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diretto da Romano Luperini

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La strana estate della scuola

Chiariamo subito una cosa: il problema non sono le sedie. Il problema è che si parli solo di sedie, come se potessero risolvere tutti i problemi, uovo di colombo per questioni complesse. Siamo alle solite, pare basti uno strumento per cambiare la scuola e risolvere problemi antichi: come quando ci inondarono di LIM e formazione tecnica, pensando che bastasse quella a esplorare le potenzialità dello strumento e a innovare (magica parola passepartout). Si sa che le cose vanno poi diversamente, qualsiasi strumento ha bisogno di riflessione, di esperienza e di analisi: se non mi domando come lo posso usare, quali cambiamenti potrebbe determinare, quali obiettivi mi prefiggo, come debba cambiare il mio messaggio cambiando il mezzo, al più userò lo strumento adattandolo a quello che facevo prima. Con buona pace dell’innovazione.
La situazione che si prospetta a settembre non ha nulla di ordinario, le incognite sono così tante che appena pensi di risolverne una ti si aprono in mano almeno cinque scenari diversi: è luglio e dirigenti e docenti sono in prima linea per cercare di mettere ordine e di tenere sotto controllo l’ansia, impresa improba e impossibile nonostante i messaggi incoraggianti che arrivano dall’alto.
La scuola è per sua natura una potenziale bomba epidemica, lo vediamo a ogni inverno e questo che si apre davanti sarà il peggiore di tutti: la soluzione, che ha qualcosa di magico, pare debbano essere le sedie. E giacché la magia non esiste ed è roba da allocchi, non vorrei ritrovarmi a fare la fine dell’imperatore che gironzolò nudo per la città convinto di indossare abiti meravigliosi. Useremo per il distanziamento uno strumento che nasce per il lavoro collaborativo, per la didattica progettuale (con il piccolo distinguo che non li puoi usare per disegnare, costruire plastici, fare cartelloni): insomma, sedie pensate per avvicinare gli studenti fra loro, non per tenerli lontani. Certo, non c’è alcun obbligo di acquisto, le sedie semoventi verranno richieste solo dalle scuole che ne hanno bisogno: ma non si può non rilevare il paradosso. Questo è ciò che mi preoccupa: la soluzione semplice a problemi complessi e la sua spettacolarizzazione. È cronaca che poche sere fa la Ministra abbia provato le sedie in tv: comodità di seduta, spazi e possibilità di consultare il “Rocci”, vocabolario di greco, perché il riferimento quando si parla di scuola pare sempre e solo debba essere il liceo, magari classico. E che importa se su quei banchi si dovrebbe fare anche disegno tecnico, arte, scienze, italiano.
Ma, soprattutto, può la questione della riapertura incentrarsi sulle sedute e sui banchi, ignorando il resto?

La scuola dell’infanzia

Tutti ad incensarla ma poi, all’atto pratico, tutti la dimenticano, al punto tale che pur essendo scuola non è ancora previsto l’obbligo di frequenza.
Le linee guida di giugno, che dopo un mese restano ancora il documento di riferimento, dedicano poche pagine alla scuola dell’infanzia, mi è parso di capire che in questo documento siano confluite le indicazioni concrete di un’intera task force di esperti, montagna che ha partorito il topolino.
Mi sarebbe davvero piaciuto leggere e discutere le conclusioni cui sono arrivati e le indicazioni che hanno dato al ministro, non è però uscito alcun documento ufficiale a firma della commissione Bianchi.
In merito alla scuola dell’infanzia, le linee guida di fine giugno affermano da una parte che si deve garantire il distanziamento e l’isolamento dei gruppi, dall’altra che le esigenze dei bambini sono legate alla corporeità e al movimento: hanno bisogno di muoversi, esplorare, toccare. Il curricolo si basa fortemente sulla accoglienza, la relazione di cura, la vicinanza fisica e il contatto, lo scambio e la condivisione di esperienze. A corollario si aggiunge questa indicazione pedagogica: “il rito frequente dell’igiene delle mani, la protezione delle vie respiratorie, la distanza di cortesia, potranno diventare nuove “routine” da vivere con serenità e gioiosità.” Mi domando cosa significhi “protezione alle vie respiratorie” se le mascherine fino a sei anni non sono obbligatorie e come sia possibile mantenere il distanziamento in un ordine di scuola in cui la didattica non è fatta su banchi. Se penso alla didattica alla scuola dell’infanzia fatico davvero a immaginare distanziamento e lavoro individuale: negli altri ordini di scuola i docenti dovranno stare a due metri di distanza dagli alunni, all’infanzia ciò non è possibile. Come garantire sicurezza dei docenti e benessere per i bambini? Visierine con disegni? Guanti? Camici?
Ogni gruppo di bambini sarà isolato dagli altri, i giochi dovranno essere sanificati, la pulizia dei locali frequente e, fino a che il tempo lo permetterà, si dovranno usare gli spazi esterni, ma senza che ci sia contatto tra i gruppi (il che vuol dire turni per accedere ai giardini e pulizia dei giochi tra un turno e l’altro).
Pulizia frequente, suddivisione degli spazi, rigido distanziamento tra i gruppi: è facile pensare ad un aumento di organico, di cui però nessuno parla. Prima le sedie, che comunque non sono previste all’infanzia e primaria. Da noi “soluzioni pratiche e concrete” fa rima con strumenti e acquisti.

Il tempo scuola

Problemi concreti vogliono soluzioni concrete, ecco le possibilità paventate dalle linee guida:
– una riconfigurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento;
– l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso;
– una frequenza scolastica in turni differenziati, anche variando l’applicazione delle soluzioni in relazione alle fasce di età degli alunni e degli studenti nei diversi gradi scolastici;
– per le scuole secondarie di II grado, una fruizione per gli studenti, opportunamente pianificata, di attività didattica in presenza e, in via complementare, didattica digitale integrata, ove le condizioni di contesto la rendano opzione preferibile ovvero le opportunità tecnologiche, l’età e le competenze degli studenti lo consentano;
– l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari, ove non già previsto dalle recenti innovazioni ordinamentali;
– una diversa modulazione settimanale del tempo scuola, su delibera degli Organi collegiali competenti.

Queste possibili soluzioni si scontrano con la mancanza di organico (aumentare i gruppi senza aumentare i docenti è un’aporia) e contro la legge che stabilisce il tempo scuola. Poniamo il caso che una scuola proponga unità orarie da ’50 minuti, così da garantirsi un tesoretto di ore da usare per le supplenze (con ore di ’50 ogni docente avrebbe 21 spazi orari e non 18): sembra una bella idea, perché il prossimo anno le assenze tra i docenti potrebbero essere molte. Peccato che in una settimana i ragazzi perderebbero 60 minuti di lezione che dovranno essere recuperati perché l’anno sia valido: se la classe 1 A “perde” un’ora di italiano essa dovrebbe essere recuperata con attività didattiche o recuperi nella stessa classe, se però i docenti sono stati impegnati con supplenze in prima B ecco che il recupero diventa per lui ora eccedente. E così viene meno la soluzione, a meno di un intervento in deroga del ministero, che però non pare averci pensato. Ogni scuola farà scelta a sé, come sul resto, dal documento valutazione dei rischi, all’acquisto di materiali, al curricolo.

Accordi con il territorio

Qui la fantasia è al potere: non si sa chi li deve stendere, come siano possibili, con quali garanzie. Poniamo che il comune o la Parrocchia mettano a disposizione degli spazi: chi si occuperebbe della pulizia? Chi garantirebbe accessi e spazi e distanziamento? Moltiplicando gli spazi si moltiplicano anche le necessità.
Pensando alle scuole superiori che probabilmente saranno più interessate dall’acquisto delle sedie con rotelle, mi trovo a ragionare che, probabilmente, saranno altre le ruote di cui avrebbero più bisogno. Nella mia città, Como, l’azienda dei trasporti ha già detto chiaro che non aumenterà le corse, imponendo così scelte alla scuola e alle famiglie: direi un fulgido esempio di accordo col territorio.

La didattica

Da docente, in questa estate calda persa a misurare, a stilare protocolli, a ragionare su distanze e ingressi scaglionati, mi domando come potrò progettare il rientro. Il distanziamento mi impone un modo diverso di fare lezione, un ritorno all’antico: non credo potrò girare tra i banchi, dividere i ragazzi per gruppi cooperativi e aiutare chi è in difficoltà sedendomi a fianco. Non potrò più avere la biblioteca di classe come facevo prima: scaffale aperto per i libri che ciascuno prendeva, né dire a Pierino che scalpita nel banco “esci fai un giro, decomprimi e ritorna”, né potrò chiamarli alla LIM a progettare e spiegare alla classe, non potrò sedermi di fianco per fare consulenza di lettura e scrittura. Questa sarà una sfida ulteriore: vista così sembra che ciascun alunno dovrà lavorare un po’ più in solitaria, io continuo a credere che l’apprendimento cooperativo sia fondamentale, per cui punterò sulla discussione in classe, sulla lezione dialogata fino a quando non sarà possibile tornare a lavorare coi banchi (o con le sedie) affiancati. Per il lavoro cooperativo si ricorrerà alla nostra piattaforma: file e video condivisi, testi cooperativi, stanze per il lavoro a gruppi.
Altro tema saranno le prime settimane di accoglienza: la priorità sarà riallacciare i fili, non misurare le competenze acquisite e men che meno spingerli a parlare di una situazione emotivamente così pesante come quella appena vissuta; bambini, ragazzi e docenti ci portiamo dentro una grande voglia di normalità.

La paura

I timori e le incertezze sono tanti, anche perché non abbiamo indicazioni chiare: cosa fare alla prima febbre? Chiuderà tutta la scuola? Ogni quanto conviene aerare i locali? È sicuro stare insieme a 26 preadolescenti per tante ore di fila, con un distanziamento ridotto di molto, rispetto alle prime indicazioni? Di quali strumenti dobbiamo dotarci (dispenser di disinfettante per ogni classe? Tappetini all’ingresso? Visierine?) Quali materiali di pulizia sono conformi alla normativa ma utile presidio contro il covid? Se mio figlio ha la febbre, starà a casa anche io? Se mi sveglio col raffreddore e non vado a scuola, per la classe non si trova il supplente che si fa? Come facciamo in palestra? E negli spogliatoi? Non possiamo tenere i bambini e i ragazzi seduti per sei ore: gli intervalli saranno scaglionati, ma sempre di rischio calcolato si tratta. E i bambini diversamente abili per cui non è prevista la mascherina e per cui è impossibile il distanziamento con l’adulto e la classe (perché hanno bisogno di muoversi, toccare, interagire, abbracciare)? Come realizzare l’inclusione e il distanziamento?
In caso di chiusura partiremo subito con la DAD, abbiamo già steso il protocollo (in attesa di quello del MIUR), saranno pronte le famiglie? E quelli che si perderanno ancora?
Tutte le scuole stanno partendo da queste domande, lavorando a soluzioni possibili e sostenibili, ma con il rischio che non siano sufficienti e di trovarsi a gestire un’impresa titanica da sole.

Resta questa un’estate in cui siamo tutti sospesi in attesa dell’autunno, sperando non dico che la paura passi, ma che si riesca a tenerla sotto controllo. Perché i ragazzi hanno diritto ad adulti non spaventati e a tornare a fare scuola insieme agli altri, ma c’è un gigantesco “MA” che aleggia per via.

 

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