Perché leggere “A me puoi dirlo” di Catherine Lacey
In questi giorni di “ritiro” la redazione di La letteratura e noi ha pensato che possa essere utile raggiungere i suoi lettori con la rubrica “Perché leggere” nelle giornate di martedì, giovedì e sabato: nel nostro blog troveranno spazio per lo più pezzi inediti ma potrebbero venire riproposti anche suggestioni di lettura già pubblicate in passato.
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Se mai doveste aver bisogno – e io spero di no, ma uno non lo può sapere – se mai doveste aver bisogno di dormire, se mai doveste essere così stanchi da non dover sentire nient’altro che il peso animale delle vostre ossa, e state camminando da soli su una strada buia, e non sapete più da quant’è che camminate, e continuate a guardarvi le mani e a non riconoscerle, e a scorgere un riflesso sui vetri scuri delle finestre e a non riconoscerlo, e sapete solo di voler dormire, e avete solo zero posti dove dormire, una cosa che potete fare è cercare una chiesa.
Quello che so delle chiese è che di solito hanno molte porte e spesso almeno una di queste, a tarda notte, non è stata chiusa a chiave. Il motivo per cui le chiese hanno così tante porte è che la gente tende a entrare e uscire in gruppo, di fretta. Sembra che la gente abbia molti motivi per entrare in una chiesa e forse anche più motivi per uscirne, ma nel mio caso l’unico motivo per andare in chiesa era dormire. I motivi per uscire da una chiesa erano evitare che mi ci beccassero mentre dormivo o perché beccandomici mi chiedevano di uscire. Questi sono gli unici motivi che ricordo, anche se ultimamente faccio fatica a ricordare. So di aver lasciato un qualche posto, preso a camminare, dormito in tutte quelle chiese, poi è venuto tutto il resto; non so altro.
(C. Lacey, A me puoi dirlo, Roma, Edizioni SUR, 2020, pp. 11-12)
Perché mette al centro della vicenda l’incontro con il Diverso, con l’Altro
Il romanzo Pew (“Panca”) della scrittrice americana Catherine Lacey, tradotto in Italia da Teresa Ciuffoletti e pubblicato da SUR con il titolo A me puoi dirlo, ha come protagonista un personaggio indefinibile e sfuggente: impossibile stabilirne l’etnia, il sesso, l’età. La sua pelle non è chiara e non è scura; i lineamenti nulla rivelano della sua identità sessuale. Si ostina a non parlare: pertanto neppure la voce può aiutare a sciogliere l’enigma. E non ha un nome. L’unico indizio intuibile è che Panca è giovane e forse anche il suo trovarsi sulla linea di passaggio tra infanzia e adolescenza non consente di attribuirgli delle generalità ben definite.
La famiglia che decide di ospitarlo, nel piccolo paesino del sud degli Stati Uniti dove è capitato chissà da dove, decide di soprannominarlo “Panca” perché è proprio sulla panca della chiesa che viene trovato, profondamente addormentato, nel corso della funzione domenicale. Inizia da questo momento un carosello di incontri con varie persone, tutte volte a tentare di istituire un dialogo con il protagonista. L’arrivo di quest* giovane, la sua indefinibile individualità e, ancor più, il tenace silenzio – violato solo con pochi individui, per lo più emarginati ed esclusi dalla cerchia più rispettabile del paese – impongono agli abitanti, appartenenti a una comunità molto religiosa e accogliente, di fare i conti con il Diverso, con l’Altro.
Emblematica, a questo proposito, è la visita medica che Hilda, la “madre putativa”, prenota per lui dal dottor Winslow: il controllo viene giustificato con la necessità di valutare lo stato di salute di Panca, la presenza o meno di segni di violenza sul suo corpo; ma è evidente che la ragione autentica che sta alla base della visita consiste nella possibilità di «capire che tipo di persona» è:
Mentre mi riposavo su quel lettino, senza spogliarmi, senza indossare il camice di carta, avevo paura di essere sul punto di diventare qualcosa di sacrificale, ma io non avevo intenzione di prendere posto su quell’altare. Qualunque cosa fossi, sapevo di non appartenere a loro (p. 103)
Dunque Panca non sta al loro gioco e, solo apparentemente indifeso, oppone a una comunità bianca, religiosa e abbiente la sua Diversità sfidandola ad accettarlo per quel che è, un outsider lucido e consapevole delle loro convenzioni e dei loro pregiudizi:
Veniva da chiedersi, allora, se tutti i problemi umani derivassero dai nostri corpi, quelle cose precarie, più deboli o più forti, più chiare o più scure, più alte o più basse. Perché ci creavano così tanti problemi? Perché li usavamo per metterci l’uno contro l’altro? Perché usavamo il corpo per trarre le nostre conclusioni quando il corpo stesso è così sconclusionato, inaffidabile? (p. 101)
Perché il protagonista costringe i suoi interlocutori a mettersi a nudo
Il silenzio di Panca, l’espressione impassibile, l’attenzione che rivolge ai suoi interlocutori si rivela il sistema migliore per costringerli a mettersi a nudo: gli adulti della comunità a cui viene affidato di giorno in giorno, incapaci di sopportare la sua tacita presenza, finiscono per raccontare il loro passato, i loro errori, le loro debolezze o bassezze e per svelare quelle altrui. Il loro invito – “A me puoi dirlo” – si trasforma così in una confessione sotto forma di monologo.
Sta senza dubbio in questo l’originalità e la forza di questo personaggio che, raccontando in prima persona l’attraversamento di un tranquillo mondo di provincia ne disvela l’ipocrisia. Il tempo della storia coincide con la settimana che precede l’annuale Festival del perdono, un rituale ormai vuoto rispetto alle intenzioni originarie, come spiega il dottor Corbin a Panca accompagnandolo al luogo del ritrovo:
È un rituale. Siamo noi a crearli, è la gente che li crea e in fondo non significano niente. Pure quelli che all’apparenza significano qualcosa, in fondo non significano niente. Sono solo un passatempo. (p. 209)
L’attesa di questo rito catartico collettivo è grande, quasi che venisse riposto in questo momento dell’anno la possibilità per la comunità di portare avanti la sua stessa vita in apparenza concorde. La confessione pubblica a occhi bendati di tutte le colpe commesse, anche abiette, la concitazione delle voci, i movimenti confusi dei corpi, le reazioni emotive dei partecipanti e il perdono reciproco che ciascuno concede agli altri rivelano, viceversa, la fragilità di una comunità che si fonda su un perbenismo di facciata.
Panca, testimone alieno nella sua indefinibile identità, lasciando il paese verso un luogo imprecisato come quello da cui è venuto, ha dunque assolto una funzione antica dei personaggi della letteratura: quella perturbante e ambigua dello straniero capace di smontare le convenzioni di una comunità.
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