Una didattica indocile? Su Insegnare letteratura a cura di Emanuele Zinato
Questo Insegnare letteratura. Teorie e pratiche per una didattica indocile che Emanuele Zinato e alcuni suoi collaboratori hanno appena pubblicato con Laterza è un libro importante perché fornisce risposte e argomenti alle questioni che qualsiasi insegnante si pone al momento di far studiare la letteratura italiana ed esce perplesso dalle indicazioni ministeriali che di volta in volta gli vengono somministrate e dalle domande che lo studio stesso della letteratura inevitabilmente gli pone. Il libro infatti non è animato da una volontà ipercritica e per forza “disobbediente” o “indocile”, ma piuttosto cerca una via difficile sul margine ristretto che è possibile ritagliare fra quelle norme e le esigenze di un insegnamento ancora critico e problematico. Giustamente Zinato sostiene che il professore di letteratura nei licei è sostanzialmente un intellettuale che svolge una attività simile a quella del critico della letteratura. Lui stesso muove da solidi presupposti teorici mutuati da Auerbach di Mimesis e soprattutto da Orlando (con Freud sullo sfondo) e da Bachtin e quindi applica categorie come “figura” (la storia della letteratura dovendo fondarsi anche su una “storia delle figure”), plurivocità e polifonia, ricerca della contraddizione, coesistenza di significati opposti, con-fusione di passato e presente, compresenza di archetipi e di storicità ecc. La didattica della letteratura qui proposta comporta allenamento al dialogo e all’ascolto dell’altro. Ha dunque un ineludibile tratto democratico che ne fa, si direbbe, un momento essenziale, e seppure implicito, di educazione civica.
Data questa impostazione, in un libro scritto a più mani è facile cogliere la differenza di tono e di livello che deriva dalla presenza o meno di tali presupposti nei vari autori, con la conseguenza di pagine più o meno felici e rigorose. Una cosa per esempio è proporre di evitare «testi ostici» o di non aver paura a presentare in classe «testi lunghi», un’altra suggerire la ricerca di figure o di archetipi in un racconto di Calvino. E comunque non può che essere apprezzata questa collaborazione fra figure e competenze diverse, nella quale va trovato uno dei messaggi di questo libro, che vuole essere anche una sfida alla specializzazione accademica.
Insegnare letteratura si articola fra una parte iniziale dedicata al mestiere dell’insegnante (quadro normativo, l’uso dei manuali, la formazione dei docenti), una centrale consacrata all’insegnamento nel primo biennio della secondaria, con attenzione particolare per la periodizzazione e il canone , e una parte finale intitolata Strumenti della critica e applicazioni in aula, in cui risiede il vero cuore del libro, il senso della sua proposta complessiva. È in queste pagine che più si apprezza il tentativo di fare storia della letteratura come storia delle figure e non solo come storia delle idee e dei movimenti.
Zinato mostra benissimo come sia fondamentale imparare a coniugare i procedimenti di analisi a quelli della interpetazione. Per esempio, l’analisi dei punti di vista narrativi in un racconto di Calvino può indurre il lettore a vedere la realtà dalla prospettiva del nemico: la letteratura può funzionare come un dispositivo di identificazione empatica e, insieme, di presa di distanza critica. Analogamente nella Storia di Morante chi legge può identificarsi con la donna violentata e col suo smarrito violentatore. In un racconto di Boccaccio, quello di Andreuccio, si possono trovare insieme archetipi antichissimi (il labirinto, il mondo ctonio) e temi moderni (il valore che la nuova borghesia riserva al denaro). La letteratura può fondarsi sul ritorno di logiche e di contenuti superati, in conflitto con la razionalità dominante, e contemporaneamente sul realismo di situazioni storiche presenti. La Gerusalemme liberata riesce a esprimere insieme l’ideologia controriformistica ma anche il valore umanistico-rinascimentale della sensualità e la valorizzazione del corpo femminile e presentarsi come «poema della ambivalenza». La bellezza di un’opera, si afferma giustamente, si misura anche dalla sua forza di sovvertire l’ideologia che la ispira. Certi temi, come quello del duello o del nesso duello-conversione, si trasformano storicamente nel passaggio dalla Controriforma al Romanticismo. Così ritrovare nei grandi romanzi moderni le tracce dell’epica è uno dei compiti che una classe può svolgere, e l’insegmamento tematico, che di per sé si presterebbe alla destoricizzazione, può diventare viceversa uno strumento di storicità. La riconnessione dei saperi è mostrata in tutta la sua ricchezza. Il fonosimbolismo di tanta poesia lirica fra Ottocento e Novecento può essere non un astratto gioco retorico ma il modo con cui la poesia moderna può mostrare la ricchezza dei suoi significati storici, mentre il suo ritorno nelle forme prosastiche nella poesia di Caproni o di Sereni può essere letto come il segno di un cambiamento radicale avvenuto sul piano economico e sociale.
Raramente il lettore del libro può restare deluso tanto è chiara, ricca e persuasiva la illustrazione dei problemi teorici e critici. Posso confessare di aver provato un senso di frustrazione solo nelle poche e stanche pagine dedicate all’analisi delle varianti nei Promessi sposi (per esempio, i mutamenti apportati nell’episodio del tumulto per il pane non sono ricondotti al passaggio dall’illuminismo democratico e combattivo del Manzoni di Fermo e Lucia al cattolicesimo molto moderato della Quarantana). In genere a ogni pagina si apprende qualcosa di nuovo. Certe affermazioni restano nel lettore come esemplari. Ne cito solo due: la difesa della lettura dei Promessi sposi come esperienza che lega le generazioni nella memoria di un testo canonico e quella dei percorsi per generi letterari, che avendo un carattere sovranazionale permettono un collegamento, d’altronde sempre auspicabile, ma spesso non facile, con la letteratura di altri paesi.
Il libro nasce da un proposito forse utopico: quello di una didattica capace di convivere con le attuali norme e, insieme, di contraddirle. Ma si può insegnare letteratura oggi senza un’utopia?
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