Formazione docenti e università telematiche private: l’anomalia italiana
Che la legislazione italiana non brilli per chiarezza, anzi sia spesso un mostro labirintico di norme sovrapposte e confuse, frutto dell’affastellarsi di leggi, decreti, decreti attuativi, correzioni e riscritture è cosa nota ma non per questo meno grave, se non gravissima. La lettura dei dettati di legge è così di fatto inibita ad un normale cittadino e resa ostica anche a “esperti del settore”. Che ciò avvenga per ambiti di beni e servizi essenziali come sanità, giustizia, scuola, università, è sul piano civile semplicemente devastante.
Tale usuale sorte, criptica e labirintica, ha segnato in modo costante e crescente anche la normativa sulla Scuola e sull’Università e in particolare sulla Formazione iniziale dei docenti della scuola, ovvero sugli strumenti e le procedure che regolano la formazione del corpo insegnante del nostro paese e dunque il futuro culturale, economico e civile delle nostre comunità. A questo tema controverso e flagellato da interessi e pressioni varie il CUN ha recentemente dedicato un documentato parere, nell’adunanza del 22 giugno 2023.
Evitando eccessivi tecnicismi, l’Organo della docenza universitaria rileva puntualmente incongruenze e aberrazioni di non poco conto: si insiste su una formazione della docenza (un anno, 60 CFU) precedente alla selezione per l’accesso al ruolo (in soldoni, sarebbe più sensato, come in altri paesi, che la formazione avvenisse dopo il concorso); o ancora si introducono dei Centri per l’erogazione della formazione iniziale dai contorni imprecisi e con procedure bizantine; si legittima inoltre nella composizione didattica dell’offerta di questo “anno integrativo” – elemento di eccezionale gravità – uno strapotere delle sia pur importanti materie pedagogiche e una presenza limitatissima delle didattiche disciplinari e metodologiche (appena 16 su 60 CFU).
Basterebbe, per noi, eppure per il Governo italiano non basta; ancor più grave, rileva il CUN, è la previsione sulle modalità di svolgimento di tali anni integrativi, de facto. Citiamo dal Decreto Legge 75 del 23 giugno 2023, che ci pare metta un punto (tombale) su questa triste vicenda; all’art. 20, comma 3, sottocomma b, si legge: “I percorsi di cui al presente comma possono essere svolti anche mediante modalità telematiche, comunque sincrone, anche in deroga al limite previsto dall’articolo 2 -bis , comma 1, secondo periodo, esclusivamente presso i Centri che organizzano e impartiscono percorsi accreditati.”
Traduciamo, per amore di verità e di chiarezza.
Si sta dicendo che questi percorsi, in cui si eleva fino al 70%, de facto, la possibilità di erogazione in modalità telematica, potranno essere svolti “anche” da università telematiche, con le note procedure e modalità, già sperimentate – come ben sanno tantissime studentesse, studenti e famiglie italiane – nell’acquisizione dei “24 CFU psicopedagogici” per l’insegnamento.
Tutto questo avviene, come sempre nelle confuse settimane estive, come se nulla fosse.
Va detto, in modo tranchant e senza mezzi termini: nell’università italiana si è insediata una contraddizione unica e mostruosa, segnata dalla presenza di un numero anomalo di università private telematiche, che usufruiscono di regole non eguali e di certo vantaggiose rispetto alle tartassate università pubbliche, sul piano dei criteri di sostenibilità e delle procedure di qualità.
Cancellare o quasi dal percorso formativo i “saperi sapienti”, disciplinari e metodologici, e aprire la formazione dei docenti alle università telematiche private è gravissimo, sul piano politico e civile; una ferita inferta all’università pubblica ed uno svuotamento di valori e contenuti culturali e scientifici che lede principi elementari della nostra vita comune. Si sta definitivamente tagliando l’esile ramo su cui poggiano i valori costituzionali del diritto allo studio. Chi non vuole il naufragio – definitivo – della scuola e della formazione in Italia deve mobilitarsi adesso. L’università e la scuola insieme devono alzare la testa.
Il resto, purtroppo, sono chiacchiere.
Federico Bertoni, Riccardo Castellana, Pietro Cataldi, Attilio Scuderi, Massimiliano Tortora, Emanuele Zinato
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Parole sacrosante. Alziamo la testa ORA!
Altra importante conseguenza: chi è già di ruolo, può comodamente conseguire in via telematica tutte le abilitazioni che vuole saltando il tirocinio; con possibilità molto concreta di passaggio di cattedra, visti gli attuali sistemi che premiano l’anzianità. Quindi è facile prevedere un esodo verso cattedre ritenute ( anche se a torto), più appetibili ad es. sulla A13, A11 etc., la fuga dal Sostegno etc. Che cosa rimane alle giovani generazioni?
In realtà il degrado del sistema scolastico nazionale è in atto da più di trent’anni e ha investito da tempo anche l’università con la riforma del 3+2 (modello che è stato autorevolmente considerato = 0). Ora siamo a un disastro irreversibile, che richiederebbe un’inversione di tendenza della mentalità e della sensibilità civile e un drastico cambio di qualità della classe politica e della struttura amministrativa del paese. Questo non significa naturalmente che non sia più che legittimo e meritorio continuare a resistere al dilagare della barbarie nella scuola e nell’università, ma per uscire dall’isolamento e da questa catastrofe culturale sarà necessario selezionare una qualità decisamente differente di decisori politici e di alti funzionari amministrativi.
[…] di un degrado della scuola, delle università e del sapere che in Italia sembra non avere fine: Formazione docenti e università telematiche private: l’anomalia italiana di Federico Bertoni, Riccardo Castellana, Pietro Cataldi, Attilio Scuderi, Massimiliano Tortora, […]
Assolutamente d’accordo con questo appello contro la privatizzazione della formazione dei docenti. Ormai la cepuizzazione della scuola e dell’università non è più un rischio, ma una realtà in atto. Poiché, inoltre, vale sempre il principio tacitiano per cui “corruptissima respublica plurimae leges”, ecco che il degrado scolastico alimenta il degrado legislativo e questo, a sua volta, il degrado scolastico in un processo infernale che somiglia sempre più alla ruota di Juggernaut sotto la quale si gettavano i fanatici induisti (e oggi i fanatici propugnatori e, volenti o nolenti, i rassegnati esecutori della scuola e dell’università delle ‘tre i’). Credo pertanto che su questo ci debba essere la necessità di porre in atto un’inversione di tendenza, facendo capire che Internet, l’inglese e l’enfasi sulla didattica saranno certamente gli strumenti veicolari della globalizzazione, ma, se non poggiano su tutta una piattaforma di saperi che li nobilitano, altro che istruzione! La scuola diventa uno strumento di addestramento per buoni produttori. Certo, tu devi sapere l’inglese, l’informatica e i princìpi essenziali della didattica, ma devi sapere l’inglese, l’informatica e quei princìpi ed essere nobilitato dalla tua conoscenza della letteratura, della storia, della musica, della geografia, intese come etichette tradizionali. In tal modo uno esce fuori dalla scuola che parla inglese e usa Internet, ma è un cittadino che sa muoversi nel mondo, magari essendo lui una forza trainante e non soltanto un oggetto trainato.
La stessa dinamica si attua rispetto al “punteggificio” delle graduatorie provinciali per le supplenze: l’offerta delle certificazioni più disparate – senza regolamentazione sui prezzi – prolifera nell’assenza di controlli sulla qualità scientifica. Nel giro di qualche ora, si paga e si ottiene una certificazione con relativa e concreta possibilità di aumentare il proprio punteggio e di scavalcare, di fatto, gli altri (chi non può, chi non vuole pagare).