo poetico, a torto, io credo, considerato uno dei percorsi più complessi da affrontare con gli studenti, vuoi per le difficoltà del linguaggio, vuoi per la differenza di stile con la prosa e la stratificazione dei significati, vuoi perché non sempre noi docenti abbiamo familiarità con la poesia (almeno con quella contemporanea). La poesia è un linguaggio con sintassi, suoni e lessico propri e, come capita con una lingua straniera, per studiarla, comprenderla e “saperla parlare” è importante entrarci in contatto, ascoltarla, sentirla in qualche modo familiare. Il che significa che, prima di analizzare, di decodificare e ragionare sulle strutture che caratterizzano il testo poetico, è opportuno leggere e dare spazio alle impressioni dei ragazzi, anche se acerbe e impressioniste: bisogna permettere ai testi di risuonare più volte in classe, porre domande sulle immagini mentali che si creano, sulla differenza con la prosa, sul senso scelte lessicali, retoriche e sintattiche operate dai poeti. Da lì, dallo sforzo della lettura (e dell’ascolto), si innesta il lavoro di scavo proprio dell’interpretazione: discutere e negoziare il significato, soffermarsi sulle scelte metriche e retoriche, sui significati profondi e via dicendo, nel costante equilibrio dialettico tra la lettura di chi è in formazione e quella esperta e consapevole del docente e dell’apparato critico di riferimento. Pare un paradosso, ma talvolta l’impressione è che a scuola gli sforzi siano prioritariamente rivolti all’analisi, dimenticando che è fondamentale anche lavorare perché i nostri studenti e le nostre studentesse diventino lettori e lettrici di poesia e possano quindi apprezzare ancora di più la sfida dell’interpretazione. Queste sono le premesse del lavoro che cercherò ora di illustrarvi, incentrato sulla figura e l’opera di Antonia Pozzi:
Questo il tempo impiegato:
· lettura autonoma durante le vacanze di Natale
· due ore a gennaio per una prima discussione insieme
· 15 ore di lavoro in classe tra febbraio e marzo (tutto il materiale è stato condiviso in classroom) e 10 ore a casa per la produzione di materiale condiviso tra gli studenti
· 18-19 aprile: visita d’istruzione sui luoghi di Antonia Pozzi in Valsassina
Nell’officina poetica
Ogni volta che mi trovo ad affrontare il testo poetico, dopo una prima parte dedicata alla lettura di testi di autori e autrici in lingua italiana e non, che mi consente di affrontare il ritmo, la struttura, il lessico, la sintassi, i temi e i messaggi e di ragionare sulla complessità e parziale impossibilità della traduzione della poesia, scelgo sempre di proporre un focus sull’opera di alcuni autori, così da entrare nella loro officina e di affrontare anche questioni editoriali. Quest’anno ho scelto il Seme del Piangere di Caproni e alcune poesie di Antonia Pozzi, che non poté, invece, mai lavorare direttamente alla pubblicazione di un suo libro.
Nata il 13 febbraio 1912 e morta ventisei anni dopo nel 1938, figlia di un’ importante famiglia milanese, amante della montagna, della fotografia e delle scalate, fu ragazza inquieta e assetata di vita che ebbe con la poesia un rapporto strettissimo: vivo nella poesia come le vene vivono nel sangue scrisse, infatti, all’amico Tullio Gadenz in una lettera del 29 gennaio 1933.
Ho scelto Antonia Pozzi per tre motivi: il primo è la prossimità, da sempre ritengo che oltre alla ricostruzione del contesto storico, la geografia sia fondamentale per comprendere un autore. Antonia è milanese, ma il luogo in cui si sentiva libera, priva dei condizionamenti familiari e che parte importante ebbe nella sua genesi poetica è indubbiamente la montagna. La famiglia possedeva una casa a Pasturo, paese della Valsassina e lì lei viveva, nei mesi estivi, in simbiosi con la natura, scrivendo, fotografando e scalando la Grigna, palestra di allenamento per le arrampicate ben più impegnative che in seguito compì. L’ambiente di cui racconta è familiare ai miei studenti, (Pasturo è a 40 Km dal nostro liceo) e ancora di più lo è stato dopo l’uscita sul territorio di cui racconterò più oltre. Questa prossimità geografica coincide anche con la vicinanza di temi e sentire: nella poesia di Antonia Pozzi vivono certi estremismi e sentimenti tipici dell’adolescenza, in lei la poesia è sempre racconto di sé, autobiografia, indugio nei sentimenti vissuti in modo viscerale; eppure è una poetessa che se da una parte è vicina agli adolescenti, dall’altra ne è lontanissima per formazione, per contesto storico, per scelte linguistiche. Leggere le poesie di Antonia Pozzi è, quindi, occasione per i nostri alunni per rispecchiarsi ma anche per vedere l’altro da sé, ecco dunque spiegato il secondo motivo, intimamente connesso al terzo: sperimentare la ricerca e la ricostruzione critica sulla sua opera.
Nel nostro percorso sulla poetessa mi sono servita delle lettere, dei diari, delle fotografie che abbiamo messo in relazione con le poesie: l’unico elemento che ho omesso è stato raccontare il suicidio, per evitare che questo elemento condizionasse la lettura e l’interpretazione.
Una poetessa che non scrisse libri di poesia
Lavorando con Caproni avevamo affrontato la questione della costruzione di un libro di poesia, ragionato sulla differenza tra ordine cronologico di composizione e ordine dei testi deciso dall’autore, sulle sue scelte, sui cambiamenti possibili tra stesure diverse, sul percorso di lettura e interpretazione che si propone al lettore quando legge le poesie dall’inizio alla fine e non in modo randomico.
Tutti questi discorsi vengono meno con l’opera di Antonia Pozzi. Il suo corpus è una sorta di diario intimo: non scrisse pensando di essere pubblicata (o meglio non possiamo saperlo, scriveva per lei o per gli interlocutori cui inviava i testi, su tutti Antonio Cervi e le amiche); probabile che le fece leggere a Antonio Banfi, suo maestro e professore di estetica alla Statale di Milano e a Antonio Paci che le chiosò duramente con “scrivi il meno possibile” come racconta la poetessa nel suo diario il giorno 4 febbraio 1935.
Le poesie di Pozzi uscirono postume: la prima edizione privata, nella quale non mancarono pesanti interventi del padre, comparve nel 1939 con il titolo Parole; nel 1943 venne pubblicata per Mondadori una nuova edizione: Eugenio Montale recensì il volume in termini entusiastici, definendo la poesia di Antonia Pozzi, voce leggera, pochissimo bisognosa di appoggi, essa tende a bruciare le sillabe nello spazio bianco della pagina. Le parole di Montale vennero apposte poi all’edizione del 1948, nella prestigiosa collana mondadoriana “Lo specchio” e all’edizione ampliata e riveduta del 1964. A partire dagli anno Ottanta, grazie alla curatela di Alessandra Cenni e Onorina Dino, sono pubblicati testi inediti e restituiti alla versione originale, senza la manipolazione del padre.
Quindi i libri delle poesie della Pozzi non prevedono alcun intervento dell’autrice: i volumi ad oggi pubblicati quando contengono tutte le poesie seguono l’ordine cronologico, molti altri libri seguono invece un approccio antologico e tematico.
Nella scelta dei testi presentati ai ragazzi ho cercato di rispettare l’ordine cronologico di scrittura, organizzandoli in tre sezioni: Antonia (amore, amicizia, vita), la montagna, la città. Invece di creare un file ad uso didattico ho chiesto loro di prendere il volume Antonia Pozzi, Mia vita Cara – cento poesie d’amore e di silenzio, Interno poesia editore, che ho poi integrato con altri testi: ogni anno in classe leggiamo insieme almeno due testi, in seconda la scelta cade sempre su una raccolta poetica, anche perché premessa per diventare lettori di poesia è –anche- avere libri di poesia sott’occhio.
Il percorso in classe
Sono partita dalla reazione degli studenti di fronte ai testi: ho chiesto loro di leggere l’intero libro durante le vacanze di Natale, appuntarsi i versi che li avevano colpiti, scegliere la poesia preferita, provare a individuale i temi. C’è un’attività semplice che spesso faccio sulla poesia: quale colore avrebbero associalo a questo libro? Quale suono? Quale immagine? Ovviamente ciò che mi interessa è come argomentano e spiegano l’associazione. Tornati poi in classe abbiamo discusso partendo dalle loro intuizioni e impressioni, che sarebbero poi state messe alla prova alla fine del percorso poetico.
La poesia come lingua per raccontare di sé: Antonia (amore, vita e contraddizioni)
Abbiamo letto e ricostruito il contesto delle prime poesie che Pozzi inizia a scrivere a diciassette anni, nel 1929: Cencio, Sventatezza, Filosofia, Canto selvaggio, testi in cui alterna l’endecasillabo e il settenario con i versi liberi novecenteschi e in cui già compaiono tratti comuni a tutte le sue poesie. Ho presentato in contemporanea alcune pagine di diario, che ci mostrano un’Antonia intima, semplice, amante della vita: lo stupore per la visione della Tosca alla scala (12/12/1925), la folgorazione dopo la lettura del libro “Ben Hur” (05/2/1926), il tornare a casa dopo due ore di scuola sotto la neve (24/12/1926).
Dal momento che alcune poesie recano la dedica “a A.M.C.” ho raccontato la relazione tra Antonia e il suo professore di greco e latino Antonio Maria Cervi, partendo dalla lettura della lettera dell’ 11 gennaio 1930, di modo che fosse ancora più chiara la dimensione autobiografica; ho però evitato di dare troppo risalto agli aspetti più ossessivi e angosciosi di questo rapporto, per evitare la facile semplificazione Antonia Pozzi = malata d’amore.
Cencio e Canto selvaggio sono state analizzate insieme in classe, le altre poesie, con una prassi che sono solita usare, sono state presentate direttamente dai ragazzi, seguendo però le indicazioni di analisi che ormai conoscono.
Ecco gli obiettivi del lavoro su Cencio, attraverso la discussione in classe:
- Ricostruzione e individuazione dell’occasione da cui nasce la poesia, facendo riferimenti al testo,
- Analisi della struttura metrica: perché una sola strofa? Che effetti crea l’alternanza di versi lunghi e brevi? Quali parole vengono isolate con l’enjambement?
- Suoni, immagini e colori: quale cromatismo appare? Ci sono suoni che ritornano? Che effetti creano? Quali immagini si creano nella mente del lettore?
Ho poi invitato i ragazzi a coppie a discutere partendo da questa tabella e dalle domande (in corsivo una proposta di compilazione):
Immagine reale: straccetto | Immagine mentale: cencio |
Colore celestino | Colore Cinerino (grigio) |
Dimensione è piccolo, perché usa il diminutivo, ma visto che lei si mette sotto, il diminutivo potrebbe avere valore dispregiativo | Dimensione Piccolo, perché finisce in mezzo ai piedi e tutti lo calpestano |
Forma/come appare allo sguardo È sgualcito perché lo hanno toccato tante mani ed è tento fermo da due borchie a a forma di stella | Forma/Come appare allo sguardo La gente ci inciampa, ha poco valore, nessuno lo raccoglie, lo si stiracchia coi piedi e lo si prende a calci |
Quale legame c’è tra l’oggetto reale che poetessa vede e la similitudine che crea?
Quale valore ha il ma ad inizio verso 8?
Cosa ci racconta di sé la poetessa, con questi versi?
La conclusione cui siamo giunti, poi messa alla prova costantemente negli altri testi, è che la poesia di Antonia Pozzi si muove da dati reali, concreti e quotidiani che diventano lo specchio delle emozioni e dei sentimenti, coniugando il simbolo al reale.
Anche in una poesia drammatica come Filosofia, infatti, dal dato reale, una donna che ha perso il figlio troppo presto, la poetessa dichiara il suo rifiuto per un sapere scolastico basato sulle nozioni e privo di empatia umana e lo fa in modo concreto con due versi, quello di apertura Non trovo più il mio libro di filosofia e il distico di chiusura Stasera non posso studiare/perché il libro di filosofia l’ho smarrito;nelle strofe centrali descrive il gioco che faceva con il fratello più piccolo del defunto (tiravo in carrettino/un marmocchio di otto mesi), la morte del fratellino (è caduto in una caldaia di acqua bollente:/in ventiquattro ore è morto atrocemente), la parole di circostanza del parroco che lei percepisce come vuote (il parroco è sicuro è diventato un angioletto), la tragica apatia della madre che non ha nemmeno più la forza di sorridere al nuovo figlio.
A questo punto abbiamo affrontato le poesie Prati, Il porto, il cielo in me, desiderio di cose leggere, tutti testi del periodo 1932-34, per cercare lo stesso filo comune: si tratta di componimenti vari e più lunghi, accomunati dal verso libero e da una scrittura più asciutta e per immagini. Abbiamo così evidenziato gli elementi concreti, realistici e descrittivi, il collegamento con la vita interiore della poetessa e con sentimenti universali. Nella poesia il porto, ad esempio, riprende il tema de Le bateu ivre di Rimbaud: personifica la nave e le dà voce, ma la sovrapposizione con la sua esperienza di vita è esplicita (io sono una nave e che cerca/ per tutte le rive/un approdo) e conclude con la preghiera al nido ultimo della mia anima migrante di essere accolta come greve nave sfasciata.
La poesia come lingua per raccontare sé nel mondo: tra montagna e città
La natura è un elemento centrale nella vita di Pozzi: il paesaggio è vissuto, descritto, attraversato e conquistato. Per aprire questa sezione ho scelto la lettera del 25 agosto 1929 scritta alla nonna Nena (Maria Gramignola) in cui dice Mia carissima Nena,[…] credi, la montagna è una palestra insuperabile per l’anima e per il corpo. Nel salire, non si è che carne pieghevole e istinto felino aggrappati alla rupe pungente. A palmo a palmo, con l’arcuata tensione delle dita, con la piatta aderenza delle membra, si guadagna la roccia. E poi, in vetta, quando ti vedi intorno un anfiteatro di guglie e di ghiaccio, o […] guardi, sotto lo strapiombo affogata nella fluidità vertiginosa, la falda verde da cui balza il getto estatico di massi che hai conquistato, un’ebbrezza folle t’invade e l’adorazione selvaggia della tua fragilezza ardente che vince la materia., queste parole verranno poi riprese nella poesia Dolomiti.
Scopriamo dunque che Antonia Pozzi non si limitava a passeggiare in montagna, ma fu una dei protagonisti della eroica stagione di scalate dei primi del Novecento; amica e allieva di famosi alpinisti come Emilio Comici e di guide come Joseph Pellissier, scalò le dolomiti del Brenta. A Comici dedica questa poesia, che ho presentato in classe per spiegare cosa fosse l’alpinismo per lei e per i protagonisti di quel periodo (non a caso abbiamo ripreso il racconto “Ferro” di Primo Levi, tratto dal “Sistema periodico”, che avevamo letto l’anno precedente):
A EMILIO COMICI
Mille metri
di vuoto:
ed un pollice di pietra
per una delle tue
suole di corda.
Ti ha inchiodato il tramonto allo strapiombo.
A quest’ora la tua città
coi vetri in fiamme abbacina le barche.
Dove hai lasciato le tue vesti,
i volti
delle ragazze, i remi?
Questa notte al bivacco
nubi bianche
si frangeranno sulla pietra
mute:
così lontano il tonfo dei marosi
sul molo di Trieste.
Né la luna
disgelerà giardini, chiaro riso
di donne intorno ad un fanale,
o tepido
sciogliersi di capelli,
ma te solo
vedrà
alla tua fune
gelida avvolto –
ed il tuo duro cuore
tra le pallide guglie.
La montagna, da lei sempre amata, è un’entità misteriosa e vivificate, nella quale si sente libera e a suo agio, come appare evidente in Canto selvaggio (1929), Dolomiti (1929) Nevai (1934).
Grazie a queste poesie abbiamo ragionato sulle tecniche usate da Pozzi per rendere viva la natura e provato a rispondere ai seguenti interrogativi: quale è il rapporto tra la poetessa e la natura? Quali immagini ritornano? Quali conseguenze ha l’immersione nella natura?
La montagna è un essere dotato di anima (non monti ma anime di monti; come il singhiozzo/rattenuto, incessante, della terra -Dolomiti), in cui appaiono immagini inconsuete (ribellioni di massi/ Cervino volontà dilaniata/ fonte che si scioglie nella steppa –Ode al Cervino; capo biondo delle margherite –Canto selvaggio), colori vivi (Dalle nere,/ profonde crepe, cola un freddo pianto/ di gocce chiare; un azzurro fiorire di miosotidi -Dolomiti) e continui rimandi tra l’elemento naturale e l’umano che ne fa parte (pallide guglie, irrigidite/in volontà d’ascesa – Dolomiti).
La poetessa è libera, leggere e felice, finalmente parte della natura che le parla (mi sussurravano le onde/prigioniere-Nevai), con cui si sente connessa (io fui sui monti
come un irto fiore –Nevai): non riesce a contenere la gioia (Ho gridato di gioia, nel tramonto-Dolomiti); la natura le permette di connettersi con l’universo (ebbri di Immenso – Dolomiti/ la forza ignota e vergine, che tende/me come un arco nella corsa certa – Canto Selvaggio) e di trovare senso all’esistenza (cantavo fra me di una remota/estate, che coi suoi amari
rododendri/m’avvampava nel sangue– Nevai).
Sono questi anni in cui alle lettere, alle pagine di diario e alle poesie si somma la fotografia: si trattava allora di un’arte giovane che Antonia mostra di possedere, ama ritrarre paesaggi e le persone che abitano Pasturo e le montagne che esplora, poi a partire dal 1935, complice la frequentazione delle lezioni di Antonio Banfi all’università e della relazione con Antonio Formaggio, inizia a interessarsi della città e delle classi più umili: frequenta e fotografa via dei Cinquecento, dove si trova la casa degli sfrattati a Milano quartiere operaio intorno a piazzale Corvetto e le zone intorno all’abbazia di Chiaravalle.
Questi luoghi diventano l’ambientazione delle ultime poesie, tra le quali ho scelto Via dei Cinquecento del 27 febbraio 1938: la poesia parte da un evento concreto e personale, le passeggiate serali con Dino Formaggio, al quale la poetessa si rivolge in un contesto di periferia degradata. Ho chiesto ai ragazzi di individuare gli elementi lirici e il microcosmo di miseria e provare a spiegare cosa intendesse realmente dire la poetessa e quali differenze ci sono con la natura fin’ora presente nelle sue poesie:
I due amanti camminano in un’atmosfera rarefatta, piena di nebbia: nelle poesie sulla montagna prevale invece la luce, l’azzurro e la leggerezza dell’aria; tra di loro il silenzio è pesante e sottolineato da un contesto terribile: le madri tisiche, le urla dei bambini, la puzza di escrementi, la mancanza di speranza e via d’uscita. Se la montagna è un elemento misterioso ma vivo e attivo, la città e, via dei Cinquecento in particolare, è una siepe che divide i due, che sembrano non comprendersi (Beatrice).
In chiusura del percorso ho chiesto loro di ritornare alle considerazioni fatte all’inizio dopo la prima lettura e di scrivere un breve testo di sintesi sulla figura e sulla poetica di Antonia Pozzi, mettendo in luce se e come le loro idee fossero cambiate, quali elementi avessero in più per analizzare la figura della poetessa e quale fosse la loro interpretazione dell’opera, alla luce del mese di lavoro.
Sulle orme di Antonia tra Pasturo e la Grigna: un’uscita scolastica sui generis
Come ho già detto, ogni testo è legato a luoghi e ambiente geografico e ciò è tanto più vero per Antonia Pozzi: ecco perché ho scelto di portare le mie classi in visita d’istruzione a Pasturo e ai Piani dei Resinelli, ai piedi della Grigna, la montagna in cui Antonia si allenava a scalare.
A Pasturo c’è un percorso poetico, con pannelli che illustrano poesie e altri scritti disposti lungo tutto il paese e che noi abbiamo seguito e arricchito: siamo partiti dalla casa della famiglia Pozzi, che ora è un’abitazione privata. Qui, nel parco, ho letto Sgorgo e poi ho lasciato loro qualche minuto per annotare sul taccuino; abbiamo fatto lo stesso all’interno della chiesa di Santa Maria della cintura: la poesia letta è stata Preghera del 1932; in cui la poetessa racconta il suo complesso rapporto con Dio, lei atea ma dalla forte spiritualità, anche grazie all’incontro con Cervi, fervente cattolico.
Io non so cosa abbiano annotato sul loro taccuino, so che c’era un silenzio bello, carico di significato e che leggere così gratuitamente è stato commovente.
Abbiamo continuato tra le vie del paese tra lettere e pagine di diario e osservato due tele della Chiesa Parrocchiale S.Eusebio che il padre commissionò al pittore Aldo Carpi dopo la morte della figlia: nella tempera Sinite parvulos compare Antonia Pozzi, che ascolta Cristo in compagnia di tre bambini.
Il percorso è terminato al cimitero e solo qui, dopo circa un mese di lavoro, ho raccontato gli ultimi giorni di Antonia nel dicembre 1938: la mattina di pianto davanti ai bambini dell’istituto Schiaparelli cui insegnava, la corsa in bicicletta verso l’abbazia di Chiaravalle, i barbiturici ingeriti, il ritrovamento del suo corpo in fin di vita da parte di un contadino, le due giornate di agonia al Policlinico e la morte a casa circondata dai genitori e dalle amiche. Ho terminato leggendo la poesia di Vittorio Sereni, suo amico e compagno di studi all’università Statale, composta un paio d’anni dopo la morte.
3 dicembre
All’ultimo tumulto dei binari
hai la tua pace, dove la città
in un volo di ponti e di viali
si getta alla campagna
e chi passa non sa
di te come tu non sai
degli echi delle cacce che ti sfiorano.
Pace forse è davvero la tua
e gli occhi che noi richiudemmo
per sempre ora riaperti
stupiscono
che ancora per noi
tu muoia un poco ogni anno
in questo giorno.
Non ho aggiunto alcuna parola a questa poesia, in silenzio siamo poi entrati nel cimitero a visitare la tomba mausoleo, ciascuno chiuso nei suoi pensieri.
Nel pomeriggio siamo partiti alla volta del rifugio La Montanina, ai Piani dei Resinelli (LC), affacciato sul paesaggio della Grigna: alla sera ci siamo trovati nel salone affacciato sulla valle, ogni ragazzo ha avuto in sorte una poesia, in italiano o inglese. Divisi in gruppi da cinque hanno lavorato per un’ora su come presentarle agli altri; vedere la poesia risuonare e diventare anche un testo diverso è stato per me stupore e meraviglia: chi ha letto in modo corale, chi ha assemblato una poesia dalle cinque di partenza, chi ha composto ex novo, chi ha lavorato sui suoni. Fatto sta che per un’ora abbiamo ascoltato versi, in silenzio, noi 70 ragazzi (sì eravamo tre classi) e cinque professori.
No, la mattina dopo non ci siamo dedicati all’arrampicata, ma una cosa piccola pensando ad Antonia Pozzi l’abbiamo comunque fatta:
“Prof si ricorda che ci ha detto che Antonia a Pasturo si svegliava alla 4,30 e saliva in Grigna per vedere l’alba?” mi dice Gaia, col sorriso. Detto fatto, e così tutti noi il mattino dopo, un po’ più tardi certo delle 4,30, con le coperte sulle spalle stavamo lì sotto la Grigna, davanti al sole che si rifletteva sulle pareti grigie di roccia, a vedere tutta l’alba fiorire/nel nostro cielo (Antonia Pozzi, Alba, 2 febbraio 1933) e poi, a giorno fatto, ci siamo messi sul sentiero con lunghe ombre azzurre di monti /a lato (Antoni PozziSentiero,agosto 1934)
Bibliografia
Senza alcuna pretesa di essere esaustiva, questa è la bibliografia che ho studiato per preparare il percorso.
Raccolte (poesie, tesi di laurea, lettere e diari)
Antonia Pozzi, Parole diario di poesia, prefazione di Eugenio Montale, Mondadori 1964
Pozzi, Antonia Poesie, prefazione di Antonella Anedda, Garzanti, 2021
Antonia Pozzi, Mia vita Cara, cento poesie d’amore e di silenzio, Interno poesia 2019
Graziella Bernabò e Onorina Dino Antonia Pozzi Opera Omnia, Ancora 2015
Opere di narrativa (biopic)
Paolo Cognetti Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi, Ponte delle grazie 2021
Gaia Pascale Come le vene scorrono nel sangue, vita imperdonabile di Antonia Pozzi, Neri Pozza
Saggi
Graziella Bernabò Per troppa vita che ho nel sangue : Antonia Pozzi e la sua poesia, Ancora, 2012
Antonia Pozzi Nelle immagini l’anima, Antologia Fotografica, Ancora, 2007
Marco della Torre Antonia Pozzi e la montagna, Ancora 2009
Filmografia
Antonia, regia di Ferdinando Cito Filomarino 2017 Il cielo in me, vita irrimediabile di una poetessa, di Sabrina Bonaiti e Marco Ongania, 2014
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