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Dante&Me /2. Cinque domande a Loredana Chines

 A cura di Luisa Mirone

Il 2021 vedrà moltissime iniziative nel nome di Dante Alighieri, nella ricorrenza dei settecento anni dalla sua morte. La redazione de Laletteraturaenoi ha voluto dedicargli uno spazio di riflessione che possa essere luogo di incontro fra università e scuola, proponendo a studiosi e studiose d’Italia di rispondere a cinque domande-chiave per entrare nell’universo dantesco. Pubblicheremo periodicamente le loro risposte. Qui la prima intervista.

***

D1. Cosa ha significato, cosa significa nel suo percorso di studiosa di letteratura l’incontro e la frequentazione con Dante Alighieri?

R1. L’incontro con Dante coincide per me quasi con il latte materno, con il primo balbettio, con i primi suoni della voce, perché mia madre, insegnante di Lettere alle superiori, ben consapevole della forza straordinaria che la magia delle terzine riusciva a esercitare nella memoria anche dei bambini e degli adolescenti, aveva cominciato ad affidarmi presto all’incantamento della parola dantesca. Il suono  si sarebbe poi ricomposto  in significato  negli studi liceali, per diventare, all’università, il viaggio avventuroso di un senso ricercato in un’opera mondo sempre aperta a nuove vertigini, dove convergevano scuole e metodi differenti e complementari, dall’approccio filologico di Petrocchi, alle frontiere di nuove prospettive critiche la cui voce poteva provenire anche da lontano, come nel caso degli studi di Singleton con cui il nostro maestro Ezio Raimondi dialogava nei miei anni universitari. Così l’esperienza del lettore, avviato per sentieri sempre ricchi di nuove diramazioni, scopriva il piacere moltiplicato di un’interpretazione consapevole senza che mai si perdesse l’incanto della voce materna che per la prima volta l’aveva creato.

D2. Tra le opere dantesche assume un rilievo speciale la Commedia. C’è un canto o un personaggio o una situazione che ritiene particolarmente esemplare o con cui semplicemente abbia un rapporto privilegiato? Per quali ragioni? 

R2. Non posso che pensare alla Francesca del V canto dell’Inferno, alla forza irriducibile della passione amorosa che spinge al doloroso passo, a quel “modo” che nessun “animale” davvero  vinto d’amore saprà  mai rispettare, perché amore è passione vertiginosa e trascinante come  la parola letteraria che lo canta in quel crescendo delle terzine più famose del poema scandite dall’anafora “Amor…”. Credo che nel volto di Francesca, che piange e dice, e nelle lacrime silenziose di Paolo, la cui voce   parla in quella dell’amata, non ci sia lettore o scrittore che non si sia perso e ritrovato, non a caso il V canto è uno dei più profondamente assimilati e massicciamente saccheggiati dagli autori di ogni tempo, a cominciare da Petrarca.

D3. Non-solo-Commedia: fra le cosiddette opere minori di Dante quale si sentirebbe di rilanciare all’interno dei percorsi scolastici e perché?

R3. Io troverei conveniente rilanciare la Vita Nova, che mette insieme la prosa disordinata e spesso casuale della vita (con le sue sofferenze d’amore, la morte dell’amata…)  e il cosmo ordinato della poesia che la racconta in un libro della memoria, altro elemento su cui oggi più che mai sarebbe opportuno soffermarsi. I frammenti sparsi di ogni esperienza biografica si ricompongono nell’esercizio della memoria e della scrittura e la parola letteraria cerca di dare ordine e senso all’assenza, risarcisce in qualche modo la perdita o l’atto mancato, è un altrove che resta, costruito con le forze potenziate dalla parola poetica, in cui il caso non può esercitare il proprio capriccio e lo scrittore rende il particolare universale.

D4. Nella lunga e nutrita tradizione di studi danteschi, quali ritiene ad oggi irrinunciabili? Quali indicherebbe a chi, ancora giovanissimo, si accosta all’opera di Dante?

R4. Ritengo ancora irrinunciabili, per la Commedia, gli studi di Erich Auerbach, (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale) che fa riflettere su quanto sia straordinario il  realismo della vita terrena affrescato da Dante,  reso vivo e compiuto proprio dalla rappresentazione ab aeterno, mentre il saggio Figura ricorda, ai lettori troppo attenti ad “attualizzare” il particolare rapporto tra la Commedia e la cultura religiosa, il sermo humilis, la Bibbia. Tale consapevolezza guida in modo più saldo l’interpretazione, nulla togliendo al piacere della lettura o dell’analisi delle straordinarie soluzioni linguistiche, stilistiche e retoriche nella costruzione del senso del poema, a cui ci hanno educato gli studi di Gianfranco Contini, di Leo Spitzer e dello stesso Ezio Raimondi, che ritengo altrettanto indispensabili. Non si può, infine, prescindere dalla lezione di Curtius, che, in assenza di una biblioteca materiale che ci resti di Dante –  alla cui ricostruzione virtuale oggi si dedica un bel coro di voci della critica – ci fa riflettere sul tema dell’eredità degli auctores e sulla rielaborazione dantesca della tradizione classica.

D5. All’interno della ricchissima eredità lasciata da Dante, quale aspetto in particolare proporrebbe alla generazione più giovane?

R5. L’aspetto che proporrei riguarda a un tempo l’esempio biografico e intellettuale di Dante, la capacità di vivere profondamente consapevole delle sue scelte esistenziali, politiche, poetiche, che lo portano a sentire quanto sa di sale lo pane altrui, come si dice nel XVII del Paradiso, e a  difendere la scelta del volgare per il suo poema dalle critiche dei maestri come Giovanni del Virgilio. Vorrei che si cogliesse lo slancio vitale di quest’uomo che  viveva intensamente passioni e amicizie, scendeva sul campo di battaglia, ma sapeva astrarsi per ore da tutto, sprofondando nella lettura di un libro nella bottega di uno speziale, come racconta Boccaccio nel Trattatello.  

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