Proposte per giovani lettori – “Aristotele e il giavellotto fatale” di Margaret Doody
Assaggio di lettura
«Ovviamente», mi disse Aristotele mentre ci allontanavamo con fatica dall’infelice ginnasio, con i suoi ricordi di morte, di mezze confessioni, di pianti, maledizioni e brutte sorprese. «Ovviamente la famiglia farà tutto quello che può per il ragazzo. Lisimaco era troppo stordito e Periandro appartiene a una famiglia potente che lo farà scappare da Atene prima del processo. Ma immagino che dovrà patire l’esilio per gran parte della sua vita… o almeno per molti anni».
«Euribolo lo ha già portato via», confermai, «e sarebbe crudele giustiziare un ragazzo. Ma è sconcertante che una persona così giovane si sia resa colpevole di omicidio, e per motivi così futili».
Rimanemmo un po’ in silenzio mentre arrancavamo per le strade piene di fango, diretti a casa mia. (Il mulo di Aristotele si era stancato d’aspettare e se n’era andato chissà dove).
«I motivi dell’omicidio non erano futili agli occhi di Periandro», disse Aristotele pensieroso. «Come insegna la storia, uomini adulti rivali nella ricerca del potere e del successo si trasformano in assassini. Chi può dire quali sentimenti siano più accesi? Gli uomini adulti hanno sentimenti più profondi di questi giovani imberbi dalla voce stridula?» (pp.53-54)
Genere
Giallo. Un po’ filosofico, dato il protagonista.
Il titolo
Come scrive Luciano Canfora nella breve e gustosa nota che chiude il libro, «questo racconto avrebbe potuto intitolarsi Il cappello di Aristotele, ma sarebbe stato un titolo troppo scoperto. Solo alla fine il lettore dovrà scoprire che la chiave è un dettaglio minimo, lasciato scivolare quasi inosservato al principio del racconto» . Pertanto il titolo vira verso l’oggetto più vistoso, quel giavellotto scagliato con baldanza durante un allenamento nella palestra di un ginnasio ateniese che fatalmente (ma non troppo, come si scoprirà) colpisce a morte un allievo.
La storia
Atene, 300 a.C., o giù di lì. In una piovosa mattina, Aristotele, già stimatissimo filosofo e accreditato maestro, accompagnato dal suo vivace e fedele discepolo Stefanos, si reca presso il ginnasio del precettore Arcandro, il più prestigioso della città, per chiedere l’ammissione di un suo giovanissimo protetto. Nonostante l’accoglienza rispettosa e sollecita di Arcandro, la visita di Aristotele è tuttavia ripetutamente interrotta. Al ginnasio si presentano infatti in successione due personaggi molto noti in città, Lisimaco ed Euribolo, politicamente rivali e padri rispettivamente il primo di Sogene e il secondo di Milziade, due allievi assai promettenti di quella scuola. Entrambi chiedono, per ragioni diverse, di poter parlare con i loro figli, in quel momento impegnati con gli altri compagni in un allenamento in palestra. Ma proprio dalla palestra giungono grida lancinanti e concitate e, quando gli adulti accorrono, ai loro occhi si mostra una scena raccapricciante: Sogene giace trafitto dal giavellotto scagliato da Milziade. La dinamica dei fatti appare inspiegabile: la vittima si sarebbe interposta tra il lanciatore e il bersaglio pur conoscendo la traiettoria del giavellotto, l’entità del tiro, l’avvicendarsi nel lancio dei compagni. A nulla sarebbero valse le urla, con le quali lo avrebbero indotto ad allontanarsi. Il racconto dei giovani atleti è, sulle prime, confuso e disorganico e si mescola al rancore e alle minacce reciproche dei due padri, diversamente ma parimenti sventurati. Tocca dunque ad Aristotele assumere il controllo della situazione:
«Non è questo il momento di discutere», disse Aristotele con fermezza. «Prima dobbiamo esaminare i fatti. Allora, voglio che per un po’ nessuno esca da questa stanza, finché non avrò scoperto cosa è accaduto veramente. Siete tutti d’accordo?» (p.33)
Tutti d’accordo. L’autorevole filosofo inizia così a interrogare separatamente ognuno dei ragazzi, scoprendo un coacervo di fragilità e prepotenza, competizione e rivalità; una miscela letale che avvelena delle ambizioni limacciose degli adulti le aspirazioni ancora fluide dei giovani.
I personaggi
Indiscutibilmente protagonista, Aristotele si accompagna al giovane Stefanos (che è anche la voce narrante) e insieme (per quanto letterariamente più giovani!) sembrano i progenitori della più celebre coppia di investigatori della narrativa poliziesca, quella di Sherlock Holmes e John Watson; e se non fosse che Aristotele detective (il primo romanzo della serie costruita da Margaret Doody intorno allo Stagirita) è datato 1978, forte sarebbe la tentazione di scorgere in controluce, dietro questo maestro e il suo discepolo, Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk. Osservatore acuto e convinto assertore del metodo induttivo, anche in questo caso Aristotele non si smentisce e risale alla verità muovendo da particolari sensibili e sparsi, che riconnette tra loro in sequenze di logica evidenza.
«Ho tutta la pietà che il senso di giustizia mi consente», rispose Aristotele. (p.35)
L’opposizione lucida e ferma, che Aristotele esercita sulle passioni per sottrarre il giudizio al metro ondivago delle emozioni, non gli impedisce tuttavia di conoscerle a fondo e comprenderne il potere e la consistenza oggettiva nelle azioni umane. E così, smascherando il colpevole, il filosofo rivela anche le traiettorie perverse dei desideri e le orbite deformi dei conflitti sociali, qui incarnati in Lisimaco ed Euribolo. Lisimaco è un ex scalpellino, che a malapena sa leggere, ma che si è enormemente arricchito, tanto da poter aspirare a cariche pubbliche importanti; le stesse che fanno gola a Euribolo, esponente tronfio e altero della antica aristocrazia ateniese. Sui figli si proiettano senza alcun filtro le aspettative grevi dei genitori, blanditi entrambi dal precettore Arcandro, giacché – si sa – pecunia non olet, provenga pure dalle tasche di un parvenu.
Intorno a questi adulti (tutti uomini) si dispongono i giovanissimi allievi del ginnasio (ovviamente tutti maschi): Sogene, Milziade, Periandro, Meno, Megacle, Eretimo. Con domande mirate e misurate, Aristotele li tira fuori ad uno ad uno dalla dimensione informe del branco, scoprendone la personalità e le inclinazioni e ricostruendo con acume i rapporti di forza, le relazioni intramontabili fra leader e gregari, la legge non scritta del più forte.
Perché proporne la lettura
Tra tutti i romanzi che costituiscono la fortunata serie con protagonista Aristotele detective, Aristotele e il giavellotto fatale presenta qualche ragione in più per piacere a un pubblico di lettori anche molto giovani (che non ne sono i destinatari originari, o per lo meno non ne sono gli unici), anche digiuni di filosofia e con modesta familiarità con la storia antica. Il fattore di maggiore interesse è certamente il metodo dell’insolito detective, interamente basato sulla disamina razionale dei dati e sulla osservazione dei luoghi e dei contesti. Nessun ricorso alla tecnologia, nessuna esibizione di forza, nessun superpotere. L’ambientazione storica contribuisce a emancipare l’idea stessa dell’indagine dal ricorso a supporti che ormai, nell’immaginario collettivo ammorbato da innumerevoli serie tv poliziesche, sembrano esserle connaturati (impronte digitali, dna, autopsie, analisi di laboratorio…) e l’indagine viene ricondotta – si direbbe – alla sua purezza: intelligenza e ragionamento, ricerca e comprensione. A questi elementi, comuni a tutti i romanzi della serie, qui si aggiunge la peculiarità del luogo in cui si svolge l’azione: un ginnasio, una scuola frequentata da ragazzi tra gli undici e i quindici anni, che condividono dunque con l’ipotetico giovane lettore non solo l’età, ma l’esperienza necessaria – a volte esaltante, a volte dolorosa – del gruppo dei pari, con le sue dinamiche insieme ingenue e crudeli. Niente affatto trascurabile è infine la relazione padri-figli, adulti-giovani: in ultima analisi l’unica, vera responsabile del gesto terribile, lucidissimo e incosciente, di un adolescente schiacciato dal modello competitivo e vincente imposto dai “grandi”; assai vicino al modello drammaticamente dominante di oggi.
Va da sé che il lettore giovane, ma già in qualche modo iniziato alla storia dell’antica Grecia e del lungo e difficilissimo cammino della democrazia, riconoscerà tra queste pagine – ma quasi vivi, agìti – i luoghi, i modi, i tipi che su quel cammino impressero la loro orma e saprà da questo trarre spunti ulteriori di riflessione, fuori dalle atmosfere scintillanti di una grecità cinematografica, spesso tanto irresistibile quanto inverosimile.
Da non sottovalutare: più che di un romanzo, si tratta di un racconto e del racconto possiede il ritmo, la tensione, l’incalzare della soluzione, oltre ad avvalersi di dialoghi vivaci. Questo può sollecitare la curiosità di un adolescente ed essere anche un buon alleato per l’insegnante che volesse farne in aula una lettura ad alta voce.
Informazioni editoriali
Scritto nel 1978, viene pubblicato in Italia da Sellerio nel 1999. Traduzione di Rosalia Coci. Sessantacinque pagine (nota di Canfora inclusa e, potendo, da includere).
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G.B. Palumbo Editore
Appena conclusa la lettura: eccellente scrittura, appassionante ambientazione, ritmo consono. Alla fine riesce a rendere simpatico un filosofo, Aristotele, che non avevo mai saputo amare… bravissima, signora Doody, certamente passerò alla lettura di qualche altro suo scritto di questa serie.