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diretto da Romano Luperini

I consigli di lettura della redazione per l’estate 2023

EMANUELA BANDINI – Fritto misto al femminile

La scorsa estate una parte delle mie letture è stata intenzionalmente dedicata alle scrittrici: alcune letture sono state più convincenti, altre meno. Condivido qui le tre che non solo ritengo di maggior valore, ma che – soprattutto – mi hanno sinceramente colpita ed appassionata. Per amore di variatio, un romanzo, un’autobiografia e un saggio.

Rosetta Loy, Le strade di polvere, Einaudi

Le strade di polvere è un romanzo storico ambientato in Piemonte nell’arco temporale che va dalle guerre napoleoniche all’Unità d’Italia. Come spesso accade per i romanzi storici, è anche una saga familiare, la saga della famiglia del Gran Masten, che da bracciante diventa “particulare”, ovvero proprietario terriero, dei suoi figli Giai e Pidrèn, uniti e divisi dall’amore per la stessa donna, e degli ultimi eredi Gavriel e Luis. Ma, al contrario di molti romanzi storici, la narrazione non procede mai in modo lineare, accelera rapidamente e poi torna indietro, allude al futuro e poi si avvita su stessa tra flashback, ricordi, premonizioni. Ricorda quasi, per l’atmosfera sospesa e attraversata da piccoli eventi inspiegabili, per la moltitudine di personaggi inquieti e malinconici che attraversano i corridoi della grande casa di campagna, per l’introspezione psicologica che si sofferma sui desideri proibiti ed impossibili, i grandi romanzi familiari del realismo magico latinoamericano. In più, ha il fascino di uno stile particolarissimo, che mescola in modo originale sintassi del parlato e termini letterari, metafore e similitudini ardite con espressioni del dialetto piemontese. Da leggere.

Tara Westover, L’educazione, Feltrinelli

Di solito sono piuttosto diffidente davanti ai casi editoriali, ma di fronte al regalo un’amica (con una dedica speciale) non ho potuto esimermi. Credevo che mi sarei ritrovata tra le mani uno dei soliti bestseller mainstream usciti dalle scuole di scrittura americane, invece sono stata catapultata in una storia di formazione potentissima, e ho divorato in quattro notti l’incredibile vicenda di una giovane donna, nata in una famiglia di mormoni integralisti, che riesce ad emanciparsi dall’oppressione e dalla violenza familiare e religiosa grazie ad un’innata curiositas e ad un desiderio profondo di conoscenza che, in quel contesto, diventa un’inaccettabile forma di ribellione ad un destino predeterminato. L’America profonda di comunità così chiuse da rifiutare non solo la parità di genere, ma anche la scuola pubblica, la medicina occidentale, ogni forma di progresso e democrazia, e finanche le stesse strutture dello Stato, è talmente lontana da noi che a tratti sembra di leggere un romanzo di finzione. Invece, è una storia vera.

Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi

Lo spazio delle donne è un libro che sto consigliando a chiunque mi chieda un testo agile e stimolante che introduca ai temi attualissimi del femminismo e delle questioni di genere. Daniela Brogi delinea con chiarezza, e facendo largo uso di fonti artistiche e letterarie, i motivi storici e sociali per cui “lo spazio delle donne” nell’arte, nella letteratura, nella politica, è stato finora così ridotto e marginale. I primi quattro capitoli enucleano quattro questioni fondamentali – una premessa di teoria e di metodo; lo spazio del genio e della creatività femminile; il tipo e la qualità degli spazi delle donne in un mondo pensato come “naturalmente maschile”; l’esistenza o meno di uno “specifico artistico” femminile – mentre il quinto ed ultimo capitolo (ed è questo ciò che, a mio parere, distingue il libro da altre sintesi o storie del femminismo) offre una serie di proposte per riflettere sul presente e operare un reale cambiamento di mentalità – e non solo. La ricca bibliografia, inoltre, offre ampia possibilità di approfondimento autonomo.

LINDA CAVADINI – Per me lettrice, per me prof, per me studiosa

Quando scelgo un libro escono sempre fuori le mie nature, quella di lettrice compulsiva che legge per sé e sprofonda nei libri, quella di professoressa che cerca libri da consigliare e leggere coi suoi studenti e la ricercatrice che si pone domande e cerca risposte. Quindi ho scelto un romanzo, una raccolta di racconti e un saggio.

Gian Marco Griffi, Ferrovie dal Messico, Laurana

Di questo libro si è parlato così tanto che, forse, le mie parole sono superflue. Allora voglio raccontarvi cosa, da lettrice, mi è rimasto addosso di questo romanzo. Mentre leggevo avevo una certezza: non sarei mai voluta uscire dal libro eppure bevevo a garganella ogni parola senza poter smettere. Sono ottocento pagine che ti prendono e fanno di te lettore quello che vogliono, tu pensi di seguire le avventure di Cesco Magetti, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria, ma forse anche quello è un inganno. Mi sono sentita come quando da piccola passavo ore a guardare dentro a un caleidoscopio. Dopo tanto tempo ho provato un vero piacere fisico nel farmi trasportare dalle parole, una sorta di abbandono: le parole di questo romanzo suonano proprio, a volte litania, a volta ingiuria, a volta schiaffo in faccia, a volte ninna nanna. E la storia è in realtà un meandro di storie che vanno veloce e rallentano, poi si impennano di nuovo e trovano quiete ancora: davvero tanti romanzi in uno, tante storie vecchie e nuove dentro una storia sola. In questo libro ho ritrovato la me lettrice di tante età diverse (le fiabe, la resistenza, il medioevo, l’avventura, il realismo, il realismo magico, l’horror, la paura, il fantastico, l’amore, l’amicizia, le storie picaresche) e quella che ascoltava col naso all’insù dai nonni le storie di guerra. E poi c’è il finale, uno dei più belli che ricordo, se di finale si può parlare e non di ennesimo volo sull’ottovolante. Da sempre ho l’abitudine di indicare i capitoli che mi colpiscono con un pallino, ora l’evoluzione dei post it mi ha permesso di segnalare con le linguette, ne ho riempito il libro chè da rileggere ci sarebbe molto, anzi forse lo rileggo daccapo (o non ho mai smesso di leggerlo).

Beatrice Masini, La paura più grande, Marsilio

Ho scoperto questo libro per caso, o meglio è lui che ha scelto me, come spesso mi succede. Si tratta di una serie di racconti accomunati dal punto di vista bambino: sia che il narratore sia in prima sia che sia in terza persona. Qui ho trovato alcuni dei più bei racconti sui bambini, senza retorica, senza pedagogia zuccherosa: arrivano dritti, sinceri e arguti esattamente come sanno essere i bambini. Ci sono tanti bambini tutti legati dal tradimento degli adulti: che li rapiscono, abusano di loro per troppo amore o per troppo poco. Poi ci sono bambini che si innamorano e odiano, che evocano mostri per combattere il dolore, che non si lascino baciare da mamme che li vorrebbero sempre piccoli e che guardano con distacco e disperazione i genitori soccombere al circo della vita. E ci siamo noi adulti che quei bambini siamo stati e ora non siamo più.

Isotta Piazza, Canonici si diventa, Palumbo

Questo è un libro chiaro, cristallino e militante, come deve essere un saggio che non ha paura di prendere posizione e proporre idee di ampio respiro. Isotta Piazza indaga il canone: ma in realtà il mondo nostro, come leggiamo, cosa leggiamo, chi sceglie i libri che troviamo. Io, leggendolo, ho ritrovato Curtius, Spinazzola, Brioschi ma non messi sull’altare e spolverati, piuttosto resi vivi e nuovi, messi in dialogo ma anche superati perché il mondo è diverso. In più c’è la storia dell’editoria e di alcuni successi che sono per me un pezzo di biografia: i “Millelire”, gli “Oscar”, i “Newton”, i “Miti Mondadori”. Letto, glossato, chiosato e ho pure stabilito le pagine che porterò in classe.

DANIELE LO VETERE – Epistolari poetici

C’è un modo inconsueto ma umanamente intenso di avvicinare la poesia italiana della seconda metà del Novecento, ed è quello di leggere i carteggi tra poeti. Si tratta sempre di edizioni con ottime introduzioni e annotazioni, che consentono di sciogliere i molti impliciti di quelle che sono comunque scritture private e di comprendere e contestualizzare riferimenti non immediati. Certo si tratta di volumi utili agli studiosi nella ricostruzione della biografia degli autori, per tracciare la storia dell’edizione delle opere, come fonti per l’interpretazione di un componimento. Ma sono anche pagine spesso appassionanti, per godere delle quali bastano pochi requisiti: l’amore per la poesia, la curiosità verso un contesto storico e letterario, un po’ di innocente voyeurismo. Si vedono amicizie crescere e rinsaldarsi, nel passaggio dal lei al tu e dalla formale gentilezza dei primi approcci alla confidenza via via crescente; si scovano perle di definizione o autodefinizione critica; si sbirciano i primi abbozzi di poesie a noi già note nella forma definitiva; si scoprono i retroscena della faticosa pubblicazione di un’opera prima; si partecipa alla passione verso progetti editoriali; si leggono vivide discussioni di letteratura e di politica; si colgono dettagli privati (la vita domestica, il lavoro e le sue fatiche, le vacanze estive, un viaggio, gli incontri con altri letterati, …). Soprattutto, si riconosce tra le pieghe delle parole l’intonazione di una voce che spesso corrisponde a quella che già abbiamo sentito provenire dai versi dei loro autori. Ecco, quindi, le mie quattro proposte di lettura.

Reciproche sono la stima e la compartecipazione al percorso poetico dell’interlocutore che leggiamo in G. Giudici – V. Sereni, Quei versi che restano sempre in noi. Lettere 1955-1982, Archinto, 2021: generoso, cordiale, arguto, effusivo il primo; laconico, riservato, signorile, talvolta vinto dal senso di colpa per la propria evasività amicale il secondo. L’ammirazione (quasi devozione è quella di Giudici per Sereni) non impedisce ai due di discutere anche di quanto, nell’opera dell’altro, sia lontano dalle proprie corde poetiche. In queste lettere resta anche traccia del comune progetto della rivista «Questo e altro», di brevissima durata ma di capitale importanza nella storia letteraria.

Molta della bellezza delle parole che si scambiarono Caproni e Sereni (Carteggio 1947-1983, Olschki, 2019) è dovuta alla straordinaria vena epistolare del primo: come Giudici, anche Caproni è devotissimo alla poesia dell’amico (devozione ricambiata: si vedano, tra le altre, le parole bellissime di Sereni per le Stanze della funicolare) e sulla poesia spesso i due si intrattengono. Ma Caproni confessa anche le passioni e disillusioni della propria vita e infittisce le sue lettere di vivacissime osservazioni sul mondo. Spicca su tutto la capacità, che è anche della sua poesia, di schizzare con pochi tocchi il ritratto di una città in cui ha abitato o che ha visitato: da Roma, che sa «di cavolo lesso e di orina», a Palermo, «città senza finestre, tutta di terrazzini di gerani».

Nell’ultima lettera inviata nel ‘93 a Fortini, Giudici si dichiara ancora «il tuo vecchio “alunno” ed amico» (F. Fortini – G. Giudici, Carteggio 1959-1993, Olschki, 2018). Giudici infatti riconobbe sempre il ruolo formativo dell’incontro con Fortini, con cui condivise per qualche anno l’ufficio alla Olivetti: non solo per la poesia, ma anche, e soprattutto, per la maturazione politica e intellettuale. Tuttavia il loro rapporto fu segnato anche da incomprensioni e notevoli asprezze, per la propensione di Fortini all’esercizio di una pedagogia colpevolizzante. Le loro lettere, specie quelle degli anni Sessanta, consentono un’incursione di straordinario interesse nel vivo del dibattito ideologico di quel decennio cruciale.

Di tutt’altra pasta il dialogo tra Luzi e Sereni ne Le pieghe della vita. Carteggio (1940-1982), Aragno, 2017: niente ideologia, niente politica, a malapena percepibile sullo sfondo la storia esterna a quella delle due anime e delle rispettive ricerche poetiche, come un fastidio fatto di incombenze quotidiane e fatiche professionali. Ma l’intesa qui è perfetta. Ciascuno dei due riconosce nell’altro un fratello maggiore, un modello di quella forza morale e intellettuale che dubita di avere in se stesso. Sereni scrive a Luzi «pensavo a te come a un saggio e a me come un peccatore», cui Luzi risponde «avevo a questo proposito tutt’altra idea dalla tua». I rispettivi percorsi poetici appaiono diversi, ma è solo un’apparenza. Ad accomunarli c’è l’ambizione a «lasciar parlare le cose, […] non prevenirle con il nostro giudizio, con nessun apriori teoretico» (Luzi a Sereni). Forse nessuno più di questi due poeti è riuscito a difendere l’insostituibilità della poesia dentro la storia tumultuosa e non di rado cinica del Novecento.

MORENA MARSILIO– Eterogeneità

Tra le letture dei mesi scorsi ho selezionato per la nostra rassegna di consigli estivi titoli e generi molto diversi tra loro: un romanzo breve, un agile saggio, un’opera di riscrittura letteraria e, infine, un testo ibrido che unisce solida ricostruzione documentaria e capacità narrativa.

Piccola per l’eternitá – Carmen Verde, Una minima infelicitá, Neri Pozza

Annetta è una figlia destinata alla piccolezza: una statura, la sua, e una corporatura così minute da imbarazzare; è lei la voce narrante di questo romanzo, un personaggio che decide di vivere nell’ombra tanto rispetto alla madre, seducente e oggetto di pettegolezzi, decisamente ingombrante e personaggio centrale della storia, quanto rispetto al padre, amato troppo tardi e poi rimpianto.

La dolorosa delicatezza e la precisione della lingua coronano una storia dal sapore crepuscolare nella quale Annetta si erge a custode e testimone di una storia famigliare intessuta di egotismo materno e subalternità filiale, cui fanno da contorno personaggi come la domestica Clara e l’amante della madre, Valerio.

“Persino il mio corpo ha scelto per me l’essenziale, sapeva di non essere nato per grandi cose.” (p. 153)

Lettura e democrazia – Antonella Agnoli, La casa di tutti, Laterza

Il saggio di Antonella Agnoli costituisce un vero e proprio viaggio nelle biblioteche europee considerate, come il titolo stesso suggerisce, la casa di tutti, ossia un luogo di formazione democratica, di incontro personale e di scambio intergenerazionale. Esperienze pilota come quella finlandese (biblioteca Oodi di Helsinki), quella olandese (a Tilburg in Olanda) ma anche, per restare in Italia, quella bolognese della Salaborsa o calabrese di Rosarno (Progetto Faro) sono presentate come esempi di sinergia in grado di offrire alla popolazione occasioni di crescita democratica e di cittadinanza attiva. La biblioteca, concepita come luogo articolato e pensato per le esigenze diverse di persone di tutte le età, valorizza il ruolo politico degli spazi pubblici, e, al contempo, lo avvicina a quello privato, come se ne fosse un’estensione: diventa un ambiente composito “dove accade di tutto, dove ogni persona sceglie il suo piccolo spazio vitale, ed è talmente naturale il modo di vivere questa biblioteca che per i cittadini sembra per davvero l’estensione della propria casa.” (p. 123). Agnoli propone per lo spazio-tempo delle biblioteche nuove frontiere, per le quali ci sarà bisogno “di creare una stretta collaborazione tra scuole, biblioteche, università, gruppi teatrali e musicali, musei e cittadini attivi” (p.8)

Un destino diverso per eroine tragiche – Alessandra Sarchi, Vive, Harper and Collins

Vive di Alessandra Sarchi é diventato un libro dopo essere stato pensato e scritto come podcast, a cui ha partecipato l’attrice Federica Fracassi, nel corso della pandemia per “bucare attraverso la voce il vuoto pneumatico in cui ciascuno, a suo modo, era precipitato” (p.7). Con un percorso “all’incontrario” che trasferisce la voce recitata alla pagina di carta con una libera riscrittura,  il destino delle più note eroine tragiche della letteratura mondiale  (da Madame Bovary a Ofelia, da Francesca da Rimini a Marguerite Gautier, da Anna Karenina a Ersilia Drei, per citarne alcune) riprende vigore in un gesto di ribellione che, invece di consegnarle alla morte, rivendica un finale diverso, di affermazione della propria autonomia: “immaginare un destino diverso per queste eroine è un atto letterario che non vuole giudicare né cancellare il disegno originale con cui sono state concepite, ma sviluppare uno spazio nuovo, possibile”. (p.21) Un atto letterario che è anche un gesto politico.

Un’epopea di salvezza – Jan Brokken, I Giusti, Iperborea (traduzione di Claudia Cozzi)

Dopo un lavoro di ricostruzione documentaria protrattosi per tre anni, Brokken ripercorre la vicenda dell’”Angelo di Curaçao”, pseudonimo coniato da migliaia di ebrei ai quali Jan Zwartendijk – in Lituania come direttore della filiale locale della Philips e nominato console onorario a Kaunas – ha rilasciato i lasciapassare per le Indie olandesi, in accordo con il console giapponese Sugihara. A decenni di distanza dai fatti rievocati, in un’opera poderosa e ricchissima di particolari e microstorie, Brokken ritaglia uno spazio a un tempo saggistico e narrativo per dei “Giusti” che hanno fatto della propria responsabilità individuale una lezione di coraggio di fronte a una scelta eticamente non eludibile.

LUISA MIRONE – Leggero con giudizio

Da quando l’ho letto, ipnotizzata,  in tre giorni, durante le vacanze di Pasqua, a chiunque mi chieda un suggerimento di lettura raccomando di non mancare V13 di Emmanuel Carrère, Adelphi (traduzione di Francesco Bergamasco, Premio Strega Europeo 2023) – spiazzante, scritto magnificamente, difficile da incasellare: reportage, racconto, diario, saggio, riflessione individuale e collettiva, analisi e cura di un trauma, quella ferita profonda lasciata dagli attentati al Bataclàn, allo Stade de France e ad alcuni bistrot di Parigi il 13 novembre 2015. Però, quando ho provato a proporlo come lettura estiva, mi sono sentita ribattere con qualche imbarazzo “Ma non potresti consigliarci un libro più leggero?”. “Leggero in che senso? Nel tema? Nel genere? Nell’estensione? Nello stile? Leggero alla maniera che ci ha insegnato Calvino?”. “Leggero”. In assenza di ulteriori indicazioni, ho fatto da me e ho provato a mettere insieme un piccolo repertorio leggero; leggero con giudizio. Eccolo qui.

Elizabeth von Arnim, Un incantevole aprile, Bollati Boringhieri (traduzione di Luisa Balacco) – Lieve e profumata è la vacanza di quattro donne inglesi di età ed estrazione assai diverse, che si trovano a condividere una splendida dimora medievale in un borgo incantato della Liguria, spinte dal desiderio di sfuggire alle loro esistenze dissimili ma ugualmente irrisolte e malinconiche. Elizabeth von Arnim – scrittrice tutta da riscoprire – le descrive con tenerezza e ironia, acume e spregiudicatezza, frugando senza remore tra i loro desideri inespressi e prendendosi gioco delle convenzioni sociali – di quell’epoca (gli anni Trenta del Novecento) come di ogni epoca. Irriverente, divertente, irresistibile. Può indurre dipendenza, come da piccole dosi di sottile euforia. In questo caso, proseguite con quello che è ritenuto il romanzo migliore di von Arnim, Mr Skeffington; e poi, a piacere, con gli altri – che sono molti, per la gioia di ogni lettrice e lettore.

Dario Ferrari, La ricreazione è finita, Sellerio – Contravvenendo al principio fondatore della leggerezza calviniana (“leggerezza non è superficialità”), Marcello sembra rinnovare il prototipo del perdigiorno. Trentenne mai cresciuto, laureato in lettere ampiamente fuori corso, vive dalla madre e campa di lavoretti occasionali, pur di scansare l’impiego nel bar paterno e ogni forma di responsabilità. Per una circostanza fortuita si ritrova tuttavia incredibilmente vincitore di un dottorato e catapultato nel mondo accademico come in un universo distopico. Il professor Sacrosanti, potente luminare alle soglie della pensione, gli impone una tesi su Tito Sella, un terrorista viareggino, morto in carcere, autore di alcuni scritti, uno dei quali avvolto nel mistero. Nonostante gli sforzi di Marcello per ricondurre anche quella inaspettata opportunità entro i confini praticabili e ordinari in cui ha sempre vissuto, la sua esistenza sciatta e angusta subisce inevitabili torsioni, obbligandolo a cercare una prospettiva diversa dalla quale guardarsi e raccontarsi mentre crede di guardare e raccontare Tito Sella, la sua opera e il suo operato. Beffardo, funambolico, disincantato.

Peter Cameron, Che cosa fa la gente tutto il giorno?, Adelphi (traduzione di Giuseppina Oneto)– Se già conoscete Cameron, sapete che leggerlo non è rilassante, ma lascia sempre addosso una inquietudine serpeggiante, del tipo più insidioso perché generata dalla normalità. Nessun evento straordinario, nessuna vicenda o personalità eccezionale: è così anche per questa raccolta di racconti, i cui protagonisti sono adolescenti, uomini, donne alle prese con la relazione difficile con il quotidiano e le figure che più comunemente lo popolano: padri, madri, mariti, mogli, compagni, amanti… Ma proprio il formato del libro fa sì che il peso del vivere si parcellizzi, come suddividendosi in porzioni: ogni racconto ne reca una, alleggerendo così il peso complessivo, ridistribuendone il carico fra la gente, quella che tutto il giorno si dà un gran da fare per vivere. Democratico.

Paolo Colagrande, Salvarsi a vanvera, Einaudi – Il tema non è affatto leggero, anzi. È il 1943 e un gruppo di ebrei che vive nella pianura padana deve salvarsi dai nazisti. L’ebreo Mozenic Aràd ha casualmente scoperto un giacimento di carbone sul Rio Fogazza. Alla vigilia della proclamazione delle leggi razziali, si trasforma pertanto in Mestolari Aride e si mette a capo, con consapevole incoscienza, di una improvvisata squadra di sedicenti esperti geologi, minatori, carpentieri, dietro cui si celano uomini e donne il cui destino sarebbe tragicamente segnato fuori da quella miniera che – si dice – nasconde la Salamandra Ignifera Gigante Cinese, capace di incenerire chi si avvicini. Ma se questo tiene distante la popolazione timorosa, non basta ad allontanare i sospetti del maggiore von Appensteiner, mettendo a repentaglio l’impresa. Colagrande disegna, sul fondo nero carbone di una miniera e di un’epoca, un universo iridescente. Spericolato, disperato e irriducibilmente vitale. Se ne esce contagiati: malinconici, frementi e – sì – incredibilmente leggeri.

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