La Resistenza in Valdichiana- Insegnare italiano ai richiedenti asilo attraverso i diari dei partigiani
Gli feci un cenno con le mani, invitandolo a scendere, ma sembrava non capirmi; vedevo che si contorceva e contraeva il volto per il dolore, ma non potevo fare niente per aiutarlo. Infine decisi di arrampicarmi con altri compagni sulla carlinga e, appena fummo sopra, ci apparve uno spettacolo sconcertante, una scena da mattatoio: il pilota ci appariva come un vitello scannato, tanto era intriso di sangue. Ero sul davanti, di fronte a lui che mi stava guardando con gli occhi sbarrati e che si lamentava tremendamente. Iniziammo ad estrarlo, ma non ce la facevamo perché era ancora immobilizzato dalle cinture.
Le tagliammo con difficoltà e molti sforzi, riuscimmo finalmente, fra i suoi lamenti disperati, a sollevarlo e calarlo a terra, mentre sentivamo vicinissimo il rumore dei mezzi tedeschi, che avevano seguito la scena e venivano a catturare il pilota. In fretta trasportammo il pilota verso il bosco, mentre alcuni compagni ci proteggevano, ma appena arrivati udimmo colpi di fucile. Incuranti dei lamenti del pilota ci avviammo verso la montagna, mentre i compagni dietro ci proteggevano da eventuali attacchi.
Ad ogni scossone, il pilota riprendeva a contorcersi per il dolore, ma anche se dispiaciuti, continuammo la strada fino a Cantalena.
Scaricammo il pilota, lo sistemammo alla meglio in casa della famiglia Barbi che si offrì di ospitarlo e, dopo averlo spogliato con l’aiuto della signora Luisa, lo medicammo alla meglio in attesa di poter trovare un dottore disponibile.
Ora era in buone mani: aveva trovato una nuova mamma, che lo custodiva amorevolmente come un figlio, anche se a lui appariva come una mamma “nemica”. Da questa esperienza nasce una nuova concezione della vita e del modo; e cioè, quanto le genti semplici di qualsiasi parte del mondo sono umane e si possono comprendere ed aiutare fraternamente senza considerarsi nemici, ma fratelli.
Il giorno dopo arrivò il Dottor De Jodicibus che provvide alle medicazioni secondo le regole della scienza medica, promettendoci che sarebbe tornato per un controllo, e così fu. Ora con il passare dei giorni, Neuel si era ripreso, era autosufficiente, e il giorno 3 luglio ci seguì a piedi a Cortona, partecipando così alla liberazione di quel paese e dando contributo alla nostra lotta per la libertà.
Adattato e semplificato da Ezio Raspanti, Ribelli per un ideale, ANPI, 1995, pp. 265, 266.
Così ricordava Ezio Raspanti, tra gli innumerevoli eventi che travolsero la sua adolescenza e ne fecero un partigiano, quello strano e rocambolesco incontro avvenuto il diciotto aprile del 1944 con un pilota Alleato, precipitato nella Valdichiana aretina prossima alla liberazione. Uno straniero appunto, un nemico, o almeno così credeva lui. Un uomo ormai condannato, che annaspa e si contrae, che non sa sfuggire all’abbraccio del terrore e del dolore e si vede perso. Mi sono sempre immaginato quale sia stata la sensazione di Neuel nel momento in cui comprese che quegli uomini bruschi e arruffati, che parlavano una lingua a lui sconosciuta e gesticolavano animosamente, volevano solamente strapparlo a quella gabbia di lamiere, solamente salvarlo.
Ho lavorato nel mondo dell’accoglienza dei migranti ed ho avuto modo di conoscere molte persone provenienti dalle coste libiche. Ricordo gli arrivi improvvisi dei richiedenti asilo politico, nel cuore della notte o alle prime luci del giorno. Ricordo autobus carichi di persone che ventiquattro ore prima avevano toccato per la prima volta la loro terra promessa, l’Europa. Ricordo l’odore acre del sudore in quegli autobus, stipati di gente troppo stanca per essere felice e troppo felice per mostrarsi stanca. Gli sguardi vuoti, le teste che ondeggiavano fra uno schienale di un sedile e l’altro come in un eterno continuum con il moto marino; la magrezza, i bambini che salutano, gli adulti che si tengono per mano come bambini per la paura della separazione; la sete, la voglia di lavarsi e di dormire in un letto vero dopo chissà quanti giorni; o mesi, o anni. Cosa hanno provato quando dopo interminabili ore alla deriva sopra delle bagnarole sovraccaricate hanno visto sopraggiungere i soccorritori? Ho chiesto tante volte, ma nessuno me l’ha mai descritto veramente. Forse nessuno si ricorda cosa vuol dire. Forse non ho il diritto di domandare o forse non capirei. Non ho nemmeno mai potuto vedere con i miei occhi, non sono un soccorritore ma un insegnante di italiano L2. Un insegnante curioso però, che forse non smetterà mai di farsi certe domande.
Come Ezio, credo che le genti semplici di tutto il mondo si possano comprendere, si possano aiutare fraternamente e si possano considerare fratelli. Partendo dalla comprensione, niente sa essere più efficace di contenuti che creano empatia. Ricordo ancora lo stupore nelle facce di alcuni studenti che pensavano li prendessi in giro quando tirai fuori la storia della seconda guerra mondiale. “La guerra? Qui, in Europa? No, in Italia poi….in Libia si, ma in Italia no! L’Italia non è come l’Africa! “ Cosa serve per sentirsi fratelli? Cosa ti fa guardare il vicino di casa, così diverso, così bianco, così diffidente, in maniera diversa?
“La gente ha combattuto qui? A Foiano, a Lucignano e anche a Cortona? Come noi in Costa d’Avorio….come quando ci hanno rinchiuso a Tripoli?! No, il maestro scherza, non è possibile!” Purtroppo la ricetta non è così semplice. Non basta sapere che in tutte le storie, di tutti i popoli e di tutte le persone, c’è sempre qualcosa in comune. Specialmente se tra quelle esperienze comuni ci sono decenni e due generazioni di differenza. Forse, in quel caso, dovremmo essere noi nati nella sponda fortunata del mare a sforzarci di empatizzare, ma questa è un’altra storia. Comunque la si veda, la condivisione dell’esperienza comune spinge a rapportarsi con la nuova identità culturale e linguistica. Spinge a volersi raccontare o auto-raccontare. Spinge a volersi esprimere correttamente nella nuova lingua, per capire e farsi capire meglio.
La Resistenza in Valdichiana è un modulo didattico suddiviso in cinque unità di apprendimento. Un progetto sperimentale che propone storie tratte da racconti di partigiani (Ezio Raspanti, Ribelli per un’ideale, ANPI, 1995; Giuliano Quinati, Appunti sulla Resistenza in Valdichiana, Istituto storico dell’Antifascismo e della Resistenza “Bernardo Melacci”, 2014) all’interno di un corso annuale di lingua italiana per un gruppo di livello B1 del Quadro Comune europeo in un Centro di accoglienza straordinaria per richiedenti asilo politico a Foiano della Chiana (Arezzo). L’idea alla base di questo progetto può sembrare lontana dalla concezione di lingua come “mezzo per raggiungere scopi”. In sostanza, ad una prima occhiata si è portati a dire che il modello di lingua presente in questi testi sia poco spendibile.
In realtà, l’anima di questo progetto è quella di diversificare il percorso didattico di apprendenti che, avendo raggiunto un buon livello di competenza linguistica, manifestano la volontà di leggere autonomamente libri di narrativa e la voglia di colmare lacune storiche che riguardano il loro nuovo territorio di appartenenza. Da qui scaturisce la scelta di leggere le storie della Resistenza locale. Sul piano linguistico, mi sono posto l’obiettivo di fornire strumenti utili ad un primo approccio autonomo alla narrativa: gli usi del passato remoto, del presente storico, del condizionale composto, delle figure retoriche e di un lessico più ampio. Questi strumenti non servono solo per favorire la lettura, ma, insieme all’approfondimento su temi strettamente legati al territorio, sono utili anche per agevolare la conversazione con gli abitanti della Valdichiana, dunque per l’integrazione. Ho proposto una panoramica sulla seconda guerra mondiale e sulla storia della resistenza italiana, per approdare infine ai singoli episodi che legano i protagonisti dei racconti al medesimo paese di provincia nel quale vivono oggi gli apprendenti. Tali racconti contengono riferimenti noti agli studenti, i quali hanno riconosciuto i luoghi, i nomi delle vie e degli altri paesi e sviluppato progressivamente un forte senso di empatia con i protagonisti, un alto livello di coinvolgimento nelle loro vicende e un radicamento nel territorio in cui si trovano, attraverso il confronto tra storie (le loro e quelle dei partigiani) e senza rinunciare alla loro identità culturale. Infatti, oltre a riconoscere quello che per loro ormai è un ambiente familiare si è attivato un confronto, e talvolta un parallelismo, tra le storie individuali degli studenti (profughi di guerra e richiedenti asilo politico) e quelle dei partigiani toscani.
Al termine del modulo gli studenti hanno sostenuto una prova finale che è stata brillantemente superata dalla maggior parte di loro. Oltre a questo, un questionario di valutazione del modulo e degli obiettivi raggiunti ha registrato pareri molto positivi. La sperimentazione ha quindi raccolto risultati discretamente positivi sia sul piano dell’apprendimento strettamente linguistico sia sul piano dell’apprezzamento e del coinvolgimento, aspetto che senz’altro ha favorito e favorirà anche il primo.
Concludendo, se siamo in grado di raccontare la nostra storia, anche solo a noi stessi, non scorderemo mai chi siamo, da dove veniamo e dove siamo arrivati. Se poi avessimo la fortuna di trovare qualcuno capace di ascoltarla chi sa, forse troveremo un fratello e non uno straniero.
“La Resistenza in Valdichiana” è un progetto dedicato alla memoria di Aldo Scarpelli, Licio Nencetti, Ezio Raspanti, Giuliano Quinati, Rita Aguzzi, Samb Modou, Diop Mor, Augusto Toti, Ugo Masini, Gabriele Antonini, Carlo Grazi, Libero Sarri e Sacko Soumalaya.
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