Lettera agli insegnanti
Pubblichiamo una lettera del nostro direttore Romano Luperini, già uscita sulla pagina web dell’editore Palumbo, che ringraziamo.
Cari insegnanti,
mi rivolgo a voi in un momento difficile per la società italiana e per la scuola. È in corso un tentativo di imporre contenuti assurdi e impropri (Dante come fondatore della cultura di destra nel nostro paese), di subordinare sempre più la scuola alle leggi del mercato e ai bisogni della economia e anche di dividere gli insegnanti attraverso gabbie salariali che porterebbero a un conflitto fra docenti meridionali e settentrionali. Divide et impera. Si sta assistendo insomma a un vero a proprio attacco alla scuola pubblica e alla sua funzione formativa.
Cari insegnanti, la Costituzione vi chiede di formare dei cittadini, non dei consumatori o dei produttori. Voi entrate ogni giorno in aula per insegnare la letteratura e insieme la democrazia. Dovete preparare i giovani a leggere e a commentare un testo letterario; e ciò comporta anzitutto studiarlo oggettivamente nella sua autonomia rispetto al lettore, considerarlo nelle sue componenti storicoculturali e letterarie, linguistiche e stilistiche; ma poi dovete anche sollecitarne l’interpretazione, che comporta invece la partecipazione del lettore, chiamato a esprimere il significato per noi di un testo. Non solo e non tanto il significato per me, ma potenzialmente un significato per la intera comunità dei lettori. Lo studio della letteratura insomma è anche educazione civile, insegnamento di democrazia: a tutti è data la possibilità di parlare liberamente e di interpretare un testo, ma prima ognuno deve sapere ciò di cui si parla, conoscere l’argomento su cui prende la parola. La classe come “comunità ermeneutica” presuppone questa partecipazione collettiva interpretante e questa scuola democratica.
Per annullare o ridurre questa funzione democratica sempre più si tende a trasformarvi in tecnici dell’insegnamento, in impiegati che hanno smarrito o devono comunque smarrire la funzione intellettuale di interpreti di testi e di mediatori culturali. È un vero e proprio declassamento non solo del vostro ruolo, ma della cultura e della stessa letteratura.
Cari insegnanti, ho dedicato la mia vita in gran parte alla scuola. E se mi rivolgo a voi, è anche per un impegno con voi condiviso e durato alcuni decenni e in nome di questa lunga lotta comune. Esistono ancora degli spazi di libertà, sempre più marginali, è vero, ma esistono. Cerchiamo di riempirli di contenuti di senso. Facciamo in modo che ogni lettura in classe di un testo letterario divenga una occasione per restare fedeli al compito che la Costituzione repubblicana ci assegna.
Romano Luperini
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Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
Condivido del tutto la lettera di Romano Luperini e sono sicura che lo è da ogni insegnante di letteratura degno di questo nome. Semplicemente perché non può esistere un modo di insegnarla diverso da come Romano lo ha efficacemente rappresentato
Sono certo che, stante l’attuale deriva della “forma-scuola”, Romano Luperini sia il primo a rendersi conto che le proposte da lui formulate per fondare e fondere l’insegnamento dell’italiano con l’educazione alla cittadinanza possano apparire sia filistee che donchisciottesche o, al più, suscitare un benevolo sorriso di indulgente commiserazione. Tuttavia, pur senza giungere ad assegnare agli insegnanti, attraverso la mediazione della “comunità ermeneutica”, la duplice funzione habermasiana di latori potenziali di “un significato per la intera comunità dei lettori” e di “scudieri della Costituzione”, va ribadito con forza che l’assenza di un impegno critico-conoscitivo da parte del ceto insegnante rappresenterebbe un’inaccettabile abdicazione etica e umilierebbe il lavoro dei docenti a un ruolo miserabilmente
esecutivo-trasmissivo, cui corrispondono, in una sterile e vuota alternanza, atteggiamenti di attivismo cieco, di indifferenza cinica, di entusiasmi puberali, o di indifferente e rassegnata routine burocratico-impiegatizia.
Vi è poi un ulteriore aspetto che concerne il nodo tematico del rapporto tra lingua e letteratura come tassello di un mosaico più ampio, quello del rapporto tra lingua e cultura. Anche in questo caso è doveroso che l’insegnante di italiano si faccia promotore di uno studio della nostra tradizione letteraria come strumento per mettere gli studenti di fronte alla complessità della lingua, alla rete di sfumature e polisemie con cui gli autori del canone letterario esprimono soggettività radicate nelle ideologie e nella storia. Acquisire a scuola la capacità di riconoscere e gustare questo tipo di complessità dovrebbe essere uno degli obiettivi principali dell’insegnamento della letteratura. Tale posizione si scontra però con l’ottica di chi individua nella mole letteraria del “classico” il controcanto ideologico di una scuola dominata dai rapporti di classe, la testa di turco di una società che esclude i “deboli” e gli “svantaggiati”, oppure ancora con la visione di chi collega l’insegnamento della letteratura con una forma di pessimismo pedagogico secondo il quale gli adolescenti del XXI secolo, immersi come sono nella lingua della televisione, della Rete e dei cellulari, sarebbero costitutivamente sordi alla lingua letteraria. Sta di fatto che, quali che siano le difficoltà e gli ostacoli che si frappongono ad un progetto di difesa e di rilancio della cultura letteraria, filosofica ed artistica, la scuola non può prescindere da una prospettiva che sia insieme storica e axiologica. Deve quindi abituare gli allievi al confronto con le realtà del passato, facendo emergere le differenze (e la relatività dei punti di vista) e insieme gli elementi di continuità; e deve proporre letture a vario titolo significative. Pensare che queste due esigenze coincidano con i gusti e le propensioni di una classe di adolescenti è illusorio. Il “piacere della lettura” non può che essere un obiettivo finale, non è certamente un requisito preliminare per la scelta dei testi, e presuppone una disciplina anche abbastanza severa, come del resto avviene in altre materie di studio. Per apprezzare Dante, ad esempio, bisogna imparare a leggerlo, confrontandosi con una realtà che è distante da noi non solo dal punto di vista linguistico. Ma proprio questo sforzo di avvicinamento al testo, questo “attrito”, come avrebbe detto Graziadio Isaia Ascoli, ha un potenziale educativo straordinario: del resto, esattamente come avviene in una gara sportiva, il risultato che presuppone un impegno faticoso è quello che riesce maggiormente gratificante.
Caro professore,
Le scrivo da mamma e da collega..
Il problema della scuola di oggi è che abbiamo perso di vista la funzione della scuola.. mettere gli alunni al centro. La scuola deve essere incentrata sugli studenti. La scuola non serve a pagare gli stipendi ad insegnanti e personale ATA. Il tempo per insegnare viene rosicchiato da mille incombenze estranee alla nostra funzione di docenti.
A scuola si dovrebbe fare tutto ciò che fuori non si fa, e in primis, conoscere la letteratura e imparare a pensare (non a ragionare). Insegnare ai ragazzi ad usare la tecnologia è a mio avviso inutile.
Cordiali saluti
Catherine Vidali
Per molti di noi lavorare in questa ottica, che è stata, è, e sarà la nostra, diventa sempre più un atto di resistenza. Grazie, Romano, per averlo ribadito e per essere sempre attento e vicino alla realtà della scuola. I ragazzi sono alla ricerca di senso, tra le molte insensatezze tra le quali navigano, loro malgrado, e desiderano ancora riconoscersi come comunità ermeneutica. Gli spazi di libertà sono sempre meno, ma esistono, e noi abbiamo il dovere di farne luoghi di democrazia, interpretazione e senso critico.
Grazie Romano, proprio pochi giorni fa ti ho pensato, mentre in classe – dopo aver letto la prefazione ad “Eva” – abbiamo letto e commentato “La roba”. Mi brillavano gli occhi vedendo gli occhi dei miei alunni accendersi. Durante le ore di letteratura, grazie ai testi, facciamo sempre piccoli atti di magia che, almeno per quel tempo sospeso, ci fanno uscire dal ruolo di produttori/consumatori. Sono convinta che la scuola resti ancora uno spazio di democrazia e costruzione di senso e libertà, così come l’insegnamento della letteratura e sono contenta di sentire ancora la tua voce che, con la sua lucida cadenza, ci indica chiaramente la via da seguire.
Grazie ancora Maestro!
All’insegnante manca il tempo per poter essere serena per presentare il la sua lezione spaziando nello scibile umano. Un’ora di lezione 10 minuti per l’appello e registrazione nel registro
40 minuti di lezione il rimanente tempo per registrare il contenuto della lezione poi di corsa in un’altra classe e via..mi dite come in una scuola così organizzata si può dare spazio ai ragazzi per le loro libere espressioni?
@Gioiello Tognoni. I commenti sono soggetti ad approvazione prima della pubblicazione. Il suo commento non è stato approvato perché contiene una gratuita offesa personale. Sono accettate critiche anche severe ma sempre argomentate e nel merito.
L’affetto e la grandissima stima che ho per Romano Luperini non mi impediscono ancora oggi – in tempi politicamente così bui – di esprimere un mio fraterno dissenso (o almeno la mia perplessità) per la sua – purtroppo insufficiente presa posizione. I buoi sono già scappati dalla stalla (della scuola italiana) e il pensiero critico è stato espulso non solo dall’università ma dalla società italiana. Non basta la lodevole resistenza da ultimi mohicani nella scuola.
È una critica che espressi (vanamente in verità e non per colpa di Luperini) in una lettera che gli scrissi nel lontano aprile 1998 dopo aver letto il suo “Il professore come intellettuale “.
Da essa stralcio e pubblico solo un punto. E soltanto per dare un’idea delle ragioni (non banali, credo) di quelle mie critiche:
Settima osservazione:
La riforma ecc.
La scuola va riformata assieme all’insegnamento della letteratura (23). La bandiera della riforma viene ripresa nella solita accezione:«necessità di un adeguamento alle trasformazioni economiche e culturali» (qui non definite…) (21).
Il processo riformatore di Berlinguer è condiviso. Ne critichi solo i «modi contraddittori e talora francamente inaccettabili» (21).
Temi il drastico ridimensionamento della letteratura (Solo un esame obbligatorio di letteratura italiana) e «la scarsissima attenzione che al problema della letteratura – rispetto alle altre discipline – è stata data da parte della commissione dei 39 cosiddetti saggi» (21), che mirerebbero a trasformare «il professore d’italiano ora in un esperto di grammatica e di educazione linguistica, ora, invece, in un tuttologo» (22).
Il rischio sottilmente “corporativo” di queste obiezioni è per me evidente.
L’ emarginazione della scuola e della letteratura dal centro della complessa scena culturale contemporanea non può essere negato.
Riconosci che «la letteratura non è più la loro [dei giovani] materia formativa», senza precisare da quando non lo è più e per quanti giovani lo è stata davvero (22).
Parli di «attacco alla scuola – e alla scuola pubblica in particolare» anche come «attacco alla lettura, alla letteratura, alle materie umanistiche in genere» (22).
Scuola e umanesimo sono identificate.
Ma trascuri che l’attacco alla scuola fascista-umanista è venuto in passato con buone motivazioni; che allora le tradizioni umanistiche la fecero da padrone e non servirono certo a rinvigorire la democrazia; che tutta questa emarginazione della lettura, della letteratura e delle materie umanistiche è anche gonfiato dai mass media.
A me pare che una buona parte dei rappresentanti di quelle tradizioni umanistiche convivono assai bene con logotecnocrati o tecnocrati, come con preti, cardinali e privati d’ogni genere e non vorrei arruolarmi a loro difesa sotto la bandiera di un generico umanesimo.
Indichi puntualmente i vari fattori che concorrono alla crisi. Ma, guarda caso, sembra che ad essere in crisi sia solo o soprattutto l’insegnamento della letteratura!
Ma la crisi tocca tutti i tipi d’insegnamento (umanistici e scientifici). E’ la scuola nella sua interezza ad essere in crisi.
La forzatura di questa denuncia umanistica appare allora involontariamente corporativa.
Quanto riferisci per l’insegnamento della letteratura va esteso, specificando, a tutte le materie. E non si tratta solo di crisi di didattica. Ma di crisi sociale, politica.
La restrizione del discorso alla didattica e alla didattica della letteratura risulta difensiva e la funzione critica del tuo discorso viene smorzata.
Purtroppo noi docenti non possiamo fare nulla contro le riforme calate dall’alto del governo, le imposizioni dei dirigenti scolastici che costringono a modificare i voti negativi perchè altrimenti la scuola perde “clienti”, l’inutile alternanza scuola lavoro che fa perdere ore di lezione, la violenza , la maleducazione e la sicumera di certi colleghi, genitori e alunni. E’ impossibile combattere da soli contro tutto questo con un misero stipendio e con un basso potere d’acquisto per giunta. La scuola è cambiata in peggio perchè anche la società è cambiata in peggio.
Da ex docente di Italiano posso affermare che l’insegnamento della lingua e letteratura italiana ha da sempre costituito il mezzo per avviare dibattiti costruttivi ed educativi tra passato e presente e formare coscienze critiche
Purtroppo oggi questo viene trascurato ,per fortuna non da tutti i docenti
Urge intervenire!
Io ho scritto solo due volte su questo blog, che leggo ogni tanto, che trovo interessante, a volte mi scarico e mi stampo degli interventi. Due volte in fondo con due epigrammi. Nel primo, dopo avere lodato una stroncatura “feroce” di Luperini del “Colibrì” di Veronesi (in realtà non ho letto il romanzo e non posso giudicare se fosse meritata, ma era scritta bene, da vero “critico”, e la contrapponevo ai suoi romanzi, che mi ero letto nella biblioteca di Pontedera in vista di un suo incontro a cui pensavo di andare, ma poi ebbi un contrattempo e non andai). Tutta la mia stroncatura della sua vita e della sua opera si basava su due parole sdrucciole (pallòttole / carabàttole) come è nell’essenza dell’epigramma. Il mio scritto stette un po’ sul blog e poi fu cancellato. Quest’ultimo l’ho scritto sempre dalla biblioteca di Pontedera, dove mi rifugio il pomeriggio avendo in casa addirittura due gradi in questi giorni, e l’ho scritto dal mio smartphone, quindi con tutti i limiti del caso. Ho spiegato un po’ il senso del mio improvvisato epigramma in una lettera successiva, che naturalmente non è stata pubblicata. Vedo qui ora vecchie argomentazioni critiche di Ennio Abate. Lui parla di “corporativismo”, io parlavo di “regressione”. C’è l’uno e l’altro secondo me in Luperini. I suoi romanzi non mi erano piaciuti, perché, conoscendo Romano dal 1965 e avendolo per alcuni tratti delle nostre vite frequentato, ne potevo vedere l’interfaccia fra vita e resa letteraria.
Ora c’è un nuovo ciclo su Verga alla biblioteca di Pontedera, che non volevo seguire. Ma poi ho deciso di andare, e non me ne sono pentito. Interessante la prima conferenza di Lo Castro con applicazione della narratologia a Verga (ma io mi occupo da una ventina d’anni soprattutto di genetica delle popolazioni e non sono aggiornato sulla “letteratura”) e promette bene la prossima di Castellana. Avrà pure un significato se egli pone l’accento sul sociologo Bourdieu e rivaluta il “capitale simbolico” nello studio della letteratura di contro al “capitale economico”!. Vorrà dire qualcosa tutto questo su vita miracoli e morte del marxismo! E’ l’epoca dei sociologhi. Anche Alessandro Orsini si basa molto su Max Weber. Lo scrittore è tanto più grande in quanto sa interpretare la sua epoca, non attraverso patetici corporativismi e regressioni. Ognuno naturalmente ha diritto alle sue. Un bel saggio di Massimo Recalcati su Pasolini, letto in un pomeriggio sempre nella biblioteca di Pontedera.
P.S. Un po’ meno la conclusione del saggio di Recalcati, che vede la salvezza nella partecipazione dei giovani alla vita di un rinato PD (lui spera). Nella mia adolescenza il PCI era forte, quasi bulgaro nel mio paese. Un dirigente, diventato poi ricco come capace amministratore, ci invitava a “partecipare”, fare progetti, che noi facevamo. Poi veniva lui e diceva: “Ho deciso io”. Quell’incarico era affidato ad uno che gli aveva fatto gli stucchi gratis nella sua imponente villa in costruzione. Ora essa è stata abbattuta. Al suo posto c’hanno fatto appartamenti moderni, in linea con il risparmio energetico. La figlia non ha avuto figli, e la sua linea si è estinta. Quando andarono alla visita militare, lui, Cecco del Pelosini e mio padre, che era il più basso col suo un metro e ottantuno, e il medico, una “mezzasega”, li vide nudi davanti a sé, esclamò: “O chi v’ha partorito!” Questa è la vita. Le ideologie, e le costituzioni, sono sole transeunte.
la ” funzione formativa” l’abbiamo persa quando la scuola è diventata di massa si è preoccupata di evitare la “dispersione scolastica”, che nella realtà concreta è diventata promuoviamo tutti (o a essere precisi il 95-99%)
Egregio Professore,
quanto vorrei che la Scuola tornasse ad essere quella di un tempo!
Io continuo a resistere, e tanti altri con me, e non intendo piegarmi in un “Sistema” di formazione freddo, cinico e di scarso valore.
Eppure resistere non è semplice, chi non accetta la “gamification”del sapere, anche della Letteratura, non è allineato e va avanti in mezzo a mille difficoltà, anche tra Docenti che si sono arresi, cha hanno smesso di lottare o ai quali è stato fatto il lavaggio del cervello…e così “Pirandello può attendere”.
La Scuola non è un gioco, è una cosa seria, anche quella dell’obbligo, perché prepara generazioni di futuri cittadini che dovranno ragionare, pensare in modo critico per non essere mai schiavi delle idee altrui, saper capire i pensieri anche quando sono dipinti dalle parole, saper affrontare i problemi in autonomia. Solo comprendere la complessità, anche di un testo poetico, potrà consentire ai nostri ragazzi di raggiungere obiettivi veri e validi.
Il Male della Scuola è proprio questo, evita la complessità in ogni sua forma e non contempla più impegno e senso del dovere. Se qualcosa è difficile non va fatta; questo sembra essere il motto che ispira la massa.
Da questa logica perversa nascono anche le valutazioni dei giovani scolari, quindi si dà 6 se realizzi un power point a quadrimestre, 7 se ne fai due e uno di essi lo presenti leggendo il contenuto copiato da internet, 8 se esponi un argomento in una interrogazione programmata, e anche lì si evita la difficoltà, 9 se fai sempre i compiti, 10 se studi anche quando non è richiesto.
Si vorrebbe annullare il valore formativo della Letteratura, e non solo, in una Scuola che naufraga nella semplicità, ma leggo in questa lettera la speranza che quel folle e disumano intento non si realizzi.
Liviana Cavallaro
[…] qui –> Romano Luperini […]
Non so che esito avrà la vostra “moderazione”. Una curiosità. Io effettivamente volevo scrivere “Le ideologie, e le costituzioni, sono solo transeunti”, ma ho scritto “sono sole transeunte”. Esempio di scrittura automatica, o dettata dall’inconscio. Fra l’altro che siano un “sole transeunte” ha richiami fra i miei versi preferiti fin dall’adolescenza: “soles occidere et redire possunt”… Anche quel “burino” ritenuto offensivo fu dovuto a una sorta di scrittura automatica dettata dalla rima con “cretino” (cosa che penso di quel tale da quando lo vedo ogni tanto in televisione). Ero pieno in quel momento dello stupore per l’enorme opera di Pasolini presente in biblioteca nell’edizione di Walter Siti. Io leggevo sempre i sui scritti sui giornali e riviste che arrivavano nella “Casa del popolo” della mia adolescenza, e non mi sembra che Pasolini usasse “burino” in modo offensivo, piuttosto secondo il suo mito di un mondo irrimediabilmente perduto.
@Gioiello Tognoni, poche precisazioni.
Prima del passaggio sulla piattaforma WordPress, che è quella attualmente in uso, i commenti comparivano immediatamente, senza intervento della redazione. Sulla nuova piattaforma abbiamo introdotto una moderazione, come è prassi.
I commenti offensivi venivano cancellati prima, non vengono approvati ora. Questo criterio è ferreo.
Non ci si può nascondere dietro il dito dell’epigramma e delle etimologie per mascherare un’offesa personale. La maggior parte dei commentatori non ha faccia. Alcuni ricorrono anche al solo nome di battesimo o a pseudonimi. Siamo in regime di sostanziale anonimato. Questo rende molto labile l’identificazione della responsabilità autoriale, che è essenziale se si vuole ricorrere a una forma aggressiva. Ci si deve mettere la faccia: cosa qui materialmente impossibile.
Non siamo più in quel regime discorsivo che vedeva intellettuali, sulla carta stampata, scambiarsi epigrammi, giocando sul confine tra critica degli argomenti e critica della persona. Tocca prenderne atto e adeguarsi.
Pubblicheremo i suoi commenti se contengo argomentazioni, come abbiamo fatto questa volta, anche se troviamo che poco contribuiscano al dibattito collettivo e siano piuttosto commenti di stretto carattere personale o idiosincratici.
Saluti
Condivido tutti i contenuti della lettera di Romano Luperini, a cui mi legano alcuni decenni di militanza politica e di militanza in campo culturale e letterario. La scuola e la cultura italiana nel suo complesso sono dentro la deriva autoritaria, che attraversa l’intero nostro paese e che dileggia il modello economico, sociale e politico contenuto nella Costituzione repubblicana, democratica e antifascista. A questa deriìva occorre resistere con tutti gli strumenti disponibili. Faccio una sola chiosa: è fondamentale che si ponga l’assillo critico anche alle cosidette “scienze esatte o naturali”, che ho coltivato la vita intera per il mestiere che faccio. Non dico nulla di nuovo: lo scientismo, cioè la riduzione della scienza a religione, è l’altra faccia dell’irrazionalismo autoritario, misticheggiante reazionario. La nostra scuola non educa le studentesse e gli studenti alla critica delle scienze e della loro pretesa “neutralità”. La scuola italianaseleziona (con canali specifici) un numero esiguo di quadri tecnico-scientifici, che vanno a formare una elite al servizio delle classi dominanti e delle loro ideologie autoritarie, nazionalistiche e razziste. Questo non può essere attribuito, come fanno alcuni commenti qui sopra, ad un limite del discorso di Romano, che si esprime correttamente dal proprio campo di interesse per ricavarne un discorso complessivo. Sta a tutti noi estenderne le conseguenze a tutti gli insegnamenti, che si tengono nella scuola, e a tutta la cultura italiana. Altrimenti si fa al coraggio conseguente di Romano l’affronto di pretendere da lui, che oltre a portare la croce, riesca anche a cantare.
@ Redazione
Vi ringrazio innanzi tutto per il “coraggio” di avere pubblicato queste mie lettere. La questione, dal mio punto di vista, è che un epigramma può esprimere molto più di una lettera compiacente. Essere compiacenti e succubi di qualcuno non fa bene neanche all’interessato. Per rispondere secondo i criteri espressi dalla “redazione” bisognerebbe scrivere un’opera altrettanto vasta e dettagliata, e questo non si può fare in un blog. Vedo qui anche una mia vecchia conoscenza, Giuseppe Corlito, e lo vedo ancora affezionato a parole, che sono il risultato di “decenni di militanza politica e di militanza in campo culturale e letterario”: “deriva autoritaria… Costituzione repubblicana, democratica e antifascista”. Non solo chi era marxista, quindi rifiutava la democrazia borghese scaturita dalla Rivoluzione Francese e lottava per il “socialismo” etc etc, ora ha sposato l’assoluto di quei “valori” contro cui ha lottato, alcuni anche con la lotta armata che altri hanno solo bordeggiato magari senza essere consapevoli di chi dirigeva tutto ciò dall’alto. Se la Redazione permette, qualche feroce e irriverente epigramma non mi sembra fuori luogo. Riguarda alla Storia, quella con la S maiuscola, noi abbiamo una guerra in corso nella quale non solo opera il capitale economico ma anche quello “simbolico” (perché non considerare che l’Ucraina è per il grande popolo russo la sua “terra promessa” e anche per loro “non si cede voce leggenda o destino”?). Se qualcuno ha il coraggio di vederlo, questa guerra spiega anche tutte le altre degli ultimi secoli, almeno fìn dalle Guerre dell’Oppio… Se si rifiuta questo, si rischia di collocarsi al livello di personaggi sanremesi senza tuttavia prendersi tanti bei soldini come loro. Io non ho mai adorato il mio conterraneo Benigni. Lo preferivo il segaiolo di “Berlinguer ti voglio bene”. La Letteratura non può essere Sanremo.
Se la letteratura, le arti e, più in generale, la cultura detta umanistica sono gli elementi costitutivi di identità di lunga durata, profonde e collettive, non vi è dubbio che la tradizione italiana, la quale da questo punto di vista può vantare un passato importante, debba essere riproposta e rilanciata. Il futuro dell’‘humanitas’, in questo senso, è certamente legato sia ad un progetto intelligente ed aggiornato di conservazione e trasmissione del patrimonio culturale sia al rilancio di una educazione umanistica basata sulla lettura dei testi scritti, sulle competenze linguistiche di base (lessico e grammatica) e su quelle stilistico-retoriche (sintassi e pragmatica). Queste sono le basi del modello di educazione umanistica che appartiene in modo peculiare al nostro Paese e che fu disegnato cento anni fa, in forma a suo modo esemplare, da Giovanni Gentile: in sostanza, cultura scritta, esperimenti di laboratorio e senso della storicità. Un modello tutt’altro che statico e conservativo, se è vero che, a partire dagli anni settanta del secolo scorso, esso è stato integrato e potenziato con la filosofia e la storia della scienza, giungendo a configurarsi in termini dinamici e innovativi e aprendo alla nostra cultura la possibilità di un grande passo avanti verso il superamento di quella separazione tra la scienza e gli studi filosofico-letterari ed artistici che è un pericolo mortale per la cultura contemporanea e per la stessa formazione scolastica (come aveva peraltro compreso lo stesso Gentile, il quale non a caso nella sua ‘ratio studiorum’, come legò strettamente lo studio della filosofia e della storia, così legò altrettanto strettamente quello della matematica e della fisica). Grazie soprattutto all’opera preziosa svolta dalla scuola di Ludovico Geymonat in questo campo e in questa direzione, il rigore teoretico è così divenuto, assieme alla cultura scritta e al senso della storicità non limitati ai saperi, per così dire, socratici, ma estesi alla struttura dei saperi nomotetici e alla loro complessa evoluzione, parte integrante della nostra migliore tradizione culturale. Sennonché appare anche opportuno confrontarsi con la scepsi critica di uno studioso, quale Paul Veyne, il quale in un suo contributo dedicato a tale concetto invita a diffidare dell’‘humanitas’, ricordando che i Greci e i Romani, sotto il raffinato manto retorico di parole suggestive come ‘paideia’ e ‘humanitas’, costruirono regimi dispotici, quali l’impero ateniese e l’impero romano. Da un punto di vista che non sia criticamente inerme, quella che potremmo definire ‘la prova di Veyne’ risulta allora particolarmente opportuna e fruttuosa, se si vuole garantire al concetto di ‘humanitas’ un futuro che lo separi nettamente dalle identificazioni del passato con regimi, come quello fascista e come quello nazista, che di tale concetto hanno fatto un uso strumentale e apologetico in funzione della loro politica duramente autoritaria ed aggressivamente imperialistica. Vale quindi la pena di citare, a proposito del futuro dell’‘humanitas’, l’amaro rimprovero che nella prefazione al “Capitale”, attingendo alle fonti della cultura classica che egli padroneggiava con sicurezza e competenza non comuni, Karl Marx muoveva alla intellettualità del suo tempo che non voleva lottare contro il capitalismo, un rimprovero che torna ad essere attuale nel nostro tempo, come tante altre proposizioni e tanti altri teoremi del fondatore del materialismo storico: «Perseo usava un manto di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia sugli occhi e le orecchie, per poter negare l’esistenza dei mostri». In conclusione, come è vero che i valori sono oggettivi (ovviamente in senso storico e non in senso naturale), così è vero che i valori in sé, al di fuori dei conflitti sociali reali, non esistono. L’umanesimo (“post-critico” o “disinteressato” che sia) non è dunque un valore in sé. Esso è stato, però, un valore storicamente concreto quando ha funzionato come veicolo ideologico di classi o di gruppi sociali in conflitto con lo stato di cose esistente e, quindi, in cerca di un’espressione simbolica dei loro interessi e dei loro bisogni. Oggi, ad esempio, l’umanesimo è un valore per un gruppo ristretto di docenti e di forze politiche di opposizione. Non saprei, tuttavia, dire, per fare un altro esempio, se lo sia e in che misura lo sia agli occhi degli studenti del liceo classico e degli stessi studenti delle facoltà di lettere. In attesa che i conflitti reali riportino in primo piano forze sociali e politiche simili a quelle che nel passato hanno tentato di praticare quei valori di verità, giustizia ed eguaglianza che hanno caratterizzato prima l’umanesimo cristiano e poi quello socialista e comunista, si può per ora soltanto affermare, formulando un chiasmo che contiene, ad un tempo, una previsione, un rischio ed un auspicio, che il futuro dell’‘humanitas’ dipenderà dall’‘humanitas’ del futuro. «Nell’uomo c’è molto», diceva Bertold Brecht, «facciamo molto dell’uomo».
Non so a quale gruppo politico volesse rimproverare lo sfacelo della scuola di oggi (perché di questo si tratta), ma di certo non sarebbe da attribuire all’attuale governo che ha trovato, suo malgrado, tale catastrofica situazione.
Solo GRAZIE!!! Direttore Luperini
[…] e del mondo intellettuale dei diversi orizzonti disciplinari; resistenza che però, negli anni, pur persistendo è diventata sempre più debole, essendo peggiorate ulteriormente le condizioni materiali di […]