Su Il ragazzo di Annie Ernaux
Cinque anni fa ho passato una notta impacciata con uno studente che mi scriveva da un anno e aveva voluto incontrarmi.
Una storia di iniziazione reciproca
Appena un mese dopo l’assegnazione ad Annie Ernaux del premio Nobel per la letteratura, esce in Italia per L’Orma l’ultimo libro della scrittrice francese, Il ragazzo. Pubblicato nel maggio 2022 in Francia da Gallimard con il titolo Le jeune homme, in appena trenta pagine racconta la storia d’amore vissuta dalla scrittrice ormai cinquantenne con un ragazzo di trent’anni più giovane. Un rapporto che a dispetto delle apparenze e del cliché della donna matura, benestante e celebre che vive un amore folle per un ragazzo squattrinato e indifferente alla politica e agli ideali, non risulta asimmetrico, ma al contrario si caratterizza per un sostanziale equilibrio. Alla dedizione, al piacere e alle attenzioni di A. (il ragazzo non viene mai chiamato per nome) – «il fervore che mi riservava non mi era mai stato, fino ai miei cinquantaquattro anni, consacrato da nessun amante» – corrispondono, infatti, i regali, i viaggi, e le opportunità che l’indipendenza economica della donna può garantire: «mi sembrava un accordo equo, un buon affare, tanto più che ero io a stabilirne le regole», scrive Ernaux, aggiungendo di essere in posizione dominante e di utilizzare armi di dominio di cui, tuttavia, conosce «la fragilità nell’ambito di una relazione amorosa».
Opposti dunque per esperienza, cultura, amicizie, prospettive, i due amanti si incontrano in uno spazio di iniziazione reciproca: quello della letteratura, del teatro e delle abitudini borghesi per lui, quello della «duplicazione del passato» per lei. Tutto è già stato vissuto per Ernaux, ma il piacere del presente riattiva zone inesplorate del vissuto ed esperienze già fatte. Il ragazzo, ci dice la scrittrice, «portava con sé la memoria del mio primo mondo», e con esso l’immagine di quella ragazza che era stata e che, grazie a lui, adesso tornava ad essere: «Mi sembrava di essere di nuovo quella stessa ragazza scandalosa. Ma, questa volta, senza la minima vergogna, con un senso di vittoria». Ma se A. è l’incarnazione del passato che consente ad Annie di riappropriarsi della propria trascorsa giovinezza (tanto che di fronte al suo volto anche quello della donna diventa giovane), il ragazzo diventa anche immagine di un futuro che lei non potrà mai vivere: «attraverso la sua stessa esistenza, lui era la mia morte. Come lo erano i miei figli, e come lo ero stata io per mia madre». La donna può tentare di vedersi giovane negli occhi di chi è ancora giovane, ma il corpo è destinato inesorabilmente ad invecchiare («mi era costato uno sforzo maggiore tirar fuori le fotografie dei miei venti, venticinque anni, scegliendo per vanità la più bella, pur sapendo che sarebbe stata proprio quella ad aumentare la crudeltà del confronto con il mio volto di oggi, più emaciato e più duro»). Ed è prendendo coscienza di questa realtà dolorosa che si concretizza l’impossibilità di questo amore, di un desiderio, quello di A., per un corpo che non esiste più. Impossibilità emblematicamente espresso dal ragazzo: «questa foto mi mette tristezza».
Scrittura e vita
Il senso del libro, però, non risiede nella «tristezza» che deriva dall’impossibilità di un futuro per questa coppia di amanti, né nella sofferenza che può scaturire dalla consapevolezza straziante e dolorosa di due tempi asincronici che nemmeno l’amore può negare. Al centro del libro c’è la scrittura, il legame indissolubile tra scrittura e vita, che, in questo racconto, come in un altro libro di Ernaux, Passione semplice, sembra realizzarsi nell’analogia che collega, appunto, l’amore e la scrittura. «Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere. Volevo trovare nella fatica, nella derelizione che ne segue, delle ragioni per non aspettare più niente dalla vita», si trova scritto nell’incipit de Il ragazzo, dove l’autrice tenta di comparare il piacere sessuale con quello legato alla scrittura; ma tutto sembra confermare la certezza che non esiste piacere superiore a quello della scrittura di un libro, perché, come afferma nell’epigrafe del libro, «se non le scrivo, le cose non sono arrivate fino al loro termine, sono state soltanto vissute». Del resto, nel già menzionato Passione semplice, l’incipit mira a provocare il lettore raccontando alcune sequenze di un film pornografico e affermando subito dopo: «M’è parso che la scrittura dovesse tendere a questo, l’impressione che provoca l’atto sessuale, l’angoscia e lo stupore, una sospensione di giudizio morale». Tuttavia anche in questo caso, la travolgente storia d’amore vissuta dalla scrittrice con un affascinante uomo sposato, un diplomatico russo che la conduce ad un’irrazionale passione, trova realizzazione e senso soltanto quando lei riuscirà a trasformare in parole quello che la semplice esistenza di quell’uomo le ha provocato. Ed ecco che la passione diventa un «dono elargito» facendosi scrittura.
Scrivere la vita, dunque, ma anche vivere per scrivere, per raccontare i suoi ricordi, per accedere alla memoria individuale, ma anche per spingersi oltre ed approdare a qualcosa di più ampio del ricordo personale. La relazione con il giovane A. e la serie di eventi passati che da questa vicenda tornano alla mente dell’autrice, sono infatti un modo per raccontare la società, per collegare, ancora una volta, come sempre accade nella scrittura di Ernaux, esperienza individuale e universale.
Tra io privato e io storico
Non è un caso, poi, che questo volumetto esiguo e apparentemente scarno (tre discorsi tenuti dall’autrice in diverse occasioni), rifletta su tematiche attuali tutte riconducibili alla vicenda autobiografica de Il ragazzo. Nel racconto emerge infatti la scottante tematica della disparità di genere: un uomo, denuncia Ernaux, può infatti accompagnarsi ad una donna più giovane senza suscitare nessuna riprovazione, mentre una donna con un ragazzo è letteralmente messa al bando e sottoposta ad un duro giudizio sociale. Ecco allora che uno dei discorsi che chiudono il libro ci parla della condizione femminile. Scritto in occasione del festival Gita al Faro di Ventotene del 2016, e intitolato L’Europa e la libertà delle donne, questo breve scritto affronta un tema ancora oggi molto attuale, accostando l’emergenza dei migranti nel Mediterraneo al discorso sulle donne, sull’occupazione femminile e sulla parità di genere. Ma – sembra giusto chiederci – qual è il legame tra queste due realtà? Tra quanto di peggio può capitare a una donna e i naufraghi migranti? Scrive Ernaux che «in gioco c’è il posto delle donne all’interno di un’Europa che si sta via via trasformando in una fortezza. A nessuno sfugge il ripiegamento dei Paesi europei sulle proprie identità nazionali, né il fatto che i migranti vengono percepiti nel migliore dei casi come un “problema”, nel peggiore come un “pericolo”» E se uno dei discorsi, Il territorio dell’esperienza, è un brano tratto da una conferenza tenutasi in occasione del ritorno di Ernaux a Yvetot, cittadina della sua infanzia (e dunque inevitabilmente legato a quel primo mondo dell’autrice), Scrittura e Memoria, l’altro discorso, tocca ancora più da vicino due temi, la scrittura e la memoria, coprotagonisti, insieme ai due amanti, de Il ragazzo. Questo discorso, scritto per Letterature – Festival Internazionale di Roma, e letto da Ernaux nella basilica di Massenzio nel 2016, dove ha ricevuto il Premio Strega europeo per il romanzo Gli anni, svela cosa significa per lei fare ricorso alla memoria, ricercare il tempo perduto (che non ha niente a che fare con Proust) e sottrarlo alla vergogna che le impediva di riemergere. La vergogna di essere figlia di una famiglia di ex operai ed appartenere ad un mondo considerato inferiore, sporco, o tutt’al più insignificante: il mondo dei “dominati”. Eppure il tempo e il coraggio le offrono l’occasione per aprire la memoria, e scoprire, così, che «la scrittura non sarebbe mai stata necessaria né avrebbe avuto alcuna giustificazione se non fosse stata, per prima cosa, un’immersione in ciò che avevo dimenticato». Pur essendo stata sempre invasa dai ricordi, Ernaux afferma infatti di possedere una memoria solo a partire dalla scrittura: «ero attraversata da immagini slegate, fuggevoli, da luoghi e da volti, da singole scene. Scrivere significava attingere a questo serbatoio di ricordi per nutrire la trama di una storia inventata». Ed è proprio cercando di comprendere come e perché aveva dimenticato il suo primo mondo, che si apre a qualcosa di ancora più grande rispetto al ricordo intimo: il bisogno di comprendere il funzionamento della società e dunque di fondere la sua vicenda personale “con l’orizzonte del mondo”. Del resto l’originalità della scrittura di Ernaux risiede appunto nell’incontro tra un io privato e un io storico, un mondo dove la realtà subalterna dei “dominati”, alla quale appartengono i suoi genitori, rinvia necessariamente anche al mondo dei “dominanti”.
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