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Didattica a distanza: domande, retorica, burocrazia

 Giorno 8 maggio 2020, quando questo pezzo di Luisa Mirone era già nella scaletta della nostra redazione, è apparso su La Repubblica l’articolo di Alberto Asor Rosa intitolato “Scuola, elogio della classe”. Poiché ci sembra che alcuni dei temi toccati da Asor Rosa siano presenti anche nel pezzo della nostra redattrice, ne anticipiamo la pubblicazione, rispetto a quanto programmato, con l’auspicio che possa contribuire ad alimentare una riflessione evidentemente condivisa e a estendere l’attenzione su questioni ulteriori che la cosiddetta Didattica a distanza porta con sé. 

Le domande della D. a D.

Lo capiremo sulle lunghe percorrenze se gli insegnanti d’Italia siano stati, di fronte alla pandemia, bravissimi o inefficaci. A occhio e croce, al netto di comprensibili esitazioni, perplessità, incertezze, al netto di ritardi o diffidenze digitali, direi che non se la siano cavata male e che, nel complesso, valga per loro l’adagio del maestro Manzi: ogni insegnante fa quel che può e quel che non può non fa. E questo vale nell’aula vera come in quella virtuale. Nei confronti dell’aula vera in questo momento – lo confesso – nutro desiderio e rimpianto, la accarezzo nel pensiero con nostalgia, la guardo come, da bambina, il cappello del prestigiatore o la borsa di Mary Poppins: per me l’aula è un contenitore magico, piccolissimo e immenso, per nulla asettico e, per questo, rischioso ed emozionante. Vicinanza e distanza. Odori. Chiasso, silenzio, brusio. Caldo, freddo. Sguardi, occhiate, sbadigli. Gesti. Spazio tridimensionale, di accadimento e di interazione autentica, e dunque spazio democratico. Palcoscenico per rappresentazioni uniche, senza replica.  Ammetto che questa idea serpeggiante della pandemia come correttore delle cattive abitudini dei docenti mi suscita l’orticaria; tuttavia non posso negare che l’aula virtuale mi abbia messo di fronte non solo alle risorse inesplorate della tecnologia e dei suoi strumenti, ma a un universo di sensi e rapporti nel quale sino in fondo non mi ero addentrata mai: il mio ruolo, le mie responsabilità, i miei doveri di insegnante sono cambiati ora che insegno a distanza? Se cambiano gli strumenti dell’approccio disciplinare, cambia lo statuto della mia disciplina di insegnamento? La didattica della letteratura esce vincente anche da questa prova inattesa? E, se sì, perché? Se no, perché? Perché alcuni studenti sono entrati in rapporto reale con me solo da quando il rapporto è diventato virtuale? Perché sentono il bisogno continuo di scrivermi e accertarsi che quello che stanno facendo sia non corretto, ma giusto? Sono soltanto alcune delle mie domande (altre proverò a farle emergere via via, nel corso di questa riflessione), ma sono quelle che hanno stravolto modalità e significati del mio lavoro di docente.  È con questo che ci dobbiamo confrontare. È su questo che mi sembra che dovremmo ragionare con calma ma urgentemente. Invece, ancora una volta, con perfetta corrispondenza tra scuola in presenza e scuola virtuale, l’urgenza sembra essere tutta e solo burocratica. Riuniti puntualmente e virtualmente consigli di classe, dipartimenti, collegi docenti, coordinatori, dopo un primo, volenteroso giro di opinioni, attraverso il quale si tenta di dare voce alle domande di cui sopra, e a molte altre ancora, arriva inesorabile la stroncatura: «Colleghi, scusate, il tempo a nostra disposizione è poco, veniamo alle questioni urgenti». E le questioni urgenti sono ritenute queste: registrare, verbalizzare, approntare una griglia.

Registrare

Firmo, dunque sono. In assenza di questo sembra che l’insegnante si smaterializzi, perda corpo, consistenza, credibilità, ragion d’essere.

  • Non entro nell’aula reale, ma sono in quella virtuale. Dunque firmo, eccome se firmo! Hai visto mai che, un domani, mi vengano a dire che non ho fatto niente!
  • Epperò in aula mica ci sei! È illegale! Guarda che rischi!

Ci avete provato a far notare che firmare non è l’equivalente semantico né logico di fare? Che per legge saremmo tenuti al rispetto di orari, modalità, scadenze che la situazione d’emergenza ha scardinato e reso impraticabili, viceversa suggerendoci/imponendoci altri doveri, altri compiti, altre scadenze? Che i rischi che corriamo, oltre quelli tristemente legati al dilagare del virus, sono quelli connessi alla perdita delle coordinate temporali e spaziali, delle ragioni relazionali, delle finalità disciplinari che fin qui abbiamo ritenuto di dover perseguire? Sono sicura di sì; ma non sono altrettanto sicura che siate riusciti, per questa strada, a mettere in secondo piano l’urgenza del registrare. Operazione – peraltro – che, dopo la firma, si porta dietro un repertorio di registrazioni compulsive: le assenze degli alunni, che non vanno segnate come tali, ma solo indicate in nota con formule politicamente corrette, non connesso, perché, se non le segni, «hai visto mai, un domani, mi vengono a dire che non ho controllato» o, viceversa, se le segni, «è illegale, rischi che i genitori ti facciano ricorso»; le lezioni che hai svolto, perché, se non le segni, «hai visto mai che, un domani, mi vengono a dire che non le ho svolte» e tuttavia, se le segni senza precisare che era videolezione su piattaforma Boom, «è illegale, rischi che risulti un falso, perché tu nell’aula non c’eri, dunque la lezione dove l’hai fatta?» ; i compiti assegnati, perché «hai visto mai, un domani, etc» e «guarda che è illegale, rischi etc.»

  • Ma, scusa, la piattaforma Boom non è quella ufficialmente adottata dalla scuola, con tanto di autorizzazione dei genitori e credenziali per singolo allievo? – questi siete ancora voi, che ci provate, già perdenti.
  • Ma, scusa, se ho dettagliato la consegna su Boom, che è la piattaforma ufficialmente etc., perché devo tornare a dettagliarla pure sul registro? Non posso scrivere soltanto vedi consegna su Boom? – e questi siete sempre voi, e per sempre sconfitti.

E non parliamo delle valutazioni, di cui si dirà a breve, che comportano triplici registrazioni (su quaderno cartaceo personale, su piattaforma Boom e su registro elettronico).

La cosa più triste è capitolare. Io registro. Tutto.

Verbalizzare

Verbalizzare è, tra le urgenze, il corollario di registrare. Ci riuniamo su piattaforma Boom, ma non possiamo videoregistrarci perché è illegale e rischiamo, sicché, per attestare serietà, impegno, spirito di servizio, di corpo, di sacrificio, di tutto fuorché spirito del tipo senso dell’umorismo (proprio quello pirandelliano, sentimento del contrario), a riunione finita compiliamo un verbale che testimoni innanzi tutto la presenza di docenti la cui partecipazione è resa intermittente dal capriccio della connessione, o i cui volti sono sostituiti da un bollino monocolore che reca l’iniziale del loro nome, o la cui voce a tratti è solo immaginata – li vedi aprire la bocca, staranno parlando, ma non si sentono, allora mandano un messaggio, ché sullo schermo lo vedono tutti (ma il messaggio va verbalizzato??). E il verbale è opera di fine manierismo, perché parla non delle cose che sono in natura (per esempio: qual è il mio ruolo? Qual è il mio statuto disciplinare? Cosa mi chiedono i miei allievi? Cosa devo dare loro? Etc., vedi sopra), ma di come le cose che sono in natura saranno registrate, verbalizzate, trascritte, ovvero trasferite in onnipotenti griglie.

Approntare griglie

Preciso subito che non intendo affrontare la questione della valutazione che, già delicatissima e complessa nelle situazioni ordinarie, in quelle straordinarie – com’è questa che viviamo – diventa problematica e difficilissima da ripensare, tante sono le variabili che entrano in gioco. Proprio per questo tutte le discussioni e le aspettative relative alle griglie di valutazione (dunque non alla valutazione in sé, si badi, ma allo strumento, al format, ancora una volta al registro delle valutazioni) mi appaiono surreali. In questo caso si stratificano sulle preoccupazioni verso un domani e su quelle verso i rischi, le obiezioni dei disciplinaristi intransigenti ovvero dei generalisti generosi; e insorgono gli uni e gli altri, se provate a fare osservare che, mai come in questa circostanza, sarebbe il caso di tutelare semplicemente i fondamenti epistemologici delle discipline, e rimandare a tempi migliori di verificare quali e quante nozioni gli allievi possiedano, e gli uni e gli altri – disciplinaristi e generalisti – su una cosa convergono: la griglia onnipotente, capace di dissolvere ogni tensione. Ma – provate a chiedere – giacché le verbalizziamo, possiamo usare almeno queste riunioni per chiarirci un po’ gli indicatori della griglia? Cosa vogliamo valutare, e perché? Perché in un unico calderone sono finiti, polverizzati in microindicatori, tutti gli indicatori che fanno la condotta (costanza, partecipazione, puntualità, attenzione etc.) in compagnia di un macroindicatore vorace, contenuti della disciplina? Tempo di connessione scaduto, la griglia ha vinto, la seguirete, a orecchie basse, anche voi, perché è urgente – lo riconoscerete anche voi -, è troppo urgente.

A fare l’urgenza ovviamente è solo la burocrazia. Mentre tutto sembra essere diventato virtuale e distante, lei è rimasta reale e pressante. I docenti, veloci o lenti, entusiasti o rassegnati, si sono attrezzati a fronteggiare l’eccezionalità; e (ma so che sarò giudicata faziosa) in questo sono stati dignitosi, hanno mostrato quella che senza retorica chiamerei deontologia professionale e hanno studiato, sperimentato, cercato, trovato, si sono interrogati, si sono misurati con l’imprevedibile. La burocrazia scolastica, già cinicamente indifferente al lavoro reale dei docenti, è invece rimasta immota nella sua ottusa pretesa di ricondurre a norma quello che normale non è.

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