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Ma il ministro Bianchi è rimasto al Pazzaglia?

Quando io ero studente liceale, ormai quasi sessanta anni fa, nelle scuole imperversava il Pazzaglia, un manuale della letteratura italiana ancora improntato a un gusto crociano. È sul Pazzaglia che Nedda viene definita come prima opera verista di Verga. È passato mezzo secolo, e tale definizione è fortunatamente scomparsa non solo, naturalmente, dagli studi critici ma dai manuali che si sono succeduti nel tempo, dal Salinari-Ricci al Baldi. Nella novella infatti manca il requisito fondamentale del Verismo, la impersonalità, e l’autore anzi interviene direttamente in prima persona a difendere il proprio personaggio. Il linguaggio poi non è quello popolareggiante del Verismo, ma quello del tardoromanticismo nella sua variante lacrimosa e filantropica. Si tratta di un linguaggio fiorentineggiante e ispirato al manzonismo quale si può ritrovare nelle novelle campagnole molto alla moda negli anni cinquanta-settanta, scritte allora da Caterina Percoto e anche da Ippolito Nievo.

Nel frattempo, dopo il Pazzaglia, si sono succeduti studi su studi volti a dimostrare che il Verismo nasce in Italia con Vita dei campi e I Malavoglia, e cioè quattro o cinque anni dopo Nedda (1874), anche in seguito all’influenza decisiva di Zola e del suo L’Assomoir (1877). La manualistica ha saputo rapidamente aggiornarsi, ma non il ministro della Pubblica istruzione e il suo entourage che si ostinano a chiedere agli studenti, come si legge nel paragrafo ministeriale «Comprensione e analisi», di dimostrare l’indimostrabile e cioè di «individuare nel brano i principali elementi riferibili al Verismo». Insomma lo studente è chiamato, anzi esortato, non solo a inventarsi un testo che non c’è ma ad asserire e a dimostrare una falsità. Non è così, con queste imposizioni dogmatiche che invitano a partire da un assioma, da una verità presunta, invece che dalla concretezza testuale, che si educa il giovane al conformismo e alla ignoranza?

Studi, ministro, studi, o almeno stia zitto. La smetta, per favore, di offendere la istituzione che dovrebbe rappresentare fornendo esempi così grossolanamente diseducativi di ignoranza e di conformismo.

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