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Le Mille e una notte oltre l’“orientalismo”

Parlare di un libro come Le mille e una notte implica immergersi in un mondo misterioso. Ciò vale non solo per le sue atmosfere favolose o esotiche, ma perché è la stessa vicenda editoriale dell’opera ad essere labirintica e complessa.

È nel Settecento che le mille e una notte giunge in Europa, quando l’orientalista Antoine Galland dà alla stampa la sua traduzione in francese delle Notti arabe, testo che costituisce fino al Novecento il punto di riferimento fondamentale nella storia della tradizione che ha portato sino a noi questa raccolta di novelle. Alla base dell’opera di Galand c’è un manoscritto arabo in tre volumi di qualche secolo precedente e proveniente dalla Siria. Ma il numero di novelle della traduzione gallandiana è superiore a quello del manoscritto di riferimento, che contiene soltanto 282 notti, pertanto è evidente che Galland si è servito di altre fonti per completare la sua traduzione. Il risultato è un’opera nuova, sia dal punto di vista stilistico e linguistico, che contenutistico. Galland inserisce infatti nell’opera storie che non appartengono alla tradizione araba delle Notti. Nonostante questa versione sia unanimemente riconosciuta come infedele, resta il fatto che è la prima traduzione che ha permesso all’Occidente di conoscere l’opera, ed è stata la più letta e la più diffusa. Di essa Jorge Luis Borges ha scritto «la peggio scritta di tutte, la più bugiarda e la più debole; ma è stata la meglio letta. Chi le si accostò conobbe la felicità e la meraviglia».

Nuove fonti per le traduzioni europee dell’opera si rintracciano nelle diverse edizioni arabe uscite nel corso dell’Ottocento e utilizzate da traduttori inglesi, francesi ed italiani in alternativa alla versione di Galland, senz’altro più nota, ma meno completa dal punto di vista delle fonti utilizzate. Le Mille e una notte è dunque un testo che ha subito molti cambiamenti. È in questa intricata vicenda testuale che si colloca, nel 2006, la traduzione italiana condotta sull’edizione critica di Muhsin Mahdi, arabista e professore all’Università di Harvard che ricostruisce la più antica versione del testo arabo sulla base del manoscritto in tre volumi utilizzato da Galland.

Uscita inizialmente per Donzelli, questa traduzione a cura di Roberta Denaro e Mario Casari viene ora riproposta da Feltrinelli in un’edizione economica, Le mille e una notte Edizione italiana condotta sul più antico manoscritto arabo stabilito da Muhsin Mahdi, che restituisce ai lettori «il monumentale risultato di venticinque anni di lavoro» di questo studioso. Rifacendosi alla versione più antica e più accreditata del testo arabo, la presente edizione si compone di 36 racconti, di cui l’ultimo rimasto incompiuto (Storia di Qamar az-Zaman e Beder al-Budur), ed è scandita dalla divisione cronologica in un Prologo e 282 notti. Il risultato è un’opera che ripropone le novelle arabe come compaiono nel manoscritto originale, senza correggere nessuna parola e riproducendo fedelmente il testo del codice evitando interventi linguistici e morali, e depurandolo, invece, di qualsiasi aggiunta, tanto da escludere anche le novelle più amate dai lettori. Pur essendo stata giudicata un «risultato ammirevole», l’edizione di Mahdi ha provocato tuttavia anche qualche delusione nei lettori, che non hanno ritrovato nel testo alcune delle storie più conosciute e più care. Basta pensare all’assenza di storie quali Aladino e la lampada meravigliosa, Alì Babà e i quaranta ladroni o I viaggi di Sindbad il marinaio. Se la mancanza di queste novelle è motivo di qualche insoddisfazione, perché non è stata ritrovata nel testo tutta la varietà dell’edizione gallandiana, ancora oggi considerata la più rappresentativa dell’opera, l’impresa di Muhsin Mahdi ha senz’altro il merito di restituire un’opera senza il filtro dell’Occidente e del suo “orientalismo”, e capace di trasmettere l’autentica bellezza artistica e stilistica delle Notti e delle sue storie.

L’autenticità di questo lavoro non riguarda soltanto l’individuazione e il riconoscimento del «nucleo originale» del manoscritto, ma anche, e soprattutto, la dimensione linguistica. L’edizione Mahdi restituisce infatti le novelle alla loro lingua originale, ricca di espressioni colloquiali molto vicine al parlato. E in questo aspetto non poteva distaccarsi maggiormente dal linguaggio della redazione gallandiana, nella quale l’arabo del XIV-XV secolo in cui sono scritti i racconti «si trasforma nell’elegante prosa francese dei salotti del secolo XVIII: la lingua colta, preziosa, fatta per intrattenere e istruire sui misteri orientali un pubblico aristocratico e alto-borghese, che vive tra corti, salotti e circoli sofisticati» (dall’introduzione di Denaro).

È tuttavia questa versione delle Notti a influenzare maggiormente due secoli di letteratura europea e a trasmettere una visione dell’Oriente non sempre vicina all’originale, ma legata prevalentemente a un’immagine stereotipizzata che l’Europa ha costruito del mondo orientale, volta a sottolinearne l’alterità rispetto all’Occidente. Si è così costituito il fondamento di una questione ancora molto attuale che, considerando certi atteggiamenti maschili del mondo musulmano prevaricatori e sopraffattori nei confronti del sesso femminile, ha posto e continua a porre le basi per politiche discriminatorie.

L’edizione Mahdi ha riportato alla luce una versione più viva e più spontanea delle novelle, proponendo una lettura che, sottraendosi agli sterotipi di un Oriente mitico e fantastico, mira a cambiare la percezione occidentale e in particolar modo europea del mondo arabo e della sua cultura. Assume un ruolo di primo piano in questo tentativo di rinnovamento la scelta di una lingua che, mantenendosi fedele alla tradizione delle Notti e attingendo direttamente al parlato, risulta vivace e lessicalmente molto ricca. Contaminata da espressioni dialettali e da parole straniere, si rivela in certi punti “grammaticamente debole”, soprattutto per quanto riguarda i passi più prosastici, tuttavia non mancano salti di livello che evidenziano un registro linguistico alto e letterario, e questo è evidente soprattutto nelle parti in versi, che nella struttura dell’opera segnalano i momenti di maggiore tensione. A questa lingua mista, ora colta ora colloquiale, si deve inoltre aggiungere la capacità di evocare in modo diretto, senza ammiccamenti e pudori, anche un erotismo praticato nelle forme più spontanee ed esplicite. Numerosi sono infatti i riferimenti alle pratiche sessuali, ma questo non deve stupire dal momento che il testo nasce per l’oralità e si rifà a testi della letteratura araba che, composti nella stessa epoca, offrono descrizioni anche particolareggiate di atti sessuali e situazioni erotiche senza subire la censura come in Occidente. Per avere un’idea dell’assoluta libertà di questa edizione nel trattare certi argomenti e ricreare situazioni che non si trovano in nessun’altra edizione precedente, è sufficiente rileggere la novella Il facchino e le tre dame, che si dilunga nell’elencare tutti i termini tramite i quali sono indicati gli attributi sessuali maschili e femminili. Anche in questo gusto per la lista, per l’enumerazione e per l’elenco di parole, spesso messo in atto attraverso un meccanismo a metà tra l’osceno e il giocoso, si riscontra una forte dipendenza dalla tradizione orale e una vicinanza alla versione originale dell’opera. E si conferma, nello stesso tempo, quanto Galland sia intervenuto censurando alcune parti, così da consentire la diffusione delle Notti in varie culture, cosa che non sarebbe stata possibile altrimenti.

Insomma, se l’edizione di Galland ha valore, perché ha circolato più a lungo in Europa, ed essendo la prima è probabilmente quella che ha avuto una maggiore influenza sulla letteratura europea, quella di Mahdi ha il merito di entrare in contatto con il mondo arabo più vero, di offrire al lettore un Oriente senza filtri e capace di guardare con tolleranza e consapevolezza alle debolezze umane. Accompagnando il lettore in un viaggio che non dimentica di mostrare i diversi limiti della condizione umana, queste nuove Mille e una notte lasciano emergere l’antica saggezza spirituale ed accogliente della cultura araba. Una cultura che si riscatta dallo sguardo discriminatorio dell’Occidente attraverso la voce di Shahrazad, giovane donna colta, intelligente e indipendente, che grazie alla forza del logos e della narrazione riesce a sconfiggere il carnefice (di lei stessa e delle donne in generale). Shahrazad non si salva per la bellezza, in tutta l’opera non è mai menzionata per il suo aspetto fisico, eppure diventa la portavoce di un universo femminile che non si lascia irretire dalla cultura misogina, ma anzi le sfugge riuscendo a coniugare immaginazione e saggezza.

Pur non essendo possibile affermare con certezza cosa avessero letto i novellieri del Medioevo, e in particolare Boccaccio, dal momento che non esistevano edizioni critiche e circolavano vulgate scritte e orali, è pensando a questa Shahrazad che possiamo meglio capire le numerose immagini femminili del Decameron: donne scaltre e coraggiose, ma anche ricche di nobiltà d’animo.

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